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Nick: Forssell
Oggetto: Viaggio in Armenia
Data: 24/2/2007 19.22.38
Visite: 103



Monasteri con vista 



Nella Repubblica armena le strutture monastiche sono state per secoli custodi dell'identità religiosa e culturale della nazione. La capitale, Yerevan, ha una lunga storia che risale a quasi tremila anni fa: oggi è una città vivace e in piena trasformazione


Alle prime ombre della sera, folle di giovani sciamano dai quartieri periferici verso il centro di Yerevan. Destinazione i caffè all'aperto che circondano la piazza del Teatro dell'Opera e le storiche vie Mashtots e Abovyan, scenario della movida armena. Un termine improprio da queste parti, che esprime però quell'incontenibile esplosione della vita notturna che da qualche anno travolge la capitale della più piccola delle ex-repubbliche sovietiche, incastonata tra Turchia, Iran, Georgia e Azerbaigian. Come la Madrid post-franchista degli anni Ottanta, anche Yerevan reagisce alla fine dell'epoca sovietica dandosi alla "dolce vita". "Noi giovani abbiamo voglia di divertirci, - conferma una ragazza mentre sorseggia il suo burj, il tipico caffè armeno, a un tavolino del bar Jazzve, - di gettarci definitivamente il passato alle spalle e progettare il nostro futuro".


Un futuro che a Yerevan è già cominciato, almeno a giudicare dal traffico di auto di grossa cilindrata che invadono le vie del centro nelle ore di punta e dai cantieri a cielo aperto che stanno cambiando il centro cittadino che era rimasto invariato da decenni. Tra l'Opera e Piazza della Repubblica, una delle piazze più grandi e monumentali della città (tipico esempio di neoclassicismo "socialista" abbinato ad una nostalgica architettura medioevale armena), dove si affacciano musei, alberghi e palazzi ministeriali, si sta infatti materializzando l'ampio viale pedonale e commerciale della Northern Avenue, la prima grande opera urbanistica avviata dopo il tracollo dell'Unione Sovietica, mentre ovunque sono in corso lavori di restauro e ammodernamento per rendere la città degna dell'appellativo di "Parigi del Caucaso" con cui è ormai nota al di fuori dei confini del Paese.


Per il resto, Yerevan conserva intatto l'impianto in stile socialista "imposto" negli anni Venti dall'architetto e accademico Alexander Tamanian, con il centro racchiuso in un cerchio di ampi viali circolari e ingentilito dalle tonalità rosate del tufo con cui sono stati edificati i palazzi più rappresentativi. Sarebbe sbagliato, comunque, bollare Tamanian (1878-1936), nativo di San Pietroburgo, come un architetto sordo alle tendenze moderniste europee e ossequioso del potere: il suo Piano regolatore di Yerevan approvato nel 1924, fu il primo progetto urbanistico moderno della città, la trasformò da centro rurale di provincia a metropoli industriale e culturale. L'architettura moderna non deve però trarre in inganno: Yerevan è una delle città più antiche del mondo, nota in passato come Erebuni, abitata ininterrottamente da oltre 2700 anni e, per la sua posizione strategica, da sempre oggetto delle mire espansionistiche dei popoli confinanti, Persiani e Ottomani in testa. Nel 1968 venne creato uno spazio cittadino, chiamato "La Strada delle Fontane" con 2.750 bocche per ricordare i 2.750 anni dalla fondazione della città.


La millenaria storia dell'Armenia, comunque, registra solo brevi e sporadiche parentesi di indipendenza. La dominazione straniera non ha impedito al popolo armeno di mantenere nei secoli una fortissima identità nazionale, fondata sui due pilastri cardine della lingua (indoeuropea) e della religione (cristiana), che ha consentito alla nazione di fronteggiare unita invasioni, calamità naturali, genocidi e, non ultima, la diaspora seguita al dominio sovietico. Oggi si stima che, dei circa nove milioni di Armeni nel mondo, soltanto tre milioni risiedano in patria (di cui oltre un milione nella capitale Yerevan), mentre gli altri sono dispersi in una sessantina di stati diversi, dove hanno dato vita a comunità organizzate e culturalmente forti.


Ecco perché il punto di partenza per capire l'Armenia non può che essere il Matenadaran, una delle più antiche biblioteche esistenti al mondo. Matenadaran, in Armeno, significa "biblioteca" e il nome dell'istituto, Mesrop Mashtots, viene dall'inventore dell'alfabeto armeno. Nell'edificio, presidiato dalle statue dei padri della Letteratura, sono conservati 17.000 manoscritti, redatti nell'alfabeto armeno, creato nel 405 d.C. "Formato da 36 caratteri, il nostro alfabeto fu codificato poco dopo la conversione dell'Armenia al Cristianesimo con la finalità di tradurre in armeno le Sacre Scritture - spiega la guida del museo - ma al tempo stesso diede uno straordinario impulso alla nostra Letteratura, fino allora tramandata oralmente o per iscritto in altre lingue straniere". Qui sono conservate pergamene che risalgono al V e VI secolo a.C., tra cui pezzi unici originali di inestimabile valore che documentano la storia dell'Armenia dalle origini ai giorni nostri.


E che la memoria sia un sentimento cui gli Armeni attribuiscono un'importanza suprema lo si capisce anche visitando il suggestivo Monumento al Genocidio, realizzato in blocchi di basalto con un obelisco di acciaio alto 44 metri, che campeggia sulla collina di Tsitsernakaberd, dove una fiamma perenne ricorda il Medz Yeghern, il "Grande Male", cioè lo sterminio di un milione e mezzo di Armeni perpetrato dal governo dei Giovani Turchi tra il 1915 e il 1916. Come raccontano foto e documenti dell'epoca raccolti nel Museo del Genocidio, nel giro di pochi mesi milioni di persone furono deportate nei deserti di Siria e Mesopotamia, dove morirono a migliaia di fame e stenti oppure massacrati dall'esercito ottomano. La loro colpa? Il sospetto che volessero allearsi con i Russi, nemici storici dei Turchi non solo nella Grande guerra. Si tratta di una delle pagine più dolorose della millenaria storia del popolo armeno, resa, se possibile, ancora più odiosa dal fatto che la Turchia si rifiuti ancora oggi di riconoscere il primo Olocausto del XX secolo: è reato infatti parlare di genocidio degli Armeni in base all'articolo 301 della Costituzione turca.


Non è certo un caso che il Monumento al Genocidio sorga su una collina da cui la vista spazia sulla città fino ad abbracciare la maestosa sagoma del Monte Ararat, orgoglio e frustrazione del popolo armeno. Con i suoi 5.137 metri perennemente incappucciati di neve, la biblica montagna su cui, secondo la tradizione, si sarebbe arenata l'Arca di Noé, è da sempre il simbolo naturale dell'Armenia. Peccato che politicamente si trovi sul territorio della Turchia. Per ammirarlo in tutta la sua imponenza conviene raggiungere il monastero di Khor Virap, da cui l'Ararat sembra così vicino da poterlo toccare.


C'è un altro motivo per cui il piccolo monastero è una visita d'obbligo di ogni viaggio in Armenia. Qui infatti si trovava la prigione sotterranea (Khor Virap significa appunto "fosso profondo") in cui S.Gregorio Illuminatore, fondatore della Chiesa Armena, venne rinchiuso dal Re Tiridate per 13 anni per essersi rifiutato di onorare le divinità pagane. Durante la lunga prigionia il santo ebbe le prodigiose "Illuminazioni" che portarono nel 301 d.C. alla conversione dell'Armenia al Cristianesimo e la sua proclamazione come religione ufficiale. Due anni più tardi veniva fondata la cattedrale di Etchmiadzin, tuttora sede del Katholicos, capo supremo della Chiesa Armena Apostolica, indipendente da quella cattolica e da quella ortodossa.


La domenica mattina, il giorno della settimana in cui si svolgono le liturgie religiose, è il momento migliore per visitare questa sorta di "Vaticano" armeno situato a mezz'ora d'auto da Yerevan, e per assistere al rito gregoriano che dura oltre due ore e si svolge tra nuvole d'incenso e cori. A spiegare le peculiarità del Cristianesimo in versione armena provvede un giovane sacerdote che parla italiano, avendo studiato nel nostro Paese: "Tra le caratteristiche del nostro rito va sottolineata la celebrazione dell'Eucaristia col pane azimo, caso unico tra i riti orientali; la celebrazione senza commistione di acqua nel vino eucaristico, unica nell'intero mondo cristiano; la celebrazione del Natale e dell'Epifania insieme, il 6 gennaio, secondo l'usanza orientale". Congedandosi, dice di chiamarsi Padre Geghard, "che in lingua armena significa "lancia"; ma anche Geghard come il famoso monastero nella valle di Garni". È lì che ci dirigiamo il giorno seguente, al monastero del secolo XI in parte scavato nella roccia dove, secondo la leggenda, sarebbe stata conservata la lancia che aveva trafitto il costato di Cristo. Lungo la strada sostiamo a Garni, a 32 chilometri a sud est di Yerevan, per visitare l'unico tempio pagano presente in Armenia, dedicato a Elio, il dio del Sole, e costruito durante la dominazione romana.


Nel villaggio, alcune donne stanno impastando il lavash, tipico pane armeno rotondo e sottile, delizioso appena sfornato condito con formaggio di capra ed erbe di campo. La gita fuori città diventa un'opportunità per conoscere l'Armenia rurale, terra di pastori e contadini, di solitari prati a perdita d'occhio e di villaggi isolati, di vette caucasiche e boschi. Ovunque si vada, una cosa è certa: in Armenia non si è mai troppo distanti da una chiesa o da un monastero: ce ne sono centinaia, soprattutto medioevali. Punteggiano il paesaggio, adagiati nelle valli, in riva ai laghi o aggrappati a pareti rocciose. Alcuni di questi luoghi di culto, come la Cattedrale di Etchmiadzin, il sito archeologico di Zvartnots, il monastero di Geghard e quelli di Haghpat e Sanahin, tra i monti della remota regione di Lori, sono tutelati dall'Unesco. Del resto, gli edifici religiosi rappresentano la ricchezza architettonica di un Paese in cui l'edilizia civile è stata resa insignificante da 70 anni di regime socialista al quale, come se non bastasse, si è aggiunto anche il terremoto del 1988.


Non c'è da stupirsi nello scoprire che i monasteri sono, dopo il Monte Ararat, il soggetto preferito dai pittori che espongono al Vernissage, mercato che si tiene nei fine settimana nel centro di Yerevan, nel parco dietro piazza della Repubblica. Nato come mostra-mercato d'arte 20 anni fa, in breve tempo si è ingrandito fino a diventare un mercato delle pulci, con l'artigianato armeno, dai ricami al legno, dalla bigiotteria agli strumenti musicali, ai CD di musica tradizionale. I settori più interessanti sono quelli delle antichità, dedicati ai tappeti (di cui l'Armenia vanta una lunga tradizione), alle porcellane d'epoca, ai libri, alle collezioni di monete e, non ultimi, ai memorabilia dell'era sovietica. Per i generi alimentari bisogna andare al Pag Shuka, grande mercato coperto di Viale Mashtots che è anche il punto ideale per avvicinarsi alla gastronomia locale, sontuosa quando si tratta di dolci. Sulle bancarelle si trovano tutti gli ingredienti della cucina armena, dagli ortaggi freschi alle spezie (coriandolo, curcuma, cumino, cannella, noce moscata, indispensabili per insaporire la carne), dai formaggi di capra al lavash, alla frutta secca che non manca mai a fine pasto o nei dolci.


In pochi minuti, dal Pag Shuka si raggiunge la Cascade, monumentale scalinata di marmo intervallata da statue e fontane che si inerpica sul fianco di una collina collegando il centro città con il parco Haghtanak, la più grande area verde di Yerevan. Da lassù, al tramonto, la vista è magnifica. Quando la scalinata s'accende, segnata da fasci di luce, è il segnale che un'altra notte di divertimento comincia nella Parigi del Caucaso.






(tratto da http://www.kataweb.it/viaggi/?p=home.articolo&id=122541)

(Eppure dovrò andarci)






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Viaggio in Armenia   24/2/2007 19.22.38 (102 visite)   Forssell
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