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Nick: luca26*
Oggetto: TERMINATOR:non è+solo un film
Data: 2/2/2007 16.24.44
Visite: 133

Kevin Warwick
è lo scienziato inglese che, lo scorso marzo, ha stupito il mondo facendosi impiantare un microchip sottopelle per dialogare con computer e robot. Pazzo? Macché. I suoi esperimenti stanno rivoluzionando la cibernetica. E, in futuro, potranno aiutare molte persone.


Riconosce con un pizzico di disappunto di essere nato umano; ma sostiene pure, combattivo, di poter fare qualcosa a riguardo. E questo qualcosa Kevin Warwick, professore di robotica all'università di Reading (Londra), l'ha fatto davvero.
A marzo un chirurgo gli ha inciso il braccio sinistro per qualche centimetro, poco sopra il polso, e gli ha introdotto un'unghia di silicio di tre millimetri per tre con venti elettrodi a contatto con il suo nervo mediano. Altrettanti fili sporgenti dal braccio erano collegati a una specie di guanto e quindi a un computer. Per tre mesi Warwick, attraverso questo dispositivo, ha studiato i segnali del sistema nervoso, stimolandolo con piccole scariche di corrente elettrica.
Stringendo le dita è riuscito a muovere a distanza una mano metallica collegata a un pc che catturava i suoi segnali nervosi trasformandoli in istruzioni per l'arto finto. Tentativo coronato da successo anche quello con cui ha inviato gli impulsi via Internet da New York, dove si trovava, fino a Londra, dov'era la mano. Non solo: lo scienziato ha percepito persino gli ultrasuoni e ha messo in contatto il suo sistema nervoso con quello della moglie Irena. Esperimenti che hanno suscitato curiosità e perplessità in tutto il mondo scientifico, e che Warwick ha raccontato nel libro I, cyborg (appena pubblicato in Gran Bretagna) e in questa intervista a Panorama.
Che cosa voleva dimostrare con il suo esperimento? E, soprattutto, pensa di esserci riuscito?
Volevo dimostrare che attraverso gli impulsi neurali uomo e tecnologia possono dialogare. E, sì, penso di esserci riuscito. Ho fatto il 95 per cento di quello che speravo e anche cose che non mi aspettavo. Il mio corpo non ha rigettato l'impianto e abbiamo captato segnali buoni dal sistema nervoso. Sono convinto che ora si aprano molte possibilità per chi ha subìto danni al midollo spinale.
Come è stato costruito l'impianto?
Molti dei componenti, come il set in silicio con gli elettrodi, erano in commercio. Abbiamo, invece, disegnato interamente l'interfaccia per far comunicare l'impianto con il computer. È stato difficile decidere cosa andasse inserito nel braccio e cosa dovesse restare all'esterno. All'inizio pensavamo di impiantare il più possibile, per fortuna abbiamo cambiato idea. Altrimenti avrebbero dovuto operarmi ogni volta che c'era da sostituire una resistenza. Il chirurgo mi ha sistemato nell'avambraccio solo la piastrina di silicio con le punte dei 20 elettrodi a contatto con il nervo mediano. Da un'altra incisione, un po' sopra, uscivano i fili collegati agli elettrodi da attaccare al computer.
Ha mai pensato che stava facendo una pazzia?
Non ho mai pensato di essere un folle. Però sono andato vicino alla disperazione: un paio di volte durante l'intervento abbiamo rischiato di dover rinunciare per alcuni imprevisti.
Quali?
A un certo punto il chirurgo mi aveva già inserito nel braccio un tubicino di plastica per facilitare l'installazione dell'impianto, e stava facendo scivolare la piastrina con elettrodi e fili dentro questo microtunnel, quando si è accorto che il chip di silicio si era bloccato. Qualunque tentativo di farlo avanzare era inutile. E io ero lì con la ferita aperta nel braccio, incapace di fare qualunque cosa se non assistere a quella che sembrava la fine dell'esperimento. Per fortuna a un'infermiera è venuta l'idea giusta: far scorrere acqua dentro il tubicino per spingere la piastra. E ha funzionato.
I suoi figli e i suoi amici come hanno reagito al suo progetto?
Mia figlia Maddy e mio figlio James erano interessatissimi a sapere come procedevano i preparativi. Hanno vissuto tutte le incertezze, i tentativi, le strade intraprese e poi abbandonate, i collegamenti a Internet dell'impianto che un giorno funzionavano e un giorno no, insomma il dietro le quinte.
Com'era la vita di tutti i giorni? Guidare, lavarsi, sollevare pesi...
Non potevo bagnare il braccio per non rischiare di interferire con l'impianto, così alla fine dei tre mesi l'unica cosa che sognavo era fare una doccia. Ho dovuto imparare un nuovo modo di guidare: usavo solo la prima, la terza e la quinta, mettere la seconda e la quarta mi obbligava a un movimento fastidioso. La cosa singolare è che ancora adesso guido così.
Qual è stata la prova più difficile?
Quando abbiamo organizzato la connessione tra il mio sistema nervoso e quello di mia moglie Irena. Avevamo pochissimo tempo: l'autorizzazione della commissione etica a coinvolgere mia moglie nei test è giunta a fine maggio. Il chirurgo il 13 giugno avrebbe rimosso il mio impianto. Avevamo poco più di una settimana per l'esperimento di comunicazione tra me e Irena. E c'era tantissimo da fare. A Irena sarebbero stati infilati nel braccio due aghi: uno dei quali dotato di elettrodo a contatto con il nervo mediano, collegati al computer. Dovevamo trovare gli aghi, sterilizzarli e fare l'esperimento: in un giorno. Se non avesse funzionato, non ci sarebbero state altre possibilità.
Sarà anche stato il momento più eccitante, però...
Sì, assolutamente. Eravamo in zone distanti del laboratorio e attorno a noi c'erano diverse persone. Io e mia moglie eravamo collegati a un computer che avrebbe catturato il segnale dei rispettivi impianti e trasmesso all'altro via Internet. Quando Irena ha sollevato il dito e io ho percepito chiaramente la piccola scarica direttamente nel mio sistema nervoso, è stato un momento incredibile. La stanza era piena di gente ma io stavo comunicando con mia moglie in un modo che solo noi due potevamo percepire. È stato davvero speciale.
Che cosa ha provato quando le hanno trasmesso per la prima volta la corrente elettrica nei nervi attraverso l'impianto?
Si trattava di capire a quale intensità avremmo avuto una reazione. Non esistevano nozioni certe sul livello di corrente che avrebbe stimolato i miei nervi senza friggerli. Quando abbiamo provato a inviare differenti scariche a ciascun elettrodo, sempre un po' più alte, ero davvero teso. Era come entrare in un territorio inesplorato dove qualsiasi cosa avrebbe potuto attaccarmi.
Qual è stata la scoperta più inaspettata che ha fatto?
Quando mandavamo impulsi elettrici ai miei nervi attraverso gli elettrodi dell'impianto, all'inizio li captavo nel 75 per cento dei casi. Dopo tre mesi, li riconoscevo sempre: un successo del 100 per cento. Il mio cervello aveva imparato a riconoscere i segnali nuovi. Questo è un importante indizio. Se noi immettiamo nel nostro sistema nervoso un'informazione sconosciuta, le prime volte magari verrà ignorata, ma se continuiamo a inserirla alla fine il cervello la capirà.
Un po' come con gli ultrasuoni...
Esattamente. Molti mi avevano detto che il mio cervello non avrebbe mai potuto individuarli. Invece ha funzionato subito. Bendato, ho indossato una cuffia con due antenne: una emetteva ultrasuoni che rimbalzavano sugli ostacoli e venivano catturati dall'altra. I segnali di ritorno erano trasmessi ai miei elettrodi sotto forma di impulsi. Ogni volta che mi avvicinavo a un tavolo o a un armadio il mio sistema nervoso percepiva la scarica elettrica; se invece mi allontanavo dagli oggetti non sentivo più nulla. E tutto questo è avvenuto la prima volta che ho messo la cuffia: mi sono sentito felice come un bambino. Stavo di fatto usando un senso extra!
Che tipo di conseguenze pratiche potrebbe avere il suo esperimento?
Stiamo lavorando con due ospedali che hanno pazienti con lesioni al midollo spinale. A uno di loro sta per essere impiantato un dispositivo come il mio, per aiutarlo a recuperare movimenti della mano. Credo che in futuro si potrà permettere a queste persone di controllare oggetti e altri stimoli fisiologici. Del resto io sono riuscito a controllare la mano di un robot ma anche a muovere una sedia a rotelle semplicemente attraverso gli impulsi del mio sistema nervoso, trasmessi via radio alla sedia.
La complessità del corpo umano che ha sperimentato di persona non le ha suggerito che, forse, la sua idea di trasformare l'uomo in un cyborg è più vicina alla fantascienza che alla scienza?
Al contrario, penso che sia più fattibile. Quando parlo di cyborg non penso a esseri metà uomini e metà macchine, ma a una più stretta relazione tra uomini e tecnologia. Si può immaginare di espandere le capacità della nostra memoria, ma anche indurre stimoli sessuali attraverso congegni elettronici esterni.
Continuerà i suoi esperimenti?
Adesso voglio progettare un impianto da inserire nel cervello. Ma non sarà possibile farlo prima di una decina d'anni.
Non è preoccupato che esseri evoluti prendano il sopravvento?
No. Certo, se fossi un uomo forse lo sarei. Ma, come le ho detto, io non voglio restare umano.

La nostra unica FEDE...
si chiama NAPOLI!!!!!



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TERMINATOR:non è+solo un film   2/2/2007 16.24.44 (132 visite)   luca26*
   re:TERMINATOR:non è+solo   2/2/2007 16.38.42 (79 visite)   ^luC|feRO
      re:TERMINATOR:non è+so   2/2/2007 16.50.32 (54 visite)   geppo (ultimo)

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