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Nick: falconero
Oggetto: SUD: qui le radici d'Europa
Data: 7/5/2004 13.14.21
Visite: 87

NEL SUD LE RADICI DELLA NUOVA EUROPA - Sintesi

Il Sud, per una nuova appartenenza

Non possiamo far finta che il disagio del Sud non esista, perché è proprio questo il dato reale dal quale occorre partire per avviare quelle riforme che interessano il Sud perché interessano tutto il nostro Paese. Oggi i bisogni del Mezzogiorno sono i bisogni italiani in generale: o si interviene sul meridione o l’Italia sarà perdente in Europa. Occorre quindi una radicale un’inversione di tendenza rispetto al passato, comprendendo che oggi SVILUPPARE IL SUD SIGNIFICA SVILUPPARE L’ITALIA. È necessario porre le basi di un nuovo "patto" tra Istituzioni e cittadini nel Mezzogiorno, un progetto credibile che consenta ai giovani di investire nel proprio futuro, nella propria formazione, nei propri saperi, che consenta alle imprese di credere nella possibilità di generare valore, che consenta alle famiglie di vivere con serenità il futuro del più grande patrimonio del Mezzogiorno: i suoi giovani.

Il Mezzogiorno oggi

I dati riguardanti il Mezzogiorno non sono univoci. Il segnale non è solo negativo. Esiste certamente una priorità sul meridione per sviluppare l’Italia, ma per questo occorre non dimenticare né annullare le differenze reali tra Sud e Nord. I fattori di sviluppo ci sono, ma si accompagnano ai fattori di crisi, che risaltano nel panorama non certo brillante dell’economia nazionale. Da diversi anni il Sud cresce ad un ritmo superiore. È la prima volta, dopo molti anni, che ciò avviene per un lungo periodo accompagnato da una riduzione del divario nel Pil pro-capite. La fase di crescita è trainata da una forte dinamica degli investimenti fissi lordi (4 per cento in media annua), più elevata che nel Centro-Nord. Non accadeva più dagli anni sessanta che l’accumulazione di capitale, base essenziale dello sviluppo, fosse favorevole al Sud. La maggiore vivacità si evidenzia anche nella più alta natalità imprenditoriale del Sud rispetto al Centro-Nord e questo pure in presenza di un generale rallentamento del ciclo economico internazionale e nazionale.
Ma questi elementi non bastano, perché i fattori di apparente forza congiunturale del Mezzogiorno sono anche elementi di debolezza strutturale. L’economia meridionale dimostra infatti la sua minore integrazione nei grandi processi dell’economia internazionale. Oggi il Mezzogiorno è cresciuto relativamente di più rispetto al Centro-Nord perché la sua economia mantiene un elemento di forte sussistenza. Ciò lo ripara dalla congiuntura avversa, ma in prospettiva ne ritarda la ripresa in un momento cruciale per l’economia mondiale. In una prospettiva di medio periodo, la spaccatura nelle caratteristiche socio-economiche delle due grandi ripartizioni del Paese rimane ancora profonda e, d’altra parte, lo stato relativo delle famiglie è preoccupante: disoccupazione e povertà sono i due volti della stessa medaglia. La realtà meridionale appare dunque duplice: forti segnali di vitalità economica e civile, e al tempo stesso il persistere di una distanza rispetto al Nord che le normali dinamiche del mercato non possono colmare. Serve allora uno sforzo maggiore, una diversa politica economica che, riconoscendo i gravi problemi finanziari, si dimostri più coraggiosa.

Creare le condizioni per la crescita del Sud

È la sicurezza il primo impegno di uno Stato con i suoi cittadini. Al Sud però questo patto è difficile mantenerlo: le interferenze della criminalità organizzata nello sviluppo economico-sociale sono ancora troppo forti e non solo continuano ad alimentare sfiducia nei confronti delle Istituzioni, ma rappresentano anche un grave ostacolo alle possibilità di crescita economica e civile. Garantire la sicurezza dei cittadini e delle imprese significa porre la basi indispensabili per una crescita seria e duratura, per attirare investitori e dare fiducia alle giovani generazioni.

Una grande progettualità per il Sud e per l’Italia

Quello che manca all’Italia per lavorare in questa direzione non sono i soldi o le risorse; quello che manca è la PRIORITÀ DEL SISTEMA PAESE, di una PROGETTUALITÀ ad ampio raggio e a lungo termine, secondo obiettivi prestabiliti. Bisogna pensare a un programma di sviluppo territoriale, integrato, che riguardi l’espansione territorio nel suo complesso e non il caso singolo di ciascuna azienda. Occorre aprire una nuova stagione di "concertazione delle responsabilità" per una crescita che superi definitivamente il vuoto consociativismo della Sinistra, che ha favorito solo una diversa ripartizione di una torta sempre più piccola. Una concertazione nella quale ciascuno - Parti sociali, Enti locali e Stato - assuma le proprie responsabilità, partecipi al disegno di sviluppo e si impegni a concorrere alla sua realizzazione, sapendo che per lo sviluppo servono tempo e pazienza, il dipanarsi di una costruzione collettiva, la capacità di darsi obiettivi di lungo periodo, di essere ambiziosi, di mirare alto. La nostra vera leva competitiva in Europa è il Sud, ecco due elementi: UN GRANDE PATTO PER IL SUD con le organizzazioni dei lavoratori per la concertazione sindacale e con le organizzazioni per ascoltare i bisogni concreti del Paese e localizzarli. E poi partecipazione reale e sociale con il beneficio della flessibilità contrattuale modellata sulle esigenze del meridione. Le strutture portanti dell’industria al Sud ci sono, ci sono anche le condizioni ottimali per collocare al Sud la ricerca vera ed eccellente e tutti i mezzi per far attecchire settori produttivi come l’agroalimentare, l’artigianato e l’arredamento. Bisogna soprattutto radicare il sapere competitivo proprio di ciascun territorio all’interno della competizione europea, perché la RINASCENZA MANIFATTURIERA DEL NOSTRO PAESE PARTE DAL SUD, LE CUI BELLEZZE AMBIENTALI, PAESAGGISTICHE E AGROALIMENTARI POSSONO DIVENTARE UN SISTEMA INDUSTRAIALE COMPETITIVO NEL MONDO. Il Mezzogiorno ha bisogno di trovare questa sua "identità competitiva" nella capacità di disegnare un percorso di sviluppo, che affondi le radici nella cultura, nelle tradizioni, nelle risorse da valorizzare, nell’ambiente e nei beni archeologici, nell’agricoltura, nella ottimizzazione delle potenzialità dei sistemi produttivi territoriali, nell’innovazione, nell’imprenditoria femminile e giovanile. Il Sud deve tornare a riscoprire la fiducia in sé e nelle proprie ricchezze irripetibili. Per tutto ciò è necessario avviare una fase di lavoro comune dedicata:
- alla verifica delle azioni in corso per garantirne una migliore efficacia attraverso la definizione di processi decisionali e di modalità operative più rapide;
- alla individuazione di specifici progetti di attrazione nelle aree attrezzate del Mezzogiorno;
- alla definizione di nuove procedure finalizzate a semplificare i tempi e i modi per la realizzazione dei progetti;
- a condividere più in generale i modi attraverso cui il contesto istituzionale e sociale sia più idoneo a garantire certezze agli investimenti nel Mezzogiorno;
- alla sperimentazione di "contrattazioni territoriali" (non tanto salariali, quanto normative) in un contesto di sviluppo locale nel quale vengano valorizzate le specificità delle singole aree.

Sviluppare il Sud per rilanciare l’Italia in Europa

Non dobbiamo puntare sul Sud per il Sud, ma sul Sud per il Paese intero e per l’Europa.
L’Italia tornerà a svilupparsi solo se si rivolgerà verso Sud, e l’Europa - dal canto suo - non può continuare a ignorare la partita geopolitica aperta nel Mediterraneo. Questo non significa certo tornare a esportare il Nord al Sud, bensì riconoscere l’identità e le vocazioni del Mezzogiorno come basi di partenza per uno sviluppo economico e sociale, non indotto, ma autonomo e complementare rispetto a quello del Nord. Uno sviluppo che dia protagonismo alle regioni meridionali, facendo sentire la presenza dello Stato come sicurezza del cittadino, controllo del territorio, garanzia di infrastrutture e di servizi, tutela nei negoziati e nelle progettualità dell’Ue. Tutto, però, si deve inserire in una cornice strategica e geopolitica più ampia, che è finalmente possibile. L’Europa può oggi trovare nel Mediterraneo il riferimento strategico tra Est Europa, Asia Minore, Oriente ed Africa. Oggi Mediterraneo non significa solo Magreb, vuol dire anche Medio Oriente, Asia, ma soprattutto Mar Nero, qualcosa di molto diverso dalla liturgia comunitaria dell’euromediterraneo, molto di più di quanto fatto (ma soprattutto detto) negli anni passati con i vari programmi Euromed. Per questo i giovani del Sud hanno diritto ad una scuola vera, che sappia aprire loro le prospettive internazionali e le occasioni che si intravedono sui nuovi mercati come grandi opportunità.

Non una politica per il Mezzogiorno, ma una politica per l’Italia e per l’Europa

Fino ad oggi ci sono state due fasi opposte del meridionalismo. La prima, basata sull’intervento straordinario, riteneva che il Sud fosse un "Nord arretrato" e che quindi l’obiettivo dovesse essere quello di copiare nel Sud il modello di sviluppo industrialista delle regioni settentrionali. Migliaia di miliardi di lire sprecate o finite in mano alle reti clientelari, "cattedrali nel deserto" abbandonate non appena si esaurivano gli incentivi, enormi devastazioni del territorio, sono la pesante eredità di questa epoca. Un po’ per reazione e un po’ per stanchezza, sul finire degli anni ’80, siamo passati ad un’altra fase, quella in cui i meridionali "dovevano fare da sé", quella delle regioni abbandonate a loro stesse a gestire le poche risorse rimaste, quella del liberismo ideologico per cui l’intervento statale era sempre e comunque un male. Il risultato è stato un progressivo abbandono, un ipocrita disinteresse, se non la compiacenza per le campagne di diffamazione nordista urlate dalla Lega di Bossi. E così il Nord è tornato ad assorbire ogni cosa, da tutto il sistema bancario alle infrastrutture più avanzate, dai corridoi europei ai grandi poli culturali, dalle piccole alle grandi industrie. Di questo ritorno nordista non è stato immune il governo Berlusconi, almeno sul piano dell’immagine, dato che le grida leghiste non potevano non fare più rumore dei pazienti sforzi di Alleanza Nazionale per tenere unita l’Italia. Ora è tempo di aprire una terza fase in cui "la questione meridionale" torni ad essere riconosciuta come centrale nel nostro progetto nazionale e come linea di espansione dell’integrazione europea. L’Italia tornerà a svilupparsi solo se si rivolgerà verso Sud. L’Europa d’altra parte non può continuare ad ignorare la partita geopolitica aperta nel Mediterraneo. Questo non significa tornare ad illudersi di poter esportare il Nord al Sud, ma al contrario partire dal riconoscimento dell’identità e delle vocazioni del Mezzogiorno che devono essere la base per uno sviluppo economico e sociale non artificiale e non indotto, ma autonomo e complementare rispetto a quello del Nord. Il Paese oggi vive una perdita di competitività che porta con sé un reale rischio di declino economico. Questo non vale solo per l’Italia ma per tutti i grandi Paese dell’Europa continentale (Germania e Francia). Quello che oggi manca non è tanto una nuova politica per il Mezzogiorno quanto una politica di sviluppo economico e sociale per l’intero Paese e, ancora di più, per l’Unione Europea nel suo complesso. Tutto questo richiede un Paese che non ragioni più per Nord e Sud, ma che si dia un obiettivo comune: fare dell’Italia un sistema che si costruisce in rete e che condivide gioie e doveri dello sviluppo. IL RAPPORTO TRA NORD E SUD DEVE ESSERE REINVENTATO.

Più Stato per il Sud, Più Sud per l’Europa

L’Europa a 25 non può continuare a porre in secondo piano le relazioni europee con il Mediterraneo. Il mezzogiorno deve poter reggere l’integrazione monetaria e commerciale. Vogliamo uno sviluppo che dia protagonismo alle regioni meridionali, ma con il supporto potente e sussidiario delle istituzioni centrali, necessarie anche per garantire e massimizzare l’utilizzo delle risorse europee. Uno sviluppo in cui si senta la presenza dello Stato come sicurezza del cittadino, controllo del territorio, garanzia di infrastrutture e di servizi, tutela nei negoziati e nelle progettualità dell’Ue. È necessario arrestare la deriva federalista avviata dalla sinistra e battere le spinte secessionistiche della Lega ripristinando nella Costituzione l’interesse nazionale. Dobbiamo costruire una nuova ragione di Unità nazionale che dia al Paese più Stato nell’ambito di una Europa più forte. Più Stato e più Europa non significa maggiore burocrazia, ma maggiori capacità strategiche e progettuali senza le quali non si può scongiurare il declino nel quale l’area europea sta già entrando. Più Stato e più Europa per dare più fiducia ai giovani, per investire sulla propria formazione; alle imprese per investire sulla qualità; alle istituzioni pubbliche per investire sull'efficienza. Dare un disegno complessivo e un percorso di sviluppo coerente rispetto all’integrazione europea e alla competitività sistemica del mondo globale sarà la sfida della politica del Mezzogiorno nei prossimi anni. Ma qui torna il "bisogno di Europa".
Il progetto mediterraneo non si può costruire solo a livello nazionale, richiede il coinvolgimento di tutto il nostro continente, poggiando su una grande politica estera, volta alla coesistenza tra le culture, alla cooperazione economica e culturale, senza più delegare a nessuno la presenza attiva nel mare in cui siamo immersi. Dall’Europa noi non vogliamo il monetarismo miope dei "patti di stabilità" nemici della crescita, la tecnocrazia arida della Commissione Prodi, la burocrazia dei regolamenti pignoli e centralisti, la cancellazione delle risorse per lo sviluppo in nome della "disciplina finanziaria" fine a se stessa. Noi vogliamo una politica economica di respiro geopolitico e globale, il rispetto per le identità e i bisogni dei popoli, il coraggio di affermare il modello europeo. Tutto ciò oggi ha radici più nel Sud che nel Nord e, proprio per questo, solo volgendosi a Sud sarà possibile costruire la nuova Europa. È al nuovo contesto geopolitico che dobbiamo guardare e le nuove politiche per il Mezzogiorno devono essere inserite all’interno di una nuova strategia geopolitica di sviluppo che: - integri ed arricchisca la strategia europea verso l’Est;
- abbassi il baricentro dell’attenzione politica dell’UE;
- offra un’opportunità al sistema-Italia in difficoltà;
- centri sul Mezzogiorno prospettive di crescita reali e credibili per tutta la Nazione.

L’idea di futuro che ci prospetta la Commissione dell’Unione Europea guidata da Prodi appare confinata nell’ambito di una ordinaria amministrazione semplicemente allargata e diluita per fare fronte all’esigenza derivante dall’ingresso di nuovi Paesi. Non esiste né un progetto né una strategia che sembri in grado di rispondere alle grandi sfide che si presentano con il nascere di nuovi soggetti economici sul mercato mondiale e con l’esigenza di ricostruire nuovi equilibri geopolitici. In questi 4 anni l’Ue ha brillato per la sua assenza nello scenario internazionale e per la sua solerzia ragioneristica nell’affrontare le crisi strutturalI interne all’Europa, ma soprattutto ha deluso i suoi cittadini per l’incapacità di assumere una posizione responsabile e comune sui gravi avvenimenti in Iraq. Il posizionamento internazionale del Mezzogiorno

Il Mezzogiorno deve essere concepito come piattaforma e come grande vettore di sviluppo del Mediterraneo. Occorre infatti, nell’Europa a 25 stati, una nuova strategia geopolitica di sviluppo per la centralità dell’Italia intera. Il nuovo contesto deve essere costruito centrando sul Mezzogiorno prospettive di crescita, reali e credibili, per tutta la Nazione. Il fatto che si stiano rafforzando i legami con l'Europa orientale, apre scenari del massimo interesse per nuove reti di trasporto, scambi commerciali, operazioni di collaborazione produttiva. Lo sviluppo dei traffici marittimi mediterranei favorisce molto le città portuali più a Sud. Il procedere, nonostante la difficile situazione politica, della cooperazione dell'Unione Europea con i paesi mediorientali e nordafricani pone molte aree del Sud in prima fila.


Il Mezzogiorno ha una straordinaria opportunità:

- nei prossimi due o tre anni si attende una crescita straordinaria dei commerci e dei trasporti via mare:
- oltre il 30% degli scambi intercontinentali di merci già transitano nel Mediterraneo
- Gioia Tauro è già il primo polo logistico (hub) del Mediterraneo
- quasi un terzo di tutti gli scambi mondiali di merci passa davanti alle coste delle Regioni del Sud.

Si tratta di concepire il Mediterraneo quale snodo fondamentale tra i traffici del Nord Atlantico e quelli verso il Mar Nero, verso il Medio Oriente, verso l’Africa e verso l’Asia. Uno snodo che può essere attrezzato per fornire servizi e valore aggiunto prodotto dal lavoro e dall’intelligenza delle imprese del Mezzogiorno. Un modello di sviluppo che nell’operare sempre più nell’interscambio internazionale non perda, però, i caratteri peculiari del "produrre italiano" costituito dal design, dalla bellezza, dalla qualità, dal gusto e dall’unicità del suo territorio e del suo paesaggio.

Rimuovere gli ostacoli finanziari allo sviluppo e rafforzare il mercato dei capitali

Negli anni ‘90 si è assistito a un cambiamento radicale nel sistema bancario, che nel meridione subisce un vero e proprio tracollo. Sotto la regia del Governo di Centro-Sinistra e delle autorità monetarie, tutte le principali banche vengono assorbite da istituti centro-settentrionali. L’evoluzione del sistema bancario nazionale dovrebbe essere guidata verso un ritorno a forme di specializzazione funzionale sul modello della Banca di Sviluppo (come Germania, USA e Francia che non l’hanno mai abbandonata). In questo contesto ha un senso ipotizzare un organismo finanziario specifico per il Sud, in analogia con la prospettata creazione da parte della UE della Banca Europea del Mediterraneo (come emanazione regionale della BEI), che punti a sostenere la nascita e la crescita di insediamenti produttivi, nonché lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione, esclusivamente nella propria zona di competenza.

Infrastrutture efficienti e regolazione dei mercati

Lavorare solo sugli strumenti e non sugli obiettivi è pericoloso. Un discorso che riguardi solo infrastrutture e norme, cioè gli strumenti, è pericoloso. Occorre guardare agli obiettivi per destinare le risorse a ciò che è più trainante per lo sviluppo. LA FORZA DELLE SCELTE: questo conta e non "spargere" interventi in modo orizzontale; servono scelte mirate. Lo sforzo non deve provenire dall’alto del governo, ma dal dialogo tra poli produttivi. Il dirigismo è ormai superato. Il Sud, come l’Italia, abbisogna di infrastrutture adeguate capaci di erogare servizi a prezzi competitivi: acqua, elettricità, gas, telecomunicazioni, servizi postali, servizi radiotelevisivi, trasporti (aerei, ferroviari e marittimi), servizi portuali e aeroportuali, trasporti locali, raccolta dei rifiuti; ma anche servizi professionali, commercio e spettacolo e servizi alle persone. In questi campi il centro-sinistra è andato avanti perseguendo una privatizzazione senza regole sostituendo monopoli pubblici con quelli privati. Una regolazione è invece essenziale per le regioni meno sviluppate: da un lato perché aumentino le possibilità di autoimpiego e di impresa; dall'altro per poter fruire di servizi essenziali, dall'energia all'ADSL, a prezzi ragionevoli. La cattiva regolazione e l’irrazionale gestione del trasporto aereo nazionale è stato, ad esempio, un ostacolo importante allo sviluppo del Sud a lungo, e in particolare negli anni novanta.

Più welfare e più occupazione

Un diverso welfare è condizione indispensabile per accompagnare una differente regolazione delle relazioni industriali. Il rafforzamento degli interventi formativi, così come di moderni servizi pubblici e privati per l'impiego, in un quadro legislativo nazionale unico sui diritti di base di tutti i lavoratori, può costituire la condizione favorevole a un decentramento maggiore delle relazioni industriali. Laddove, per condizioni settoriali e territoriali, come nelle regioni del Sud, i livelli di produttività sono più bassi, le parti sociali potranno così concordare diverse condizioni salariali, differenziate e basate sulla produttività e maggiore flessibilità nell'impiego della manodopera.

Il futuro del Sud in mano ai giovani

Vogliamo credere nei giovani e nelle loro capacità intellettuali per creare centri di eccellenza tra università ed industria, per lanciare produzioni ad alto valore aggiunto e scarso impatto ambientale; non finanziamenti a pioggia ed incentivi automatici, ma partecipazione della società civile a grandi progetti strategici. Quindi non l’abbattimento delle garanzie sociali in nome di un liberismo texano, ma il rafforzamento di queste garanzie e la loro integrazione in una cultura partecipativa e comunitaria. Il Sud ha bisogno di credere in se stesso, di ritrovare l’orgoglio della propria identità e della propria appartenenza, per mobilitare le energie migliori e non farle più fuggire verso il Nord. Uno dei maggiori rischi del nostro sistema economico e sociale è costituito da un potenziale "conflitto generazionale", legato sia all’aumento della disoccupazione giovanile che alla riforma dei sistemi previdenziali. Il livello di protezione garantito alle generazioni non più in età da lavoro, infatti, scarica sui giovani i pesanti oneri della flessibilità generalizzata, della disoccupazione o del precariato. Superare il precariato ed assicurare alle nuove generazioni la possibilità concreta di costruirsi un futuro, una casa, una famiglia è la nostra responsabilità. Per questi motivi abbiamo insistito sulla riforma previdenziale e su quella del welfare complessivo. Poi c’è il tema dell’istruzione e della scuola, dove l’alibi della dequalificazione copre molte ingiustizie, inefficienze e rendite di posizione. È un delitto parcheggiare in questo modo centinaia di migliaia di giovani. Si dovranno, inoltre, prevedere meccanismi fiscali (diretti e indiretti) incentivanti la formazione dei giovani, nell’ambito delle famiglie e delle imprese anche attraverso deduzioni dal reddito complessivo. Attraverso una redistribuzione delle risorse derivanti dalla fiscalità, si potrebbero ad esempio tassare in misura ridotta i redditi di lavoro dei giovani, incentivare l’imprenditorialità delle nuove generazioni e la crescita di quella classe di "lavoratori della conoscenza" di cui il nostro sistema produttivo ha assoluto bisogno. In tal modo, si contribuirà ad una maggiore formazione di ricchezza e di sicurezza economica per le nuove generazioni, disinnescando ogni potenziale situazione di conflitto in coloro che, in età da lavoro, devono con le proprie contribuzioni pagare le pensioni delle generazioni più anziane. Il Sud ha nei giovani le chiavi per il proprio sviluppo, uno sviluppo che dia la possibilità a ciascuno di fare "le cose buone" che può e vuole fare, per scongiurare il rischio di farli ricadere in una "infelicità senza desideri".

Un federalismo solidale per il Sud e per l’Italia

La riforma costituzionale del centro sinistra, non ha operato quel riconoscimento previsto dalla Costituzione per la "valorizzazione" del Mezzogiorno. Il vecchio articolo 119 della Costituzione prevedeva espressamente il riferimento all’obiettivo della "valorizzazione del Mezzogiorno e delle Isole" voluto fortemente dal Costituente. Senza dubbio una disposizione di "diritto sociale territoriale", che dà attuazione ai valori di solidarietà e di unità nazionale, a tutela di un "Patto costituente" fondato sulla coesione economica e sociale dell’intero Paese. Un Paese, che ha fatto della valorizzazione delle differenze un "modo di essere" distintivo, ha il dovere di arrestare la deriva federalista avviata dalla sinistra e di battere le spinte secessionistiche della Lega ripristinando nella Costituzione l’Interesse Nazionale quale garanzia delle condizioni di uguaglianza dei cittadini ovunque essi risiedano. La nuova ragione di Unità nazionale, di Stato forte, nell’ambito di un’Europa più forte, è garantire a tutti i cittadini diffuse ed eque opportunità di partecipare alla crescita e di contribuire allo sviluppo. Un federalismo "giusto" comporta lo spostamento progressivo, dal centro alla periferia, di poteri e responsabilità in un quadro di continuo coordinamento orizzontale fra le regioni e di continuo coordinamento verticale fra Stato e regioni. Il federalismo, però, non è un diritto, ma qualcosa che si deve guadagnare con la fiducia dei cittadini. Per finanziare le loro nuove competenze i comuni, le province e le regioni hanno risorse autonome: ma queste in molte regioni non bastano a garantire gli attuali livelli dei servizi pubblici, date le enormi disparità territoriali del gettito fiscale. In un federalismo "giusto", la combinazione fra risorse proprie e perequazione deve conciliare bene due esigenze: - garantire a tutti i cittadini "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali"», come prevede la Costituzione; - garantire che le risorse finanziarie, derivate sia dalla fiscalità locale sia dai trasferimenti, siano adoperate in modo responsabile e trasparente. È molto importante usare la leva finanziaria per rendere l'intervento pubblico migliore; per monitorarlo; per verificarne gli effetti e renderli noti ai cittadini. Per ottenere davvero quei vantaggi di controllo, informazione, comparazione, che sono possibili in un sistema a responsabilità di spesa maggiormente decentrata.

Più sicurezza e più legalità al Sud

La sicurezza è il primo patto dello Stato con i suoi cittadini e questo patto al Sud è stato tradito. Più poliziotti, più carabinieri, più carceri, più tecnologia, oggi che con la tecnologia si può fare molto di più. Meno distinguo e più certezza della pena: il Sud è terra di grandi giuristi, avvocati e magistrati, ma è anche terra dove il diritto alla giustizia, l’amministrazione di questo servizio per i cittadini, è meno garantita. L’amministrazione della legge è semplicemente un servizio fondamentale che va amministrato bene e con efficienza, da parte di tutti gli attori. Su questo fronte c’è ancora molto lavoro da fare.



Per concludere: il vero shock competitivo di cui ha bisogno l’Italia è il rilancio del Sud.




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SUD: qui le radici d'Europa   7/5/2004 13.14.21 (86 visite)   falconero
   brutta notizia   7/5/2004 13.40.9 (35 visite)   DOCET
   x "Falconegro"   7/5/2004 13.46.6 (31 visite)   Frankie75
      mbe? mica siete razzisti?   7/5/2004 13.47.56 (30 visite)   falconero
         re:mbe? mica siete razzisti?   7/5/2004 13.53.38 (27 visite)   DOCET
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               e vatti a vedere la lazio   7/5/2004 14.4.25 (28 visite)   falconero
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   frankie   7/5/2004 16.3.53 (20 visite)   falconero
      re:frankie   7/5/2004 16.30.56 (14 visite)   Frankie75 (ultimo)

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