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Nick: ADP
Oggetto: Il Teatro
Data: 28/3/2004 12.3.34
Visite: 131

[...]L'arte appare sempre come una deviazione, non si esprime mai direttamente. Può definirsi un'ipocrisia dell'infinito. E' la maschera provvisoria sotto la quale lo sconosciuto senza volto ci intriga. E' la sostanza dell'eternità che si introduce in noi in grazia di una distillazione dell'infinito. E' il miele dell'eternità che da un fiore per noi invisibile si estrae. Era il poema un'opera d'arte e portava con sé questi segni obliqui e ammirevoli.
Ma la rappresentazione contraddice l'arte.
Fa allontanare i cigni dallo stagno; respinge le perle nell'abisso. Rimette le cose esattamente al posto in cui si trovavano prima della venuta del poeta. Scompare la densità mistica dell'opera d'arte. Avviene nel poema una mutazione, quasi che sulla vita si stenda una patina. Immaginiamo quei personaggi profondi, silenziosi, carichi di segreti, trasportati nei luoghi in cui davvero vivono, in mezzo ai ghiacciai, alle montagne, ai giardini, agli arcipelaghi, e immaginiamo che anche voi li seguiate; vedreste immediatamente spegnersi una certa luce inesplicabile e, dopo la mistica felicità provata innanzi, vi sentireste d'un tratto quale un cieco disperso in mezzo al mare.
Per questo dobbiamo riconoscere che, per la maggior parte, i grandi poemi dell'umanità non hanno sostanza scenica. Lear, Amleto, Otello, MacBeth, Antonio e Cleopatra non possono essere rappresentati, ed è pericoloso vederli sulla scena. Qualcosa di Amleto è morto per noi il giorno in cui l'abbiamo visto morire in scena. Lo spettro di un attore ha preso il suo posto, e non riusciamo più a scacciare dai nostri sogni l'usurpatore. Aprite pure le porte, aprite il libro, il principe di una volta non torna più. Talora la sua ombra varca ancora la soglia, ma ormai non osa più, non può più entrare, quasi tutte le voci sono morte che l'acclamavano un tempo dentro di noi. Ricordo bene questa morte. Amleto entrò. Un solo sguardo mi rivelò che non era lui. Amleto non c'era per me. Non era neanche un'apparenza. Stava per dire cose che non pensava. Per tutta la sera si sarebbe agitato nella vergogna.[...]
La scena è il luogo dove i capolavori muoiono, perché antinomica è la loro rappresentazione per mezzo di elementi accidentali e umani. Ogni capolavoro è un simbolo e il simbolo non sopporta in alcun modo la presenza attiva dell'uomo. Tra le forza del simbolo e quelle dell'uomo che vi si agita c'è una divergenza costante. Il simbolo nel poema è un centro ardente i cui raggi divergono all'infinito, e quando, come in questo caso, si tratta di un capolavoro assoluto, hanno un'estensione il cui limite è unicamente marcato dalla potenza dell'occhio di chi li scruta. Ma ecco che l'attore avanza in mezzo al simbolo. Uno straordinario fenomeno di polarizzazione, riguardo al soggetto passivo del poema, immediatamente si produce. L'occhio non segue più la divergenza dei raggi, il loro convergere lo trattiene. L'accidente ha distrutto il simbolo, e il capolavoro, nella sua essenza, è morto nel corso di questa apparizione e delle tracce che ne rimangono.
I greci non ignoravano una tale antinomia, e quelle loro maschere per noi incomprensibili servivano solo ad attenuare la presenza dell'uomo e ad alleggerire il simbolo.[...]
Si dovrebbe forse allontanare del tutto l'essere vivente dalla scena. Non è detto che in questo modo non si ritorni ad un'arte di secoli molto antichi, le cui ultime tracce si erano forse conservate nelle maschere dei tragici greci.[...]
L'essere umano sarà forse sostituito da un'ombra, un riflesso, una proiezione di forme simboliche o da un essere funzionante come la vita anche se privo di vita? Non lo so; ma l'assenza dell'uomo mi sembra indispensabile.[...]
Può succedere allora che l'anima del poeta, non trovando più occupato il suo posto da un'anima ugualmente potente - poiché tutte le anime hanno la stessa forza - può succedere, allora, che l'anima del poeta o dell'eroe non si rifiuti più di scendere, per un poco, in un essere che non ha un'anima a gelosamente precludere l'ingresso.


(da Il teatro, lettera di Maeterlinck a Jules Destrées)


[Mi scuso con l'innumerevole folla di appassionati che si starà strappando i capelli dal cranio a causa della mancanza di alcune parti. Ho dovuto tralasciarle a causa della lunghezza dello scritto. Se tuttavia qualcuno di questi fans sfegatati, in preda a spasmi di collera verso il vostro affezionatissimo e a crisi d'astinenza da teatro simbolista, volesse consultare la lettera completa, potrei mettergli a disposizione il testo, o anche suggerirgli dove reperirlo (in fotocopie - autorizzate -). Rinnovo le scuse, e caldeggio l'uso di un qualche sedativo per quelli che più si staranno autoavvelenando davanti ai loro computers.]



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