TRATTAMENTO MECCANICO BIOLOGICO
I sistemi di trattamento meccanico biologico non sono nuovi. Nelle loro forme più primitive, li possiamo considerare come una evoluzione di base rispetto agli impianti di compostaggio di rifiuti indifferenziati (di solito fallimentari) di due decadi fa. Tuttavia, il potenziale di integrare sistemi basati sul trattamento biologico di frazioni degradabili con tecniche di separazione meccanica sempre più efficienti è uno sviluppo più recente, come lo è la tendenza di cercare di impiegare tecniche di digestione per la fase di trattamento biologico, invece che trattamenti aerobici.
Nel sistema proposto, che indubbiamente potrà essere migliorato, abbiamo suggerito che le tecniche di separazione meccanica che operano sui rifiuti residui (per esempio quelli che rimangono dopo la raccolta differenziata) possano estrarre frazioni riciclabili di vetro, plastiche dense, alluminio, acciaio, come pure una certa quantità di carta, cartone e di pellicole di plastica. Per gli ultimi due tipi di materiali, potrebbero non esserci grosse prospettive di utilizzo sul mercato, sebbene la carta e il cartone possano essere usate nel compostaggio aerobico. Lo scopo è quello di pulire la parte residuale, attraverso la rimozione di materiali utili, per lasciare una frazione di rifiuti biologici, che altrimenti essendo contaminata da materiali non catturati il sistema non riuscirebbe a riciclare. Nel nostro processo, questo materiale viene poi sottoposto ad una fase di digestione, prima di venir stabilizzato attraverso trattamenti aerobici (e qui la carta e il cartone estratto potrebbero essere reintrodotti se non c’è mercato per questi materiali). È possibile estrarre da questo materiale una frazione fine, che sarebbe adatta ad applicazioni di basso livello, ma che non dovrebbe essere usata su terreni agricoli.
Questo sistema, che genera all’incirca la
stessa quantità di energia di quella che
impiega (per cui l’erogazione netta di energia sarebbe zero), funziona bene se paragonato ad altri sistemi di trattamento dei rifiuti residui, nonostante il fatto che altri trattamenti possano erogare più energia. In effetti, un bilancio dei gas serra mostra proprio il buon funzionamento di un tale sistema, perché l’enfasi è tanto (se non di più) sui materiali, quanto sull’energia. Nel peggior scenario, questo tipo di sistema richiede che sia conferito in discarica ancora meno di un terzo di ciò che viene prodotto. Tuttavia il materiale destinato alla discarica è relativamente inerte, se confrontato ai rifiuti non trattati. È ridotto il potenziale di generare metano, odori e percolato, quest’ultimo meno pericoloso di quello proveniente da altri materiali quando vengono messi in discarica.
Anche le proprietà di ingegneria sono diverse, osservando meno problemi per quanto riguarda i cedimenti di assestamento (sebbene il materiale abbia bisogno di piccoli aggiustamenti quando viene posto in
discarica).
Questo impianto non fornisce un’alternativa
alla raccolta differenziata. La qualità dei
materiali estratti, in particolare delle frazioni di carta e cartone e di quelle organiche (che entrambe sono componenti importanti del flusso di rifiuti non differenziati), è infatti più
bassa rispetto a quella che si ottiene attraverso la raccolta differenziata.
Il trattamento TMB fornisce un sostegno a questo sistema. Messo a fianco di un sistema di raccolta differenziata spinta, calcoliamo che un’amministrazione locale, che producesse 200.000 tonnellate di rifiuti, dovrebbe inviarne in discarica circa il 15% del totale. In altre parole, una “diversione” (un dirottamento dalla discarica) dell’85% è del tutto fattibile senza alcun bisogno di ricorrere a trattamenti termici.
