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Nick: eCce|-\oM
Oggetto: pesantezza della coscienza
Data: 30/12/2006 15.44.14
Visite: 183

L'annosa amicizia, e società in affari, della famiglia Bush con quella di Bin Laden è ben nota a tutti i centri di potere negli Stati Uniti. Ne hanno accennato persino il New York Times e il Wall Street Journal.
Misteriosamente, questo imbarazzante segreto non viene né esibito né fatto pesare sui media. Esso pende, tuttavia: o come un implicito ricatto, o come in attesa di tempi migliori per "rivelazioni" distruttive. Sarà
istruttivo per il lettore saperne in anticipo qualcosa.
Il centro dell'amicizia Bush-Bin Laden - amicizia d'affari - è il gruppo Carlyle. Fondo d'investimento e insieme holding finanziaria, non quotato in Borsa (e dunque non tenuto a divulgare la lista dei soci e azionisti, né delle sue operazioni), il Carlyle è stato chiamato "il club degli
ex presidenti": fra i suoi soci enumera infatti George Bush senior,
l' ex presidente degli Stati Uniti, John Major, già primo ministro britannico (ora
presidente della Carlyle Europe), l'ex presidente filippino Karl Fidel Ramos
(ai vertici della Carlyle Asia), Otto Pohl (già presidente della Bundesbank), Arthur Levitt, già presidente della Sec, l'agenzia
che controlla la Borsa americana. Vi figurano anche

i più prominenti
ministri dell'Amministrazione Reagan e Bush-padre: Frank Carlucci, già
ministro della Difesa e direttore della Cia, ne è stato presidente fino a poco
tempo fa. James Baker, già segretario di Stato di Bush (e ministro del
Tesoro di Reagan) ne è consigliere anziano. Anche la famiglia Bin Laden
sedeva nel consiglio d'amministrazione, fino a un mese dopo l'11 settembre
2001.
Una rosa di personaggi così ben connessi con il potere a Washington è il
patrimonio più prezioso della Carlyle, e la ragione dei suoi successi in questi tempi di recessione. Frank Carlucci è amico personale, per esempi o, di Donald Rumsfeld, attuale ministro della Difesa, come di Dick Cheney, vicepresidente Usa. Per non parlare del filo diretto tra l'uomo
d'affari Bush padre e il presidente Bush figlio.«La Carlyle è ammanicata con l'attuale amministrazione che più
non si può», ha commentato il Center for Public Integrity, un istituto che sorveglia i
conflitti d'interesse. E ha spiegato: «George Bush padre fa denaro con imprese private che hanno commesse dal governo di cui suo figlio è presidente. E il figlio, con le sue decisioni, può profittare
economicamente di decisioni prese dal suo governo, attraverso gli investimenti
fatti da suo padre». Vediamo come. La Carlyle gestisce 13,5 miliardi di dollari dei suoi soci investitori, in genere comprando in trattative private (cioè non in Borsa)
pacchetti di maggioranza, o la totale proprietà, di imprese che poi rivende o
che si tiene. Così il gruppo controlla oggi oltre 160 società in 55 Paesi: in Francia il 40% della holding che possiede ilquotidiano Le Figaro, in Corea del Sud il pacchetto di controllo della KorAm, unadelle poche banche sane del Paese, in Arabia Saudita è azionista fra i primi della Bdm
International, strana "società" che addestra e rifornisce l'esercito e l'aviazione saudita; e l'addestramento e le forniture militari
sono elargite dalla Vinnell Corp., una ditta di mercenari privati di cui la Carlyle è socia di maggioranza.
Perché, se il gruppo investe in qualunque cosa - fondi pensione, telecomunicazioni, farmaceutica, stampa, alte tecnologie - è
soprattutto l'industria dell'armamento il suo settore preferito. Di fatto, il gruppo ha fatto incetta di vecchie aziende di produzioni militari che, proprio essendo vecchie, hanno già il clearing, la certificazione (difficile da
ottenere) necessaria per fare affari col Pentagono. Si tratta di industrie che vivacchiavano, ai tempi di Clinton; ma oggi, grazie agl i ammanigliati signori della Carlyle e alla guerra contro l'Asse del Male,
conoscono nuova giovinezza. Per esempio, il gruppo Carlyle controlla il 54% del
capitale della United Defense Industries, la quale vende l'80 per cento
dei suoi prodotti al governo Usa, ossia 560 milioni di dollari di fatturato. Data la necessità della guerra al terrorismo, la United (ossia la Carlyle) s'è vista
affidare la fabbricazione di un nuovo carro armato adatto ai tempi, il Crusader. Valore della commessa, mezzo miliardo di dollari. Così risanata, la United Defense Industries ha potuto acquisire il controllo
della svedese Bofors (artiglieria e bombe intelligenti) e della inglese Qinetiq
(ricerca e sviluppo di nuove armi).
Nell'insieme, attraverso le società che controlla, la Carlyle è divenuto il
maggior fornitore del Pentagono, e quello di maggior successo. Sarà per il fiuto negli affari di Bush padre, per le buone relazioni con Rumsfeld di Frank Carlucci? Sarà che Bush figlio si sente in debito con la
ditta?
Dopotutto, nel 1990, quando era un alcolizzato senza mestiere, il
giovane George trovò un posto ben pagato al vertice della Caterair, una
ditta di catering aereo. Fatta fortuna in politica, Bush il giovane ha
trovato modo di ricambiare. Quando era governatore del Texas, il locale fondo
pensione per gli insegnanti s'è affrettato a investire 100 milioni di
dollari nella Carlyle. Buon affare del resto: la Carlyle rende ai soci frutti
attorno al 34 per cento annuo. E' qui che l'ex ministro James Baker ha visto
fiorire il suo patrimonio fino agli attuali 180 milioni di dollari.
Non stupisce che anche i ricchissimi Bin Laden ci avessero messo alcuni milioni di dollari, abbastanza da sedere nel consiglio
d'amministrazione.
Dopo l'11 settembre, però, i soci sauditi si sono ritirati.Spontaneamente.
Devono aver sentito una qualche vergogna per il conflitto d'interesse tutto speci ale che li riguardava: come soci Carlyle, finivano per lucrare dal riarmo americano, provocato dal crimine commesso dal loro figlio Osama. Va lodato il delicato scrupolo dei Bin Laden: scrupoli del genere, i
Bush non ne hanno. In realtà, il sistema di potere che padre e figlio
hanno messo su si configura come una inaudita "privatizzazione" del settore più
pubblico he esista: la Difesa. Il figlio dichiara guerre, che
arricchiscono papà. O, per metterla in altro modo: il sistema delle industrie della
difesa, che vivono di commesse del Pentagono, si sono impadronite del
committente. Sono loro, e i loro interessi, a guidare la politica estera americana.



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