Maradona....24 ore prima...

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Nick: BaMbO|O
Oggetto: Maradona....24 ore prima...
Data: 20/4/2004 14.28.15
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Le 24 ore che hanno preceduto il malore del Pibe de Oro sono uno spaccato perfetto della sua vita attuale. Ce le racconta un testimone privilegiato.

Fernando Iglesias è un giornalista sportivo argentino che collabora con diverse testate italiane. Ha trascorso con Diego Maradona il giorno (sabato) precedente il malore e si è trovato poi a seguirne le travagliate vicende di questi giorni. Vi proponiamo la sua testimonianza.

BUENOS AIRES, 20 aprile 2004 - Sono stato con Diego Maradona sabato scorso, meno di 24 ore prima che fosse ricoverato, e sembra che sia passato un secolo. Era da due anni che gli stavo dietro per un servizio sulla sua storia per la televisione italiana e sabato sembrava la volta buona. Ma tutto è andato storto. Quando arrivai alla casa in campagna che i Mastellone (proprietari di "La Serenissima", la centrale del latte più grande dell'Argentina) gli avevano messo a disposizione al suo ritorno da Cuba, Diego stava giocando a golf. Rincorreva la pallina con la sua piccola vettura e festeggiava quando entrava nella buca come se avesse fatto un gol ai mondiali. Poi ha voluto vedere in televisione la partita dell'Argentinos Juniors, la squadra in cui ebbe inizio la sua enorme carriera professionistica. "Parlava" al maxischermo con il suo amico Checho Batista, ex compagno di nazionale, che fa ora l'allenatore dell'Argentinos. Rideva. Scherzava. "Ma cosa vuoi facciano i poveri ragazzini se gli allena uno come il Checho", diceva. E "Checho! Togli il numero otto! Checho! Adesso vengo e ti do una mano!". Sembrava lucido e felice. Le sue guardie del corpo, che dopo il divorzio da Claudia e la furibonda lite col manager Guillermo Coppola sono diventate la sua compagnia più stretta, festeggiavano le sue trovate. Dicevano che da tempo non lo vedevano così bene. "Da quando è di nuovo in Argentina è tornato a vivere" mi ha detto "Harry", forse quello oggi più vicino al suo cuore.
A un certo punto, Diego ha deciso di farsi una doccia. "Vado a prepararmi e facciamo l'intervista prima che sia pronto l'asado (carne alla griglia)". E' tornato un'ora dopo sbarbato, profumato, e con indosso una maglietta bianca della nazionale italiana, un ricordo dei suoi anni trascorsi a Napoli. "Vorrei dire agli italiani chi è questo Coppola. E voglio pure mandare un messaggio ai napoletani", mi ha detto. Dopo poco, però, improvvisamente, ha deciso che l'intervista non si sarebbe fatta e si è scusato con noi abbracciando me e tutta la troupe, e dicendomi "Maestro! Mi dispiace. Non ce l´ho con lei. Ne riparleremo più avanti".
Siamo andati via che erano le nove di sabato sera. Poi, il diluvio. Maradona non è andato a dormire, e alle sette del mattino, ancora sveglio, è partito per cercare Giannina, la figlia minore, in una discoteca. Hanno fatto colazione assieme. Quindi sono partiti per la "Bombonera", lo stadio dove il Boca giocava alle undici del mattino per motivi di sicurezza. Lo ha ricevuto la solita ovazione, ma le fotografie la dicono lunga sul suo stato fisico poco prima del collasso: era stanco, provato, come non mai. Ha dovuto lasciare lo stadio prima della fine della partita. E' tornato in campagna. Si è sentito peggio. Chiamato al telefono, il suo dottore personale ha ordinato il ricovero d'urgenza, ma dalla casa dei Mastellone a General Rodríguez alla Clinica Suizo-Argentina ci vuole quasi un'ora di autostrada. Ha vomitato dentro l'ambulanza e aspirato il suo vomito. Il resto è ormai sulle pagine dei giornali di tutto mondo.

Lunedì pensavo di consegnare il materiale con la storia della sua vita e invece sono dovuto andare davanti alla clinica dove cercavano di salvargliela. Sul marciapiede il caos. Manifesti e fotografie attaccati ai muri. Gente sull'orlo del pianto isterico mescolata ai giornalisti della CNN. Tumulti ogni volta che entrava un personaggio più o meno famoso. Commozione vera e curiosi che cercavano di farsi vedere in TV. Tassisti che suonavano il clacson e urlavano "Aguante Diego!".
Il suo medico personale è uscito e i giornalisti gli sono saltati addosso costringendolo a cercare rifugio in un negozietto di calzature. Sono riuscito a scambiare due parole con lui e mi ha detto "La sua vita era ed è ancora a rischio". Come da anni, d'altronde.
Ho intervistato per la TV italiana uno dei capi ultras del Boca, che mi ha detto "Diego non puó morire perché è Dio". Sfortunatamente, è quello che sembra pensare anche Diego. Quindi si è formato un gruppo di ultras che a suon di tamburi ha cominciato a urlare "Oe! Oe! Oe! Diegoooo! Diegoooo!" e i soliti canti di guerra contro le odiate "gallinas" del River Plate. Il tutto, a cinquanta metri in linea di aria dal reparto di rianimazione. Sembra folle, ma qui è assolutamente naturale: sono tanti quelli che gli vogliono molto bene.

Ecco la verità.....sul suo malore.....

Articolo preso da www.gazzetta.it

FORZAAAAA DIEGOOOOO!!!!!!!