“Candidare indagati può significare lanciare un segnale gradito alla mafia o un messaggio di impunità, di una sfida alla giustizia… alle prossime elezioni non candidate indagati” (Procuratore Grasso, 29 gennaio 2006)
“L’esortazione di Grasso ci pare fuori luogo” (Lorenzo Cesa, segretario nazionale Udc, 29 gennaio 2006)
Davide Costa. Deputato regionale dell’Udc, 39 anni, arrestato nel novembre 2005 con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. L’anno precedente aveva già ricevuto un avviso di garanzia con la stessa accusa e si era dimesso. Il suo nome compare in alcune intercettazioni ambientali tra due mafiosi e lo accusano due collaboratori di giustizia, Vincenzo Giglio e Vito Vincenzo Rallo. Secondo l’accusa era “interessato a ricevere il sostegno della famiglia mafiosa di Marsala” a fronte di “erogazione di somme di denaro…. Si è reso disponibile a versare una somma di denaro di 100 milioni di vecchie lire ad un boss e ad assicurare, una volta eletto, l’ingerenza amministrativa nel comune di Marsala”. I boss tuttavia preferirono non essere pagati. Al telefono si lasciò scappare il nome di Casini. Insomma, una persona responsabile.
Antonio Borzacchelli. Ex maresciallo, deputato regionale, fedelissimo e “pupillo” di Cuffaro, arrestato nel febbraio 2004 per concussione e associazione mafiosa tout court, ora è fuori ma non può dimorare a Palermo. Secondo l’accusa passava informazioni in cambio di ingenti somme di denaro e favori a Michele Aiello. E’ doverosa una parentesi su costui: è il più ricco imprenditore siciliano, proprietario di ville sfarzosa e della clinica Bagheria di Santa Teresa, si incontra nei retrobottega con Cuffaro (del quale vanterà l’amicizia) e viene arrestato il 5 novembre 2003 con l’accusa di partecipazione a Cosa Nostra. Sarà sempre informato delle mosse della Procura. La talpona? E’ il suo amico Cuffaro! Uscirà di carcere dopo solo tre mesi e mezzo perché affetto da favismo e, non si sa perché, ma lo si immagina, lo chef dell’Ucciardone cucinava solo fave. Comunque ritornando allo Borzacchelli, secondo i magistrati ha agito indisturbato per 10 anni (lo testimoniano le numerose operazioni sui suoi conti correnti) e secondo Salvatore Aragona (medico condannato per mafia e favoreggiamento del boss Brusca, quello che fece saltare in aria Falcone e la sua scorta sciolse nell’acido il figlio del pentito Di Maggio) a informare Miceli, altro personaggio di cui parleremo dopo, dell’indagine nei suoi confronti fu proprio lui. Viene descritto come un ricattatore senza scrupoli pronto ad utilizzare la ex divisa per ottenere ville e denaro. Raffaele Lombardo, quello che ha fatto l’alleanza con
Vincenzo Lo Giudice. Deputato regionale, 67 anni, presidente della commissione Sanità, viene arrestato per associazione mafiosa. L’accusa gli contesta di aver affidato appezzamenti di terreni confiscati alla mafia ad una cooperativa che faceva riferimento alla stessa famiglia a cui era stato confiscato il bene. Viene chiamato Nenè Magnalasagna. Lo inchiodano intercettazioni telefoniche e ambientali. Parlava al telefono consapevole delle microspie, ma come se non ci fossero. Discute tranquillamente tra le altre cose di boss mafiosi: “Lo zio Nino?” “La buonanima! Un grande, grande, grande!”. Nel frattempo viene accusato anche di corruzione, riciclaggio e turbativa d’asta e si viene a sapere che in casa, sotto i mattoni del pavimento di uno stanzino, teneva una tangente di 500 milioni di lire. Gliela converte in euro un imprenditore, Calogero Marmo, che viene arrestato anche lui nella stessa operazione. Di Lo Giudice, dirà il Gup Morosini: in questo caso “il politico è al vertice del gruppo delinquenziale”. Un uomo responsabile.
Mimmo Miceli. Ex assessore del comune di Palermo alla Sanità, viene arrestato nel giugno 2003 con l’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa. Salvatore Aragona (si veda “Antonio Borzacchelli”) quando svela a Giuseppe Guttadauro (medico e capomandamento mafioso di Brancaccio, già condannato per mafia e riaccusato di associazione mafiosa, attualmente detenuto) di essere intercettato, dice di averlo saputo durante una cena per festeggiare l’amico Totò da Miceli che lo aveva saputo da Borzacchelli e da Cuffaro stesso. I magistrati vedono in Miceli un’intermediario tra il Guttadauro e Cuffaro “al fine del soddisfacimento di interessi e richieste, comprese quelle volte ad influenzare concorsi pubblici per l’assegnazione di incarichi nella Sanità”. Avrebbe inoltre “contribuito alla realizzazione del programma criminoso di Cosa Nostra”. Personcina a modo che insieme a Cuffaro si prodigava per portare voti a Calogero Mannino.
Onorio Fratello. Deputato regionale Udc. Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbe promesso alle cosche mafiose di Trapani denaro e posti di lavoro in cambio della sua elezione. Ha ricevuto la solidarietà dei colleghi responsabili dell’Udc.
Nino Dina. E’ il presidente dei parlamentari Udc all’Ars. Nino Giuffrè, il pentito che accusa anche Dell’Utri, lo indica come il mediatore (insieme a Guttadauro) dei rapporti tra Provenzano e la politica regionale. Di lui rimane una frase degna di essere ricordata: “La mafia non si sconfigge privando una popolazione della sua amministrazione democraticamente eletta”. E’ indagato per mafia.
Saverio Romano. E’ avvocato, sottosegretario al Welfare e componente della direzione nazionale del partito di Casini. Quando il potente presidente di Sicilia era solo un deputato regionale, entrambi presero una tangente da un imprenditore che puzzava di finanziamento illecito. Comunque la sua posizione giudiziaria era stata archiviata fino a quando il pentito Francesco Campanella dichiara: “Il sostegno alla candidatura alle politiche del 2001 per l’Udc di Saverio Romano dalla parte della cosca di Villabate fu totale”. Immediatamente “tutta la mia solidarietà personale e politica”, firmato Francesco D’Onofrio, presidente dei senatori Udc.
Nino D’Amico. Consigliere alla provincia di Palermo, è sotto processo con Giovanni Tomasino per turbativa d’asta. Avrebbe truccato una gara d’appalti per favorire una ditta di Cosa Nostra, ditta ritenuta molto vicina ai corleonesi e a Provenzano. Nino Giuffrè sostiene che fu ampiamente sostenuto nel 2001 da Cosa Nostra.
Leonardo D’Arrigo. Consigliere comunale a Palermo, è indagato per favoreggiamento alla mafia.
Sergio Iacono. Consigliere per la provincia di Agrigento. E’stato arrestato in un’inchiesta sulla mafia e gli appalti.
Rosario Incadorna. È consigliere comunale a Palma di Montichiaro, è stato arrestato nell’aprile 2005 per associazione a delinquere finalizzata all’estorsione.
Carmelo lo Monte. E’ assessore regionale e indagato a Messina per associazione a delinquere e truffa.
Salvatore Cintola. E’ assessore regionale al bilancio. E’ coinvolto in faccende di mafia ancora da chiarire. A chi gli chiedeva se si sarebbe dimesso ha risposto di no perché ora “si sente rafforzato”.
Salvatore Gambino. E’ sindaco di Roccamena. Gli inquirenti lo qualificano come “esponente dell’Udc” in quanto eletto in una lista collegata al partito democristiano, mentre l’Udc prende le distanze. E’ stato arrestato per associazione mafiosa. Tra le accuse mossegli quella di aver preso parte ad una spedizione punitiva contro l’avversario diessino Salvatore Ciaccio: nel marzo 2003 avrebbe, insieme ad alcuni mafiosi, raso al suolo con una ruspa una sua casa in campagna. Durante l’arresto nel cassetto della scrivania del Gambino è stata trovata una pistola rubata a Trapani: è denunciato anche per detenzione d’arma.
Salvatore Cuffaro. Per mesi e mesi il pool di Palermo indaga sulla talpa che regolarmente metteva al corrente Guttadauro e Aiello delle mosse della Procura. Dopo mesi e mesi, svariate intercettazioni (talvolta compromettenti) e incontri nei retrobottega coi mafiosi, il pool arriva a Totò e lo iscrive nel registro degli indagati per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Dagli interrogatori emerge con certezza che:
1) Cuffaro conosce Ciuro e Riolo, due marescialli arrestati con l’accusa di concorso esterno e rivelazione di segreto d’ufficio, 2) è amico di Aiello (si veda “Antonio Borzacchelli”), 3) è amico intimo di Borzacchelli e di Mimmo Miceli, 4) conosce Aragona (il medico che favoreggia Brusca e condannato e arrestato per mafia) e Guttadauro (due volte arrestato per mafia)
Oltre a queste opinabili conoscenze e amicizie, gli inquirenti stabiliscono che: 5) Totò, attraverso Miceli e Aragona, ha informato il boss di Brancaccio Guttadauro che aveva le microspie in casa 6) su richiesta dello stesso Guttadauro Cuffaro ha candidato Mimmo Miceli, uomo di fiducia del boss 7) Totò ha avvisato l’imprenditore Aiello (quello affetto da favismo) che era intercettato e sotto indagine.
Per tutti queste azioni si figurerebbe il concorso esterno in associazione mafiosa, anche perché basta un solo contributo oggettivamente rilevante in favore della mafia per integrare il concorso esterno. Ma il pool è diviso: c’è chi, come Grasso, vuole una linea più morbida e contestargli “solo” un favoreggiamento aggravato e chi, come Paci, vuole integrargli il concorso esterno perché il favoreggiamento è più difficile da dimostrare e prevede dei tempi di prescrizione più brevi. Con una serie di mosse discutibili, passa la linea Grasso. Alla fine i reati per cui è rinviato a giudizio sono: rivelazione di notizie segrete, favoreggiamento semplice, rivelazione di notizie segrete, favoreggiamento aggravato di stampo mafioso. La sera stessa in cui “passa la linea morbida” Cuffaro si dà al pubblico gaudio: “mi sento con dieci anni di meno”, “mi scoppia il cuore”, “la mia fiducia nella magistratura e nella Madonna mi permettono di andare avanti”. Man mano cadono le accuse di rivelazione di notizie segrete. E Cuffaro continua ad esultare. E anche la mafia. Perché se qualcuno non avesse rivelato a Guttadauro che era intercettato, si sarebbero potuti ricostruire l’organigramma di Cosa Nostra e le sue attività criminose, si sarebbe potuti arrivare alla cattura di qualche latitante storico. E’accertato che Cuffaro abbia avvertito Guttadauro e dunque abbia favorito la mafia. Nonostante questo e nonostante Grasso il 20 aprile 2003 dica che “ha una base probatoria fortissima per ritenere che Cuffaro sia una talpa” di vasavasa si decantano le lodi:
Lorenzo Cesa, 29 novembre 2005: “Caro Totò, sei grande e ti vogliamo bene. Sei una persona perbene che ha detto parole chiare contro la mafia”; Pier Ferdinando Casini, 7 febbraio 2006: “Posso sbagliare ma nella mia responsabilità politica ritengo che Cuffaro sia una persona perbene”; Francesco D’Onofrio: “Desidero confermare ancora una volta all’amico presidente Totò la convinzione mia e di tutti i senatori dell’Udc che più si procede nell’accertamento della verità e più si risalta la sua complessiva innocenza”; Marco Follini, dicembre 2005: “Cuffaro è persona perbene”.
Calogero Mannino. A lui, non ne abbia a male, dedicheremo solo poche righe, ma ci si potrebbe scrivere un libro. Già padrino (politico) di vasavasa, celebre leader della Dc siciliana e esponente di punta dell’Udc. Deputato dal ’76 al ’92, più volte ministro. Su di lui per primo indagò Paolo Borsellino, poi nel ’95 viene arrestato, ma esce due mesi dopo. L’accusa è di aver stipulato un patto “elettorale” con alcune cosche mafiose e di aver favorito la mafia. Nel 2001 viene assolto, difeso da Carlo Taormina (quello di Cogne e di Fi) con la formula dubitativa del comma 2 dell’articolo 530. Ma la sentenza è devastante per l’imputato. Per esempio, è accertato che il Mannino stipulò un accordo elettorale con un boss della famiglia agrigentina, Antonino Vella. E’ accertato che continuò a tenere rapporti con la mafia anche dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Si scatenano i commenti politici di giubilo e gaudio: Buttiglione, Cuffaro, Taormina, Giovanardi, Sgarbi, Guzzanti, Fragalà, Mannino stesso, Lino Jannuzzi. E’ evidente che non hanno letto la sentenza, neanche un riassunto o un Bignamino. Comunque
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