![]() | ![]() |
![]() |
LUNA BUGIARDA
“10 e 47…dopo li vado a giocare al lotto.”
Furono questi i primi pensieri semi coscienti che passarono per la mente di Piero quella mattina. Erano le 10.47 ed il sole era prepotentemente entrato nella sua stanza. La tapparella era alta, il balcone aperto, i suoi piedi freddi. Un moscone nero e verde gli si posò sullo zigomo. Fece qualche passo, si sfregò le zampette e ritornò via da dove era venuto.
“Chissà quale altra notizia del cazzo mi hai portato” – farfugliò mettendosi a sedere al centro del letto. Avvertì uno spiacevole senso di umido infilando i piedi negli zoccoli; le previsioni avevano parlato di possibili temporali notturni, ma mai avrebbe immaginato di ritrovarsi con mezza stanza allagata. La testa gli doleva, era confuso, e ancora non comprendeva se i rumori che aveva percepito durante la notte fossero tuoni o frutto degli scherzi di Morfeo. Ciondolò fino alla cucina, grattandosi lo scroto con il solito piacere mattutino; sul tavolo la tovaglia, briciole di fette biscottate, il thermos, una tazza, un post-it giallo. “Pranzo in mensa. Stasera grande cena! Ricorda a Laura di portare i peperoni. Michela prepara la parmigiana. A stasera vecchio. Luca.”
Sorseggiò del caffè amaro, quindi accese una sigaretta sistemandosi sul divano. L’immagine del suo volto era riflessa nello schermo del televisore proprio dinanzi a lui; la luce di quel sole tardo estivo gli faceva brillare la pelata alla quale aveva dato un colpo di lametta giusto la sera prima. Chiuse gli occhi e si accarezzò lentamente il cranio. Punte ispide di capelli in ricrescita gli graffiavano i polpastrelli mentre un brivido gli correva lungo la schiena. Era vero quel che diceva Laura: è tanto bello anche quando le carezze le dai.
Il puzzo di sudore che aveva la sua pelle gli suggerì di infilarsi sotto la doccia. Piccole gocce di acqua fredda gli picchiettavano la pelle; in testa una vecchia canzone di Pino Daniele, agglomerati di pensieri confusi, ricordi da mettere in ordine, un dolore lancinante da eliminare.
“E’ davvero finita? Ma finita finita o finita prendiamoci una pausa? Non ho voglia di avere questo odore di miele e cannella addosso. Che poi prendersi una pausa è come dire che è finita. Dove è finito il mio docciaschiuma? A che diavolo serve prendere le pause? DOVE CAZZO E’ IL MIO DOCCIASCHIUMA? Luca di merda! Vaffanculo lui e le sue cene di sto cazzo!”
Insaponandosi, soffermò la sua mano sull’addome, scoprendolo stranamente tonico. Sorrise e provò un sapore amaro ricordando la quantità e la qualità di ginnastica pelvica che aveva sostenuto negli ultimi tempi. Aveva appena cominciato ad asciugarsi i piedi, quando in lontananza il cellulare cominciò ad intonare Purlpe Haze in polifonia a 32 toni. Dopo qualche attimo di smarrimento riuscì a localizzarlo; percorse con grandi passi la cucina e afferrò il telefono che vibrava sul ripiano della credenza. Provò a sbirciare il numero da cui gli stavano telefonando, ma la comunicazione bruscamente si interruppe. Una chiamata senza risposta. Numero anonimo.
“Laura! Deve essere per forza Laura! Ci avrà ripensato. Ha capito di aver esagerato ieri. Le telefono? No no, meglio di no. Stavolta mi devo mostrare superiore. Stavolta deve esser lei a compiere il primo passo. Che poi, il numero anonimo, è veramente da ragazzini…”
Di nuovo Purple Haze senza la voce di Hendrix.
Di nuovo la vibrazione.
Di nuovo “NESSUN NUMERO” appariva sullo schermo.
“Si?” – esclamò con tono fintamente distratto ed interrogativo.
“Parlo con il signor Carlini?” – cinguettò una voce di donna sconosciuta
“Laura?”
“Mi scusi, parlo con il signor Carlini…Carlini Giampiero?”
“Si…” – chi è questa? che ho fatto? che vuole?
“Buongiorno signor Carlini. Sono la signora Giaccio, le telefono per conto della Strade Rosse Editrice…”
“Si…”
“Volevo comunicarle che il romanzo che ci ha inviato ci interessa molto e vorremmo discutere con lei, di persona, di tutte le questioni legali ed economiche. Avremmo piacere di concludere l’accordo quanto prima, signor Carlini.”
“Si…”
“Lei quando sarebbe comodo a venire qui in sede da noi?”
“Si…”
“Signor Carlini?”
“Si…”
“Le chiedevo quando sarebbe comodo a raggiungerci qui in sede a Milano per poter discutere da vicino del…”
“Mi perdoni, gentile signora, ma in questo momento sono terribilmente impegnato. Le telefono io tra un paio d’ore, così mi potrà spiegare meglio tutta la faccenda. Buongiorno.”
Spense il ricevitore, staccò la batteria e la ripose nel cassetto. Per quella mattina ne aveva avuto già troppo di telefonini e di comunicazioni ad esso annesse.
Susanna. In quel momento aveva bisogno di Susanna. Indossò la maglietta viola dei Gogol Bordello, uno short a mezza gamba, le converse panna ed uscì sbattendo la porta. Con gli occhiali scuri inforcati avanzò con passo deciso verso la stazione. La testa gli scoppiava e aveva una gran sete. Fece una rapida sosta in enoteca dalla quale uscì con un pacchetto regalo. Trovò posto in metro accanto al finestrino e prese a leggere distrattamente un volantino che aveva trovato sul sediolino. La sua attenzione fu catturata però dal dito indice della sua mano destra. Un piccolo neo marroncino gli era spuntato sulla falangetta. Gli era spuntato o lui non ci aveva mai fatto caso? “Sto diventando vecchio. Ecco le prime macchie senili”, pensò mentre le porte del serpente metallico si aprirono con uno sbuffo mostrandogli la strada verso la scala mobile.
Dopo aver bussato alla porta di casa di Susanna, Piero mise il dito sullo spioncino. L’uscio si spalancò d’improvviso e la luce dell’appartamento inondò il pianerottolo buio ed umido. Susanna lo guardò con aria inquisitoria, quindi gli sorrise.
“Sei sempre il solito Piè! Entra dai che ho il culo di fuori.” – disse con voce bassa, ed in effetti non aveva tutti i torti. Indossava una maglietta extra large rossa con la scritta “NO ALLE PRIVATIZZAZIONI! ACQUA LIBERA!” che le cascava sulle spalle e le copriva appena lo slip. Piero osservò il suo culetto e pensò che, vaffanculo l’amicizia ed i gusti sessuali, una bottarella gliel’avrebbe data molto volentieri.
“Ho un regalo per te. È una cosa un po’ commerciale, ma, a voi sinistroidi, le cose finte alternative ma commerciali so che piacciono…” – le disse offrendole il pacchetto in carta arancione dell’enoteca flegrea, abbozzando un sorriso a mezza bocca.
“Southern Comfort. Grazie Piè! A cosa devo questo regalo, questa visita inattesa?”
“Oggi mi sento buono. Avevo voglia di farti un regalo…”
“Piè, dimmi la verità: è successo qualcosa?”
“Ma com’è questa storia? Non posso essere felice e farti un regalo?”
“Laura come sta?”
“Mi ha lasciato ieri sera. Penso ora stia bene.”
“Ma che dici?”
“Dico che Laura mi ha lasciato ieri sera e penso che ora stia bene. Non lo spero, ma suppongo sia così.”
“Lo vedi che avevo ragione io? Io ho sempre ragione quando di mezzo ci sei tu! Aspettami qui, vado a mettermi qualcosa addosso, così mi togli gli occhi dal culo.” – disse uscendo dalla stanza. Rientrò dopo pochi attimi con indosso un pantaloncino ed una maglietta bianca, i capelli neri e lisci legati in una coda alta.
“Perché non mi racconti come è andata?”
“Mah, ieri sera eravamo dal cinese e aspettavamo il gelato fritto. Lei ad un tratto mi guarda con espressione seria, e mi dice: “Non credo sia giusto continuare a fingere. Con te non sto più bene. Odio tutto quel che facciamo assieme, il cinema al giovedì, la tua telefonata delle dieci, questo cazzo di gelato fritto, la faccia da scemo che fai ogni volta che scendo dalla tua auto..”. Io la guardavo e non capivo se stesse scherzando o meno. Le ho chiesto di smettere di urlare, ma non ne voleva sapere.”
“Te le ha dette urlando queste cose? E la gente intorno? Vi guardavano tutti?”
“Susy, scusa, ma che cazzo vuoi che me ne freghi della gente intorno? Io stavo vivendo un dramma. Ti pare che mi curavo delle persone presenti in sala? E comunque si, ci guardavano tutti. Ho fatto una gran figura di merda.”
“Vieni qui Piè, fatti abbracciare un po’” – disse senza riuscire a trattenere le risate.
“Lo vedi Susy, ogni volta è sempre la stessa situazione. Tu seduta sul divano che sorridi, io con la testa sulle tue tette ed il cuore in pezzi. Perché si ripete sempre questa situazione pietosa?”
“Se non ti piace stare sulle mie tette puoi anche metterti sulla poltrona”
“Le tue tette sono le più belle del mondo da quando avevi quindici anni, e lo sai…”
“Sai qual è il tuo problema? A trent’anni ancora non hai capito che non sempre fidarsi delle donne è una cosa buona, specie se queste donne le conosci da così poco.”
“Ma Laura era diversa. Laura è sempre stata diversa! Mi ha colpito da subito, mi faceva vibrare, mi voleva bene, mi amava. Me lo ripeteva sempre. Pensa che la settimana scorsa mi ha detto di voler trovare una casetta per viverci insieme a me. Ti rendi conto? Un giorno ti propone di condividere il letto, la tavola ed il cesso e dopo cinque giorni odia me e tutto il mio mondo?”
“Piè ma Laura è sempre stata una persona instabile, dal primo momento in cui è apparsa nella tua vita. Eppoi, dai, ma come fai a credere ad una che dopo tre settimane dice di amarti e dopo cinque vuol vivere con te?”
“Veramente sono sei. Sei settimane, non cinque. Eppoi che c’è di male?”
“Ti ricordi sempre di essere l’avvocato Carlini e non il personaggio di un telefilm americano, vero? Tutte le donne mentono, specie in amore. Anche la luna è bugiarda: non lo dimenticare!”
“Io non lo so chi sono. O meglio, so chi sono, ma forse non sono quello che volevo essere. Dieci anni fa mi immaginavo come un brillante avvocato trentenne, con il suo studio in una grande città, con una bella donna dai capelli ricci accanto e, perché no, una dolce bimba con le lentiggini di nome Gaia. E invece guardami adesso: vivo ancora in casa con quello stronzo di Luca, in condizione semi perenne di fuorisede, lo studio dove lavoro è forse il peggiore su tutto il territorio cittadino, non riesco a trattenere una donna accanto a me per più di tre mesi, senza portarne addosso i segni per tempi decisamente più lunghi. Certe volte mi sento come Dylan Dog, che in ogni cazzo di episodio si innamora di una donna diversa, senza capire di avere zero possibilità.”
“Piè ma tu sei sempre stato così. Un inguaribile romantico che non riesce ad ammettere l’evidenza quando si tratta di donne e che preferisce sempre fuggire quando c’è da affrontare problemi personali. Te lo dico sempre: sei il mio Toshiro Mifune, uno strambo sognatore che scappa di casa…”
“Però che bello abusare delle tue tette…mi accarezzi un po’ la testa?”
“Vabbè…ah, ascolta questa storia che ho letto sul giornale. Hanno intervistato Giovanni Allevi e lui, tra le varie cose, ha raccontato anche il metro di valutazione che ha nei confronti delle varie civiltà. Prima di ogni concerto, in qualunque posto del mondo si trovi, chiede una torta al cioccolato da mangiare in camerino. Ora, a seconda della forma, della dimensione, delle guarnizioni che la torta ha, Allevi afferma di riuscire a cogliere le differenze socio culturali del popolo che in quel momento lo sta ospitando. Non trovi che sia una cosa geniale?”
“Ah…poi sono io quello strambo? Fai na canna va che è meglio. Che mi fai pranzare oggi?”
Mi sono ispirato per il protagonista a Piero Franti, mai conosciuto, ma conosciuto bene.
![]() ![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |