Nick: tornado81 Oggetto: Morte di un precario di Napoli Data: 27/3/2007 20.36.49 Visite: 133
I napoletani hanno la pelle scura e i capelli ricci, i napoletani sono indolenti e indisciplinati e non hanno voglia di lavorare; i napoletani sono sempre felici anche se non hanno una lira; i napoletani cantano sempre e ogni occasione è buona per fare casino. Bene: ora che ci siamo tolti dalle scatole tutti gli stereotipi e i luoghi comuni del caso vi parlerò di Salvatore, precario e sfigato, e non vi racconterò della sua morte perchè quello lo farò dopo, ma vi descriverò gli eventi e le vicissitudini che lo hanno portato a quel triste epilogo. Quel martedì di aprile Salvatore era felice come una pasqua, la lettera dell'ufficio del personale delle poste italiane ricevuta 3 giorni prima parlava chiaro: "Oggetto: assunzione a tempo indeterminato. In riferimento al concorso per 240 operatori di 5°livello del 12/06/96, ella è invitata a presentarsi all'ufficio compartimentale di via repubbliche marinare entro e non oltre le ore 15.00 del 18/04/06 per il disbrigo delle visite mediche e delle pratiche di assunzione". Salvatore di quel concorso vinto 10 anni prima se n'era quasi dimenticato, ricordava solo che fu subito bloccato dai ricorsi e che dopo si ritrovò in fondo ad una lunghissima graduatoria. Ma ora a 32 anni suonati s'erano finalmente ricordati di lui, adesso poteva entrare nel mondo del lavoro dalla porta principale. Salvatore dopo il diploma non ne aveva azzeccata una, smarrendosi tra lavori in nero e contratti di pochi mesi, tutti insulsi e infami e quando non ci sperava più ecco arrivare dal cielo quella manina fatata a tirarlo fuori dall'inferno del precariato. Col tempo aveva visto i suoi amici sistemarsi o inguaiarsi, qualcuno era finito in banca e qualcuno spacciava la droga: chi faceva il poliziotto e chi il criminale. A San Giovanni a Teduccio i delinquenti avevano soldi facili e auto lussuose, ma venivano sempre allontanati dalle persone oneste, mentre le persone oneste potevano contare sui mutui e utilitarie a rate; in poche parole il rispetto di tutta la comunità. Ecco: lui non apparteneva a nessuna di queste categorie. Ora l'incubo era finito e anche Carmela, la sua ragazza, non stava più nella pelle, già si vedeva con l'abito bianco pronta a raggiungerlo sull'altare. E armato di quelle speranze uscì di casa per sbarazzarsi del vecchio lavoro ed iniziare il nuovo. La vespa 125 era parcheggiata, quel rudere cadeva a pezzi sfiancato dagli anni del pony express, dei volantinaggi e delle rappresentanze, nonostante tutto un idiota pronto a portarsela via lo si trovava sempre da quelle parti. Via Gianturco era la strada che portava al centro direzionale di Napoli ma ricordava le strade di Bagdad bombardate dagli americani, gli automobilisti erano costretti a dei zig zag per evitare le buche. Salvatore doveva anche guardarsi dai posti di blocco dei carabinieri, la vespa era senza assicurazione da anni grazie ai miseri stipendi che guadagnava. A quell'ultimo lavoro, Salvatore ci era arrivato tramite la solita agenzia di lavoro interinale, l'avevano "affittato" ad una società che si occupava delle banche dati della regione Campania, compito suo era quello di alimentare archivi elettronici. Otto ore filate passate ad "inputtare" nomi e cifre che nessuno avrebbe mai letto, salvo tirarli fuori nelle campagne elettorali. L'ufficio si trovava al 15°piano di un altissimo grattacielo. Quella mattina Salvatore aveva il passo pesante e deciso di chi si sentiva invincibile, era arrivato al lavoro con più di 1 ora di ritardo e per sfregio aveva parcheggiato la vespa nel posto auto di uno che aveva il contratto a tempo indeterminato, in ufficio salutò così forte che gli altri ne ebbero quasi paura poi si diresse a passo di carica verso l'ufficio del capo. Entrò senza bussare e si sedette senza chiedere il permesso, il capo seguì incuriosito la scena da dietro la scrivania. Salvatore prese subito la parola e senza tanti fronzoli gli disse che era li per licenziarsi. Preso alla sprovvista, l'uomo accennò una reazione ma lui lo fulminò con uno sguardo implacabile, la sua non era più di un'affermazione ma la rivalsa contro quelli che lo avevano sfruttato ed umiliato. Mordendosi un labbro, l'uomo abbassò lo sguardo in segno di resa: adesso non lo aveva più in pugno e a malincuore gli fece gli auguri per il suo futuro. Salvatore trascorse il resto della sua mattinata tra un bar e l'altro, festeggiando con chiunque gli capitasse a tiro. Era già alticcio quando si rese conto con orrore che s'erano fatte quasi le due del pomeriggio; non era stato ancora assunto che già rischiava di fare tardi al primo giorno di lavoro. Salvatore arrivò nel garage come una furia e stramaledì la vespa che non dava segni di vita. La spinse giù per la discesa sperando di metterla in moto, ma il truccò non funzionò. Senza perdersi d'animo sostituì la candela e pulì il carburatore, ma senza risultato. Nel frattempo s'erano fatte le due e mezza e Salvatore meditava già il suicidio, quando un ultimo colpo al pedale mise in moto la vespa. Aveva ancora mezz'ora di tempo per arrivare puntuale alle visite mediche, perciò sfrecciò veloce per evitare le auto e le buche. Ma ad un passo dal traguardo, ecco l'imprevisto: un posto di blocco dei carabinieri s'era piazzato proprio all'ingresso dell'ufficio postale. Salvatore, colto dal panico, prese l'unica decisione possibile, cioè quella sbagliata. Con la vespa senza assicurazione sicuramente non l’avrebbe fatta franca, perciò con il sangue gli occhi scalò di terza e forzò il posto di blocco mancando di poco il maresciallo con la paletta, ma un carabiniere ausiliario (uno sbarbatello poco più che ventenne) fece fuoco con la mitraglietta colpendolo alle spalle. Salvatore si schiantò sull’asfalto sbrecciato come un aereo in picchiata e la vespa gli ruzzolò addosso schiacciandogli la gabbia toracica. Prima di chiudere gli occhi raccolse dalla gola un coniato di sangue e con l’ultimo rantolo lo sputò addosso ai rottami della vespa. Il carabiniere ausiliario venne scagionato dall’accusa di omicidio volontario e alla fine della ferma fu congedato dall’arma, da allora vaga nell’inferno del precariato tra un contratto a termini e l’altro. Quel mondo infame era fatto così, per uno che ne usciva un altro ne doveva prendere il posto. A volte anche per sempre.
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