Nick: POESIA_70 Oggetto: 1/05/94 lo ricordo così Data: 1/5/2007 17.59.1 Visite: 182
primo maggio 1994.... muore a Imola Ayrton Senna Da Silva, il più grande pilota della Formula 1 moderna. Al settimo giro Senna è al comando. Il piantone dello sterzo della sua Williams si rompe: una nuvola di polvere alla curva del Tamburello e tutto è finito. «C’è una certa dose di rischio nelle gare automobilistiche: fa parte delle corse. Così quando guidi, fai le prove o corri, sei esposto a dei rischi. Alcuni sono calcolati, altri provocano situazioni inaspettate. E tu puoi non esserci più, così: in una frazione di secondo. E' così che capisci che tu non sei nessuno: all’improvviso la tua vita può finire. Fa parte di questo mestiere, o lo affronti da professionista, in modo distaccato, o altrimenti lasci perdere e smetti. E si da il caso che io ami troppo quello che faccio per lasciare semplicemente perdere. Non posso: è parte della mia vita». Pilota purosangue Ayrton Senna Da Silva nasce il 21 marzo, primo giorno di primavera, del 1960 a San Paolo del Brasile. La prima cosa che impara a fare è guidare: il padre lo mette sui kart all’età di cinque anni. Gli inizi sono duri, e il giovane Ayrton può permettersi di correre solo grazie alla ricchezza della propria famiglia. Ma è anche uno studente modello e un ragazzo molto intelligente (non a caso, infatti, molti anni dopo curerà personalmente, senza manager, i propri interessi e la propria carriera nel difficile mondo della Formula 1). Il salto di qualità, come racconterà alcuni anni più tardi, arriverà grazie alla Formula Ford: motori da 1600 cc di cilindrata, pneumatici 165, 200 km/h di velocità massima e niente carico aerodinamico. Qui il giovane Senna (ha già scelto che il mondo lo conoscerà col cognome della madre) sviluppa la sua straordinaria e leggendaria sensibilità di guida: impara a "sentire la macchina col sedere". Lo spiegherà quando i giornalisti gli chiederanno di svelare il suo segreto: «quando la macchina inizia a uscire di traiettoria lo sento subito col sedere». Ma in realtà non ci sono segreti, solo talento naturale e tanto coraggio: «Senna era uno dei più grandi talenti che sia mai vissuto nelle competizioni a motore» dirà poi Jackie Stewart, a sua volta uno dei più grandi campioni nella storia dell’automobilismo. 65 pole 65 pole position: un record che ancora resiste. Senna esordisce in F1 alla guida di una Toleman nel Gran Premio di casa, a Interlagos, nel 1984. Poi tre anni alla Lotus, sulla quale (in Portogallo nel 1985) vince il suo primo Gp, e dove trova per compagno Elio De Angelis (col quale non andrà mai d’accordo). Poi sei anni, tre titoli, 35 Gp e 45 pole position, alla Mc Laren (insieme a Prost, Berger, e Hakkinen); e tre gare con la Williams (a fianco di Damon Hill) nel 1994. In totale 161 Gp disputati, 41 vinti, 80 volte sul podio e 19 volte il più veloce in gara. Solo tre i titoli mondiali. Troppi i campioni contro cui deve combattere la domenica: Mansell, Piquet, Prost. Ma al sabato è un’altra storia: «la pole position è come una gara di cento metri. Dai tutto quello che hai, in quel minuto, minuto e mezzo: trattenendo il fiato in certe curve, non respirando per bilanciare meglio la vettura, per aumentare la sensibilità. La carica di adrenalina è incredibile, da un secondo all'altro. Credo che sia il momento più grande, più forte, più alto! Ogni volta che ottengo una pole position, mi sento rinascere». «Non è solo una caccia al titolo mondiale: è una passione molto più vasta. E che richiede un'enorme concentrazione» Ayrton Senna è diventato presto uno straordinario campione del volante, ma non solo: «la vita di Ayrton Senna è stata un esempio di dedizione e amore per lo sport. Il mondo ha perso il più grande atleta della storia delle competizioni motoristiche. I Gran Premi non saranno mai più gli stessi senza Ayrton» dirà dopo la sua morte Emerson Fittipaldi. Per la Formula 1 Senna è stato sopratutto questo: un grande sportivo. «Vorrei che nel 1993 ci fossero tre Williams, una per me, una per Mansell, una per Prost». Niente a che vedere con i "campioni" di oggi. «Puoi aver torto o ragione, ma devi combattere per quello che ritieni giusto. Pensavo di lottare per una cosa che ritenevo giusta, perché mi avevano rovinato l'anno prima e durante l'inverno. Poi mi hanno rovinato qui quando ho ottenuto la pole position e avrei dovuto partire dal lato giusto. Se la pole position fosse stata assegnata in maniera corretta, non sarebbe accaduto alcun incidente, perché avrei avuto un avvio migliore. Sarei stato in testa alla prima curva, senza alcun problema. Tutto questo è successo a causa di una decisione sbagliata, influenzata da Balestre (allora boss della F1, ndr). Il risultato è stato la collisione alla prima curva. Ho contribuito all'accaduto, sì, ma la responsabilità non è stata mia». E ancora: «Perché provocai l'incidente? Perché ero stato rovinato dal sistema. Se questo succede ogni volta che cerchi di fare il tuo lavoro in modo trasparente e giusto, cosa devi fare? Tirarti indietro e dire, "grazie, sì, grazie"? È chiaro che non è possibile». Queste le parole di Senna sugli incidenti di Suzuka del 1989 e del 1990, in cui prima perde e poi vince il titolo contro il suo compagno di squadra, Alain Prost. Questo l’uomo: niente scuse, niente finti pentimenti; nessuna ipocrisia: dignità. Certamente, scene come quella a cui il mondo intero assisterà a Hockenheim nel 2002, per un pilota e un uomo come lui sono del tutto inconcepibili. In un mondo dove non c’è spazio per i secondi («il secondo è il primo degli sconfitti») ma anche popolato da parassiti, intrallazzatori e politicanti di vario genere, la sua profondità d’animo, l’intelligenza, l’incredibile tenacia, insieme al talento e al suo bisogno assoluto di vincere, ne fanno un uomo dotato di una forza carismatica fuori dal comune. Un eroe dello sport, per certi. Un grande per tutti. E’ questo il motivo per cui è tanto amato dai tifosi: non perché vinca tutto e sempre, ma per come batte e combatte gli avversari: «Sì, ho mandato a monte una vittoria certa. Ma competere non è solo stare davanti, in testa per tutta la gara e raggiungere la bandiera a scacchi, o partire dietro e aspettare che gli altri facciano un errore o rompano il motore, sperando così di vincere. Il mio stile è differente: io voglio aggiudicarmi ogni vittoria per merito mio. È questo il vero piacere di correre e vincere. Se non si fa altro che aspettare gli errori degli altri, si coglie solo una frazione del piacere, e io corro per il piacere di vincere». «Quello che faccio davvero io per la povertà non lo dirò mai. La F1 è ben misera cosa in confronto a questa tragedia» Voleva "dare un’opportunità a tutti", Ayrton. Per questo la sua fondazione per i bambini orfani. In Brasile Ayrton Senna è, ancora oggi, il campione della gente. Non solo il ricco sportivo che vive una vita da sogno, ma l’uomo che fa sognare la gente comune con le sue gesta, che trascorre gran parte del tempo libero con la famiglia, che fa quello che può per alleviare le sofferenze di chi nel suo Paese muore di fame. Dieci anni fa quello che moriva dopo lo schianto contro il muro del Tamburello, era insomma un vero uomo, prima che un grande pilota. E a tutti quelli che amano l’automobilismo e lo sport, mancano tutti e due.
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