Ah scafati.. che belle esperienze, in quei luoghi.
Mi ero accorto subito, appena arrivato, che si trattava di un paese fuori dal mondo. Na cosa non ai confini della realtà, ma molto fuori. Un corso con palazzi piuttosto nuovi ma, nelle adiacenze, il tempo si era fermato. In quella strada, particolarmente, tutto era rimasto come cento anni fa. Ci mancava poco che ancora non si usasse il baratto. A cominciare dalle forme di vita sul territorio, era tutto particolare.
In quel fiume ormai secco, nel quale scorreva qualche sputazzata di liquido marroncino, c’erano arbusti sconosciuti al resto del mondo. Anche la pianta-pneumatico e la pianta-pannolinosporco. La fauna, discorso a parte. C’erano certi piccioni grossi come tacchini. Non erano animali, erano caccia bombardieri. Dovunque mettessi la macchina, la mattina dopo me la ritrovavo con certe cagate sopra grosse così. Chissà che cazzo mangiavano per essere così prolifici. Uno dei primi contatti con gli aborigeni l’abbiamo avuto quando, in un assolato pomeriggio, qualcuno ha suonato al citofono. Ci siamo affacciati e un trappaniello ha urlato “sono il cugino di franco, potete tirare nu poco il discarico?”. Abbiamo capito allora che non sarebbe stata una vacanza normale.
Siamo poi giunti, dopo diverse osservazioni della popolazione locale, alla conclusione che quella scafatese debba essere per forza una stirpe maledetta. Una sorte di genìa condannata dal Signore. Tutti brutti. Ma di un brutto che non ne hai idea. Ancora con lineamenti pompeiani, da settantanove dopo cristo. E cuozzi, parecchi cuozzi. Sicuramente all’eruzione risaliva la tizia dell’alimentari proprio sotto casa. Aveva un’età indefinibile, penso intorno ai trecento anni. Perennemente seduta sulla sediolina.
Tu andavi, chiedevi, e lei con la manina ti indicava lo scaffale dal quale TU avresti dovuto prenderti la roba. In tutto questo il figlio, molto attempato, cercava di rifilarti delle melanzane fatte in casa dalla perfida vecchina. Che fosse perfida l’ho scoperto poco prima di tornare a casa: avevo chiesto se era possibile avere delle buste di plastica vuote, per trasportare delle cose. Beh, si è molto risentita perché “vir nu poc, ‘e bbuste ca nuje ce mettimmo ‘a rrobba dinto!”.. non si è convinta nemmeno quando mi sono offerto di pagargliele. Mah..