Nick: Mach Oggetto: Difesa la dignità dell'Italia Data: 8/2/2007 17.26.22 Visite: 114
«Dovevamo difendere la dignità dell’Italia. Non potevamo non rispondere a fronte di un’iniziativa totalmente irrituale, che non mi risulta abbia avuto luogo altrove in Europa. In un Paese normale anche l’opposizione avrebbe condiviso. Invece ho trovato stupefacente la reazione acquiescente del centrodestra». Nello studio del ministro alla Farnesina, Massimo D’Alema racconta la sua verità sulla lettera di «disapprovazione» inviata agli ambasciatori.
E’ vero, come scrive qualcuno, che i rapporti Italia-Usa sono tornati tesi come ai tempi di Sigonella? «Non è così. Le relazioni con gli Stati Uniti sono solide e la collaborazione è proficua in molti campi. In questa occasione, però, non potevamo far finta di niente perché si tratta di un’evidente anomalia. Nessuno contesta, in Paesi democratici come i nostri, il libero scambio di opinioni e il diritto di critica. Nessun problema se un senatore americano o un leader politico di un altro Paese, su un giornale italiano o straniero, avesse mosso contestazioni anche dure verso una nostra scelta. Ma gli ambasciatori, se hanno qualcosa da dire, devono parlare con i governi».
Al di là della lettera irrituale degli ambasciatori, sono sciolti i dubbi sulla nostra partecipazione alla missione Onu in Afghanistan? «Siamo impegnati a sviluppare la nostra politica di pace. Per questo non ci sottrarremo alle responsabilità. Insieme ad altri ministri degli Esteri, ho chiesto nelle sedi Onu e Nato di rilanciare una strategia politica imperniata sull’impegno civile, sulla cooperazione economica, sul coinvolgimento dei Paesi confinanti. Una strategia che potrebbe essere rilanciata con forza da una Conferenza internazionale di pace. La soluzione a Kabul non può essere militare. Ma questo non vuol dire trascurare i problemi di sicurezza di quel Paese».
La missione italiana è attualmente composta da duemila uomini. Perché non andare via da Kabul come siete andati via dall’Iraq? «Andare via dall’Iraq ci ha aperto nuovi, grandi spazi di iniziativa. Abbiamo sottoscritto un patto di cooperazione civile con il governo iracheno al di fuori della coalizione dei volenterosi, artefice della guerra, e questo ci ha consentito di migliorare e intensificare i rapporti con il mondo arabo. Non sarebbe stato possibile svolgere il ruolo importante che abbiamo avuto in Libano senza il ritiro dei militari dall’Iraq. In Afghanistan invece è diverso. Se andiamo via noi, non solo la situazione non migliora, ma si indebolisce la prospettiva di pacificazione».
Non sta sopravvalutando il peso dell’Italia? D’Alema prende da una cartella la copia di un articolo del Washington Post: «Ecco il reportage di una giornalista americana dalla Mushai Valley. Finché c’era l’esercito Usa, la popolazione stava con i ribelli. Da quando sono arrivati i nostri militari è iniziata una vera pacificazione sul campo. I talebani, è la conclusione della giornalista, non vi metteranno più piede. Ma le nostre responsabilità vanno anche oltre il lavoro quotidiano dei militari. La prossima settimana il presidente Karzai sarà in Italia e in quei giorni si svolgerà a Roma un convegno su un progetto italiano per i diritti delle donne afghane. Ci siamo anche presi l’incarico di presentare noi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite le relazioni sulla missione civile Unama e sulla missione militare Isaf. Dal nostro rapporto si svilupperà il dibattito sulla conferma o meno del mandato Onu. In Parlamento discuteremo ancora se e come potenziare, da subito, il nostro impegno di cooperazione: ma andare via adesso sarebbe la negazione della politica».
Al vertice dell’altra sera comunque è rimasto il dissenso sull’allargamento della base di Vicenza. Alla manifestazione del 17 parteciperanno i partiti della sinistra radicale. Non è troppo per un governo che ha appena annunciato la ritrovata unità? «La decisione sulla base è stata presa dal governo Berlusconi e noi avevamo il dovere istituzionale di confermarla. Va detto, peraltro, che il trasferimento di militari americani avviene nel quadro di un ridimensionamento della presenza Usa in Europa, e non come dice qualche disinformato, di un processo di riarmo. Infatti, in contemporanea, gli americani hanno deciso di lasciare la Maddalena. Comunque, la scelta del “se” non contiene la scelta del “come”. Il sito indicato nei progetti è infelice. Il comune di Vicenza ha mosso rilievi sull’impatto ambientale delle nuove costruzioni e confido che il governo degli Stati Uniti, che si è comportato fin qui correttamente, tenga conto delle preoccupazioni e delle richieste dei vicentini».
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