Nick: MoreFerarum Oggetto: report sugli ultras Data: 3/2/2007 13.41.12 Visite: 106
dal sito "progetto sicurezza" Insieme agli ultras appaiono sugli spalti fumogeni, petardi, striscioni, tamburi e botti, mentre si elevano sempre più forti canti, cori e grida, spesso più di sfida e scherno nei confronti della tifoseria avversaria che di sostegno alla propria squadra. In questo periodo il legame fra gruppi ultras e gruppi politici estremisti si rafforza e le curve cominciano ad avere padroni che nulla hanno a che fare con i club e che anzi li ricattano chiedendo biglietti. Brigate, Commandos, Fedain, Katanga, Gruppo Autonomo, Ordine Nuovo, Regime, Fossa dei Leoni, Boys, Blue Tigers, Bad Boys, Wild Kaos, Sconvolts, Viking, Vigilantes e Warrior sono alcuni dei nomi di "battaglia" di questi tifosi, nomi che sottintendono ideologie ben precise. All’interno dei gruppi ultras si annidano elementi per i quali quello che conta di più è ricercare lo scontro fisico con l’altrui tifoseria, con la quale spesso si è divisi da fattori non solo sportivi ma anche politici. La novità non è subito chiara, nonostante varie avvisaglie (l’accoltellamento di un tifoso laziale nel corso di Lazio-Napoli del novembre 1970; quello di un tifoso della Reggiana durante Taranto-Reggiana dell’ottobre 1971; violente risse fra gli spettatori nella stagione 1971-72 durante Inter-Bologna, Juventus-Torino, Cesena-Foggia, Napoli-Bologna e Milan-Torino). Ma l’escalation è inarrestabile, tanto che in soli sette mesi (dall’ottobre 1973 al maggio 1974) si registrano incidenti in ben trentuno partite di serie A e B. Incidenti che nascono sugli spalti con scontri fra opposte tifoserie e spesso, come nell’occasione del derby Roma-Lazio del marzo 1974, si trasferiscono all’esterno secondo un copione tipico della guerriglia urbana. Scontri che avvengono sugli spalti, malgrado la forte presenza di Forze di polizia (le tifoserie non sono ancora separate come avviene oggi), oppure nelle immediate vicinanze degli stadi, e ogni volta si hanno numerosi feriti e contusi. Nei gruppi organizzati di giovani tifosi che tendono ad esibire un atteggiamento sistematicamente aggressivo nei confronti degli avversari si ritrovano parte di quei giovani socializzati al rito domenicale della partita da padri tifosi, che si rendono autonomi e preferiscono andare allo stadio con un gruppo di coetanei. Questo fattore crea una forte coesione fatta di amicizia e, spesso, di comune appartenenza politica. Dal contatto con i gruppi di hooligans inglesi mutuano l’abbigliamento da stadio, i canti d’incitamento modulati su musiche popolari e molta della simbologia tipica del tifo inglese. Accanto al fenomeno dell’abbigliamento da stadio merita un approfondimento l’aspetto simbolico del "territorio", la cui difesa, soprattutto fino all’introduzione della separazione fisica delle due tifoserie, sarà uno dei principali motivi di scontri fra le opposte tifoserie. La difesa del territorio si accompagna sovente a una disattenzione rispetto a quello che avviene in campo. La cosa più importante, per questa generazione di tifosi, è la partecipazione corale alle modalità espressive del gruppo. In proposito è emblematico quanto affermato da un giovane ultras a Daniele Segre, autore della prima vera inchiesta condotta sul mondo ultras: «A me interessa solo l’ambiente di stadio... Quando sono in balconata vedrò qualche azione, ma per il resto della partita sono sempre girato indietro a far gridare la gente». Parallelamente, in questi decenni Settanta e Ottanta assistiamo al cambiamento lento, ma radicale, del pubblico: il calcio ormai ha perso il primato di unico svago o divertimento e la gente comincia a usare il suo tempo libero, peraltro aumentato, in maniera diversa e più varia. In questi anni cresce fortissima l’industria del divertimento e altri sport, sempre più graditi al pubblico, minacciano l’egemonia del calcio, che sconterà non poco una serie di avvenimenti (scandalo scommesse, aumento spropositato del costo dei biglietti, violenza sempre più crescente dentro, ma soprattutto fuori dagli stadi) che lo colpiranno al cuore. L’escalation della violenza intanto diventa inarrestabile e gli scontri si trasferiscono al di fuori dello stadio, nelle vicinanze di esso o in prossimità delle stazioni ferroviarie, coinvolgendo le due opposte tifoserie e le forze dell’ordine. Si comincia finalmente a capire la degenerazione di un fenomeno per parecchi anni tenuto in vita allo stato embrionale e si iniziano a prendere le prime serie contromisure - divisione fisica delle due opposte tifoserie all’interno degli stadi, soprattutto di quelle più "calde", confinate nelle due opposte curve, aumento delle forze dell’ordine, primi metaldetector - che avranno il potere, più che altro, di spostare gli incidenti sempre più all’esterno dell’impianto di gioco. Il fenomeno degenera in maniera repentina e questa nuova generazione di ultras, rispetto ai cosiddetti fondatori, pone minor enfasi sul tifo come fattore di coesione interna. tanto che la violenza ultras tende a perdere in più circostanze collegamento con l’avvenimento sportivo. I comportamenti di questi tifosi non di rado si rendono autonomi dalla matrice da cui erano originariamente scaturiti – il desiderio di fornire un sostegno, seppure in forma esasperata, alla squadra del cuore – e imboccano con decisione la strada dell’antagonismo violento e dello scontro a ogni costo con il supposto nemico: gli ultras rivali. Conseguenza più immediata è la "militarizzazione" di una sparuta frangia di tifosi con l’introduzione all’interno degli stadi di coltelli, spranghe, bastoni, fionde, catene, lanciarazzi, bulloni, tondini di ferro e oggetti contundenti e il verificarsi di veri e propri atti di teppismo degli ultras durante le trasferte con distruzioni e danneggiamenti di treni, pullman e negozi. In questa fase viene estremizzata anche la componente politica dell’ultras, secondo un estremismo politico insito nella società: semplificando, da un lato le Brigate rosse dall’altro il Fronte della gioventù. Di fatto, però, la storiografia del periodo indurrebbe a pensare che i due estremismi politici non abbiano mai considerato i giovani tifosi come un possibile serbatoio di reclutamento. Al contrario, per il mondo ultras l’estremismo politico poteva rappresentare un modello organizzativo e comportamentale. Non a caso questa seconda generazione di ultras ha un maggior grado di strutturazione, pianificazione e coordinamento e un’organizzazione meno spontanea, più stabile e gerarchizzata. Nascono le alleanze e i gemellaggi. Nella seconda metà degli anni Ottanta il comportamento ultras, perdendo in parte una sua connotazione politica, si accompagna molto spesso ad atti di vera e propria delinquenza (devastazione di autogrill per esempio), contribuendo a un ulteriore processo di dislocazione del teppismo calcistico. Il 28 ottobre 1979, un’ora prima di Roma-Lazio, dalla curva sud dei tifosi romanisti partono due razzi, uno dei quali colpirà in un occhio Vincenzo Paparelli, 33enne tifoso laziale seduto nella curva opposta, che morirà in ambulanza durante il trasporto in ospedale. È la prima tragica morte per violenza da stadio. Purtroppo non sarà l’ultima. La legislazione Tre giorni dopo la tragica morte di Paparelli il ministro dell’interno Rognoni convoca un vertice con il governo dello sport italiano (i presidenti di Coni, Figc e Federbasket). Presenti anche il ministro del Turismo e il Capo della Polizia. I partecipanti lo definiscono un vertice informale e produttivo. Il Ministro Rognoni dice di avere piena fiducia nelle capacità della Figc di diminuire il fenomeno della violenza, affermando che il numero di incidenti durante le manifestazioni sportive è molto basso. Il problema violenza viene quindi considerato un problema sportivo e il governo è convinto che Coni e Federazioni siano in grado di gestire l’emergenza con le proprie forze. L’8 novembre, comunque, il Consiglio federale emana una serie di disposizioni per prevenire ulteriori episodi di violenza all’interno degli stadi. In sintesi: sanzioni per le società i cui tifosi espongono striscioni offensivi durante le partite; divieto di vendere più biglietti rispetto alla capienza dello stadio; aumento del personale di vigilanza all’interno degli impianti di gioco; partite a livello giovanile prima dei match per stemperare la tensione dell’attesa; inasprimento delle pene sportive per tutti i tesserati che si rendono protagonisti di provocazioni verso avversari e/o pubblico. Disposizioni di cui si persero ben presto le tracce: passata l’onda emotiva del momento, si archivia l’episodio come una tragica fatalità. Il 17 ottobre 1984, in seguito alla morte del tifoso milanista Marco Fonghessi, accoltellato al termine di Milan-Cremonese nello stesso punto in cui un anno prima era stato aggredito un tifoso austriaco al termine di Inter-Austria Vienna, supervertice al Ministero dell’interno fra il Governo e le varie componenti calcistiche. Neanche un anno prima, in seguito all’escalation dei fenomeni di violenza, l’incontro fra il Ministro dell’interno Scalfaro e i vertici calcistici (presidenti di Coni, Figc, Lega e Aic) aveva prodotto un documento congiunto antiviolenza. Pochi mesi dopo arriverà la strage dell’Heysel cui fece seguito l’istituzione di una commissione mista (Governo-vertici calcistici e sportivi) permanente. Negli anni a seguire - ogni qualvolta accadranno episodi di violenza - si susseguiranno dichiarazioni di principio, prese di posizione politiche e sportive e periodici summit al Ministero dell’interno per fare il punto della situazione e prendere provvedimenti di contrasto al dilagare del fenomeno. Dopo le ennesime vittime degli stadi (il tifoso ascolano Nazzareno Filippini, morto il 17 ottobre 1988 e Antonio De Falchi ucciso il 4 giugno 1989) il Consiglio federale della Figc del 29 luglio – dopo dieci ore di discussione – decide di ampliare la responsabilità oggettiva anche in caso di incidenti fuori dagli stadi. Anche il Governo in maniera concreta si muove promuovendo l’emanazione della legge 13 dicembre 1989, n. 401, contro il totonero e gli illeciti sportivi e, più in generale, intesa a tutelare la regolarità dello spettacolo sportivo rispetto, anche, alle manifestazioni di violenza. In particolare gli artt. 6, 7 e 8 vietano l’ingresso allo stadio o ai luoghi dove si svolgono competizioni sportive alle persone sorprese con armi improprie addosso e ai teppisti condannati per manifestazioni violente o semplicemente già coinvolti attivamente in esse. Inoltre, viene punito con pena pecuniaria (da 50 a 300 mila lire) anche chi turba il regolare svolgimento di una gara. Ci vuole, però, l’ennesima vittima – il tifoso genoano Vincenzo Spagnolo, accoltellato da un tifoso milanista fuori dallo stadio Marassi prima di Genoa-Milan – per far assumere al mondo dello sport e al Governo decisioni forti: il presidente del Coni Pescante decide per una domenica (quella successiva al tragico avvenimento) senza sport in segno di lutto, mentre il 23 febbraio 1995 viene convertito in legge il decreto Maroni sulla violenza nello sport, emanato in seguito agli avvenimenti del 20 novembre 1994, quando a Brescia, in occasione della partita con la Roma, vengono accoltellato nei pressi dello stadio il vicequestore Giovanni Selmin e feriti dieci agenti di polizia. La legge sancisce che alle persone denunciate o condannate per atti teppistici o criminali negli stadi e nei dintorni – anche solo per aver incitato alla violenza con cori o striscioni – il questore può impedire di frequentare le manifestazioni sportive per un periodo massimo di un anno (divieto rinnovabile). Sul finire del 1996, su iniziativa del Vicepresidente del Consiglio Veltroni e dei Ministri dell’interno e della giustizia, viene presentato un progetto legislativo all’avanguardia nel punire tutti gli atteggiamenti violenti negli stadi, da configurare come veri e propri reati penali, iter, però, mai completato. Nel frattempo si mosse con decisione la Figc che, il 3 febbraio 2000, dopo gli ennesimi episodi di violenza verbale in diversi stadi italiani, emana una serie di norme fra cui la sospensione delle partite in caso di provocazioni razziste e in presenza di striscioni violenti e/o offensivi. Infine, il 25 gennaio 2001, il commissario straordinario della Figc Petrucci vara una serie di norme più severe contro tesserati e società – norme entrate in vigore dalla prima giornata di ritorno del campionato 2000-01 – inserite nel nuovo codice di giustizia sportiva e atte a prevenire forme di violenza in campo che potrebbero istigare oltre misura il pubblico sugli spalti. Il 17 giugno 2001, durante lo spareggio-promozione fra Messina e Catania, muore il tifoso messinese Antonino Currò, ucciso da una bomba carta lanciata in curva. Questo ennesimo delittuoso episodio contribuisce all’emanazione del dl 336 del 20 agosto 2001 («Disposizioni urgenti per contrastare la violenza in occasione di manifestazioni sportive») immediatamente operativo fin dalla prima giornata dei campionati 2001-02. È un’autentica rivoluzione per il suo rigore. Il 17 ottobre successivo, però, la conversione in legge modifica l’impianto fra le proteste del mondo del calcio. In particolare, le polemiche riguardano la cosiddetta quasi flagranza, ovvero la possibilità di procedere all’arresto dei responsabili di violenza negli stadi entro le 48 ore successive e non più solo nell’immediatezza del fatto, che non viene recepita nella conversione in legge del decreto. Complessivamente la legge attenua molto anche le pene detentive che, come nel caso del lancio di corpi contundenti o altri oggetti, possono essere commutate in ammende. Il 21 febbraio 2003, però, il Consiglio dei ministri approva il decreto che ripristina l’arresto in flagranza differita per i tifosi violenti. Questa volta il decreto resiste, sostanzialmente, ai vari emendamenti e viene convertito nella legge 24 aprile 2003, n. 88. Ecco le principali novità introdotte dalla legge: obbligo di mettere in vendita solo biglietti numerati; multa di 500.000 euro alle società che vendono più posti di quelli a disposizione; uso dei metaldetector ai varchi degli stadi con più di 10.000 posti; arresto fino a 18 mesi per chi è in possesso di fumogeni e bengala; potere, in capo al prefetto, di poter rinviare una partita anche di un mese; revoca dell’agibilità per gli stadi che non rispettano le misure di sicurezza; obbligo di tv a circuito chiuso dall’agosto 2004; obbligo dal 2005 di elementi di separazione fra le opposte tifoserie. Sabato 20 settembre 2003, poco prima dell’inizio del derby campano Avellino-Napoli, Simone Ercolano, 19enne tifoso napoletano, scavalca un muro – sembra per sfuggire agli scontri in atto fra ultras e polizia - ma sotto i suoi piedi cede una tettoia di plexiglass: precipita nel vuoto per oltre 10 metri e sbatte forte la testa, cadendo tra gli spalti e la cancellata divisoria. Si scatena la ‘gazzarra’ con circa 200 sostenitori napoletani che entrano in campo e danno vita ad una selvaggia caccia ai poliziotti (finiscono in manette 16 ultras, mentre altri 3 vengono segnalati al Tribunale dei minori e 2 si danno alla latitanza) che impedirà il regolare inizio della partita (il Napoli perderà successivamente 0-3, oltre a vedersi squalificare il campo per cinque giornate). Tragico bilancio: 1 morto (il tifoso caduto che morirà dopo due giorni di agonia), un vice questore colto da infarto, oltre 20 feriti e danni rilevanti allo stadio irpino e nei pressi dell’ospedale Moscati. Il 22 settembre, nel vertice ministeriale convocato con urgenza, il Ministro Pisanu minaccia di vietare le partite che comportino rischi gravi per la sicurezza e l’ordine pubblico. La decisione più forte è quella di confermare il divieto di vendita dei biglietti per la tifoseria ospite nel giorno della partita, norma già esistente ma spesso disattesa. Siamo ai giorni d’oggi, con i decreti diventati legge il 17 ottobre 2005, di cui parliamo nella scheda a pagina 34.
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