Nick: giGGinocon2G Oggetto: VICTORIA'S SECRET Data: 13/4/2007 11.18.22 Visite: 183
VICTORIA’S SECRET 1 fettina di vitello magro di circa 150 grammi; 20 grammi di margarina; mezzo dado da cucina; succo di limone; farina; prezzemolo; sale. Victoria preparò gli ingredienti sul ripiano in marmo accanto ai fornelli. Il menù di quella sera prevedeva una piccata al limone. Ancora una volta. Scelse dal mobile una delle sue padelle con il bordo alto e vi pose all’interno la margarina. Una rapida scossa elettrica fece si che il fornello di grandezza media prendesse vita: in pochi attimi la margarina cominciò a spumeggiare. Infarinò leggermente la fettina di vitello, che aveva fatto tagliare un po’ più spessa del solito, e la mise a cuocere per circa cinque minuti, durante i quali danzò con leggiadria in quegli spazi angusti che lei definiva il suo regno. Una bottiglia di Barbera d'Asti era stata messa a decantare un'oretta prima, in tempo utile per sorseggiarne qualche bicchiere durante il rito della preparazione. Sollevò la carne dalla padella, la mise in un piatto e lo pose nel forno a 80 gradi, per tenerla in caldo. Aggiunse al fondo di cottura mezzo bicchiere di acqua calda, nella quale fece sciogliere parte di un dado da cucina aiutandosi con il cucchiaio di legno. Mentre tritava abilmente il prezzemolo con la mezzaluna, rifletté sul fatto che il Barbera non era poi così indicato come vino per la sua cena, e che forse avrebbe dovuto cominciare a fidarsi di più dei consigli enologici proposti dal libro di ricette. "Perchè cambiar qualcosa che mi piace così tanto?" disse quindi a mezza voce, quasi giustificandosi. Aggiunse il prezzemolo tritato ed il succo di mezzo limone, lasciando ridurre al fuoco la salsina. Sorrise di un sorriso amaro pensando a quanto suo padre fosse affezionato a quelle bottiglie di Barbera che i suoi amici del Monferrato gli regalavano ad ogni occasione. Le riponeva sempre nella cantina, tutte in fila, una accanto all’altra, come un esercito di cannoni pronti ad esplodere. Un rapido giro alla manopola ed il fuoco smise di esistere, lasciando che le note di "Fourth Time Around" e la voce di Bob Dylan arrivassero meno attutite al suo orecchio. Aggiunse un pizzico di sale e una noce di burro, mescolando il tutto. Ne assaggiò il sapore prima di guarnire la fettina di carne. Anche l'odore era ottimo. Il vino le aveva preparato il palato per quello che sapeva essere molto di più di un semplice pasto. Il suo personalissimo rito stava cominciando nel migliore dei modi. Provò un senso di piacere quando le sue nude gambe incontrarono la superficie in legno della sedia. La primavera lasciava il passo all’estate, e cucinare bevendo vino rosso le aveva colorato il viso. Anche il suo micione avvertiva il cambiamento di clima, diventando ancor più sfuggente e restio al contatto con la sua mano sottile. "Paco, vieni qui…c’è la carne per te. Non senti che profumino?" La faccia interlocutoria del felino le fece abbozzare un sorriso. Aveva sempre avuto un rapporto di amore ed odio con quel gatto che ormai le era accanto da più di dieci anni. "Ecco a voi l’unico maschio ad essermi stato realmente fedele". Era così che lo presentava agli ospiti, aggiungendo quello sguardo da finta vittima che aveva tanto bene imparato a simulare negli anni. Terminato il pasto, decise di accantonare tutte le stoviglie nel lavello e di accendersi una sigaretta. Per le pulizie ci sarebbe stato del tempo più in là. Dirigendosi verso il divano, vide il suo magro profilo riflesso nello specchio che adornava il piccolo salotto. Si fermò, quindi si avvicinò scrutando con attenzione i suoi capelli neri come la pece. Era particolarmente soddisfatta della lunghezza di appena qualche millimetro che avevano raggiunto proprio quella sera. Victoria aveva imparato a tagliare i capelli tre giorni prima di un appuntamento importante. Li rasava da sola, davanti allo specchio: trovava dannatamente ipnotico il ronzio che emetteva la macchinetta misto al suo sguardo concentrato. Era sempre stato così, sin dalla prima volta, quando si rapò completamente a zero, dopo aver perso una scommessa; era il Luglio del 2006 e l’Italia intera era impazzita per la vittoria dei campionati del mondo di calcio. Da allora di tempo ne era passato molto, ma i suoi capelli non avevano più mostrato al mondo quanta bellezza fossero capaci di esprimere cascando sulle sue piccole spalle in morbidissimi ricci profumati di ciliegia. In molti avevano tentato di convincerla a ritornare al suo look classico, ma, ogni volta, Victoria arricciava il naso trincerandosi sempre dietro la stessa citazione: "E’ solo dopo aver perso tutto che si è liberi di fare qualsiasi cosa!". Fece un bagno caldo, mettendo da parte tutti i buoni consigli a proposito della digestione, e fu felice di notare il buon odore che aveva la sua pelle. Il bagnoschiuma a base di burro di karitè che aveva acquistato al mattino aveva un aroma così dolce che prese a mordicchiarsi le braccia e le spalle. L’abbigliamento per la serata era stato già deciso da tempo: jeans a vita bassa, camicia bianca, stivali a punta tonda. Fece ben attenzione a non risvoltare troppo le maniche; non voleva certo mettere in mostra quella bruciatura di quarto grado che si era provocata quando di anni ne aveva appena venti, e l’unico modo che trovava per combattere lo schifo che le pareva di avere attorno era quello di procurarsi quanto più dolore possibile. "Che fica che sei!" – disse a se stessa, baciando lo specchio dell’ascensore che l’accompagnava dal quinto piano alla zona dei garage. Dei bambini giocavano con un pallone proprio dinanzi alla saracinesca dietro la quale era custodita la sua auto. Victoria diede qualche calcio in loro compagnia, prima di allontanarsi al ritmo degli Sneaker Pimps; quel giorno si sentiva particolarmente nostalgica. Parcheggiò l’auto a circa duecento metri dal corso, in una stradina secondaria. Il sole si andava nascondendo dietro i palazzi ad ovest, colorando il cielo con tonalità di rosso arancione e viola. Era a scena meravigliosa, e Victoria ne rimaneva incantata ogni volta. Non riusciva a resistere alla tentazione di fermarsi, con il naso all’insù, a contemplare quello spettacolo; era quello uno dei momenti della giornata in cui riusciva a sentirsi sempre felice. Appena entrata nel bar, sentì subito degli sguardi pesanti ed arrapati incollarsi alla sua schiena. Quel jeans valorizzava molto il suo sedere minuto ma tremendamente rotondo; lei lo sapeva, ed era così eccitata dall’idea di attirare l’attenzione, che il suo viso non poteva far nulla per nascondere tanta soddisfazione. Ordinò un Margarita e si sedette su uno degli sgabelli accanto alla parete, alla fine del lungo bancone. Da lì poteva scegliere verso quale lato della sala guardare e da quale lato farsi guardare. Sorseggiò per due volte dal bicchiere prima di capire chi era il suo uomo. Solitario, era seduto ad un tavolo a non più di sei metri da lei. Prossimo alla cinquantina, paffuto, gli occhi stanchi contornati da borse, un filo di barba argentea gli guarniva il volto. Distrattamente giocherellava con un bicchierino da brandy vuoto, mentre i suoi capelli crespi ed un tempo biondi continuavano a spruzzare di bianchi granelli la giacca color blue navy che aveva indosso. Appena i loro sguardi si incrociarono, Victoria gli si avvicinò decisa, puntando i suoi occhi grandi al centro di quella fronte che si andava increspando. "Cosa bevi?" – gli chiese con voce quasi impercettibile, accomodandosi al suo fianco. "Brandy, perché?" "Due brandy" – urlò verso il bancone, quindi si voltò: "Offri tu questo giro, vero?" "Beh, si. Se vuoi, offro io. Se cerchi dei soldi però, sei capitata proprio male…" "Credi che sia una di quelle sgualdrine che paghi di solito? Sei fuori strada, caro il mio…" "Roberto. Mi chiamo Roberto." "Vic." "Come?" "Vic. Puoi chiamarmi Vic." "Dunque…Vic, posso sapere cosa cerchi da me? Non ti ho mai vista qui al Paradise." "È la prima volta che ci vengo. Non mi piace frequentare gli stessi posti più di una volta." "Quindi non ti rivedrò più dopo questa sera, vero?". Una smorfia divertita gli smosse il viso. "Puoi scommetterci!" Due bicchieri colmi di brandy vennero appoggiati sul tavolo. "Cosa vuoi? Che cerchi da me?" "Tanto per cominciare, dimmi: a cosa vuoi brindare?" "Brindo alle donne strane e matte che incontro lungo il mio cammino…" "Io brindo agli uomini che sanno cogliere il momento giusto per vivere esperienze nuove…" Entrambi mandarono giù il contenuto dei bicchieri. Entrambi sorrisero, ma una luce diversa ornava i loro volti. "Ti va di venire con me?", disse allora Victoria, socchiudendo appena gli occhi. "Dove?" "Che importa…" "Quando?" "Adesso!" "Perché dovrei venire?" "Perché sono sicura che l’idea ti arrapa molto, vero Roberto?". Provò ad allungargli una mano sul ginocchio, ma lui istintivamente lo ritrasse. Imbarazzato, sorrise nuovamente. "Andiamo", disse Victoria, alzandosi dalla sedia. Roberto la seguì, attraversando la sala con gli occhi fissi sul pavimento. Sapeva di essere osservato e la cosa non gli piaceva. Non era cosa comune vederlo in compagnia di una donna, figurarsi in compagnia di una tanto giovane ed attraente. Il tragitto in auto fu breve e silenzioso. Poche vetture popolavano le stradine che si allontanavano dal centro. Nell’abitacolo di diffusero le note di "I will survive". "Quanti anni avevi quando scrissero questa canzone?", gli chiese. Roberto non rispose, limitandosi ad una scrollata di spalle. Sulla sua fronte, perline di sudore brillavano con le luci della notte. Arrivarono a pochi metri da un grande cancello; alle sue spalle un condominio di case moderne. "Ora scendi", disse Victoria bruscamente. "Fuma una sigaretta, ma non essere troppo avido. Quando hai finito, vai al palazzo numero 3, sali al sesto piano, interno 31. Non bussare! La chiave la trovi sotto lo zerbino: è quella azzurra. Tutto chiaro?" "Palazzo 3, sesto piano, interno 31, chiave azzurra. Tutto chiaro, ma…" "Perfetto. Ti aspetto lì. Non fare casino, mi raccomando. Ora scendi." Appena fuori dall’abitacolo, Roberto accese una sigaretta. "Chi è questa pazza? Che diavolo vuole da me? Soldi non ne ho, e lei lo sa. Magari vuole davvero scoparmi. Si, deve essere così. Vuole scoparmi. È una ninfomane e vuole scopare." La cicca della sigaretta atterrò dinanzi ai suoi piedi sbriciolandosi in mille lapilli. Di tempo ne era trascorso troppo poco: ne accese un’altra. "Se ha quelle strane droghe in casa, gliele lascio; devo essere lucido almeno più di lei. Anzi, la faccio sballare come si deve e poi la castigo a dovere. Il telefonino. Devo farle un filmino con il telefonino." Mise una gomma in bocca e si avviò con passo deciso verso la sua meta; in petto una piacevole ansia, tra le gambe calore pulsante come non avvertiva da tempo. Trovò la chiave sotto lo zerbino, come gli aveva detto; sulla porta nessuna targhetta. Picchiettò istintivamente le nocche contro il legno scuro, prima di varcare la soglia di casa. Il pavimento era ricoperto di candele bianche e larghe; le loro fiammelle vibrarono quando la porta gli si chiuse alle spalle. Della musica jazz era diffusa nell’aria assieme al profumo di fiori freschi. "Sei stato più in gamba di quel che pensavo. Bravo…" Victoria era apparsa d’improvviso. Era di fronte a lui e la sua figura tremava assieme alle luci delle candele. Roberto rimase senza fiato quando notò che indossava unicamente un perizoma ed un reggiseno, entrambi blu elettrico, entrambi di pizzo. "È un sogno, vero?" – disse, pentendosene un attimo dopo. "Può diventarlo, ma solo se lo vuoi…" – aggiunse Victoria, accarezzandosi con una mano il cranio pelato. Scomparve quindi dietro una porta. Roberto la seguì con lunghi passi, ritrovandosi in una camera con un grande letto. Su una parete, accanto allo specchio, erano appese delle fotografie; sul muro di fronte una riproduzione de "Il bacio" di Hayez. Victoria era lì, in ginocchio al centro del letto; la sua carnagione scura risaltava ancor di più contornata dalle bianche lenzuola di cotone. In un attimo Roberto era sul letto, le braghe calate, il petto villoso scoperto, le calze ancora ai piedi. Cominciarono a baciarsi violentemente; un incrocio di lingue rabbiose battagliava a mezz’aria, braccia e gambe si incastravano tra loro cercando la maggior superficie di contatto. "A me piace comandare e giocare", sussurrò Victoria, slacciandosi il reggiseno e lasciando liberi i capezzoli turgidi. Prese dal comodino delle corde spesse e nere, e cominciò a giocare prima con quelle, poi con l’uccello del suo compagno di quella sera. Roberto capì le sue intenzioni; chiuse per un attimo gli occhi, quasi come segno di incondizionata resa. Si stese quindi con la testa sul cuscino, porgendole prima i polsi, poi le gambe. In un attimo era legato al letto. "Hai stretto proprio per bene, eh? Ora fammi vedere cos’altro sei capace di fare piccola". Victoria gli salì a cavalcioni sul petto, lasciandosi leccare il seno gonfio ed afferrandogli con forza i capelli unti. "Chi sei? Tu chi sei?" – chiese ansimante Roberto. Victoria gli tolse le mutande, afferrando tra le mani il suo uccello pulsante. Si girò quindi verso i suoi piedi, lasciandogli modo di guardarle la schiena. Due grosse ali tatuate le ornava lo spazio compreso tra le scapole e le anche. "Io sono un angelo", sussurrò Victoria. "Perché? Perché hai scelto me?" "Perché sono venuto a portarti gioia prima che tu paghi per i tuoi peccati", rispose prendendoglielo in bocca. "Fammi gioire…" Un rumore sordo tagliò l’aria. Roberto aprì gli occhi. Victoria era lì a sorridergli. Il suo corpo pieno di sangue. Il suo viso, il suo seno erano inondati di caldo liquido rosso. Tra le sue mani un pezzo di carne molle che sbrodava. "La senti la gioia adesso, Roberto? La senti?" "Cosa mi hai fatto? Puttana di merda! Liberami! LIBERAMI!" "Salutami papà, Roberto. Diglielo tu che il suo angioletto ha imparato tutti i suoi insegnamenti a proposito degli uomini." Una lama trafisse quel corpo flaccido e sudato prima al petto, poi nella pancia, quindi placò la sua ira e quella della mano che la brandiva affondando nell’occhio sinistro. Victoria scese dal letto e si mise a sedere sulla poltrona. Si sfiorò leggermente il pube, proprio mentre si lasciò sopraffare da un violento orgasmo. Fumò una sigaretta intensa e solitaria. Osservò nuovamente il suo profilo nello specchio: si, era proprio bella quella sera. Si alzò di scatto ed osservò la stanza intorno a lei. Spense velocemente tutte le candele usando le dita della mano destra. "È ora di sbrigarsi", disse a mezza voce. I piatti sporchi erano ancora nel lavello in attesa di essere puliti.
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