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Nick: Bardamu
Oggetto: mafiosi in parlamento
Data: 13/6/2007 18.6.39
Visite: 189

Cattive amicizie...



Vladimiro Crisafulli







Vladimiro Crisafulli, detto Mirello. Dirigente storico del Pci di Enna, vicepresidente dell’Assemblea siciliana, Mirello è uno di cui Emanuele Macaluso ha detto: «Viene da una zona in cui il partito esiste solo in quanto esiste una persona». Crisafulli, ecumenico, si vanta di «parlare con tutti». Così il 19 novembre 2001 ha parlato con Raffaele Bevilacqua, avvocato, ma anche boss mafioso, uno che, secondo i magistrati, «ha assunto un ruolo di vertice in Cosa nostra nella provincia di Enna». Lo ha incontrato in una saletta riservata dell’hotel Garden di Pergusa: per colmo della sfortuna, in quella saletta era stata impiantata una telecamera nascosta, messa lì per beccare i responsabili di una tentata estorsione. Invece degli uomini del racket, la videocassetta ha registrato, implacabile, l’imprevisto colloquio tra il politico e il boss. «Ti sto facendo una posizione, curnutu ca si», diceva Mirello. E giù a trattare di tagliaboschi da assumere, di un’azienda da inserire nel consorzio Conscoop, di una gara da 60 milioni di euro da bandire, dell’impresa del figlio del boss da favorire.
Dopo le indagini, ora il pubblico ministero ha chiesto di archiviare le accuse: «Crisafulli appare disponibile», scrive il magistrato di Caltanissetta, «a esplorare con Bevilacqua l’area delle ipotesi strettamente politiche nel territorio e, in parte, ad addentrarsi nell’area grigia dell’affarismo politico-elettorale». Ma «non risulta che le richieste di Bevilacqua siano state esaudite». Dunque, si chiuda la vicenda.
Mirello, che si era autosospeso dal partito (ma non dalle auto blu dell’assemblea siciliana) ora torna in pista, sventolando la richiesta d’archiviazione come una medaglia al valore: avete visto? è tutto a posto







Alle elezioni politiche del 2006 è stato eletto deputato alla Camera nella XXV circoscrizione (Sicilia Orientale) nelle liste dell'Ulivo. È componente del Consiglio di Amministrazione dell'Università Kore di Enna e della società d'Ambito per l'igiene ambientale "EnnaUno".








Enrico La Loggia

Ex assessore DC a Palermo (giunta Orlando), poi senatore forzista, ora ministro degli Affari regionali, guai giudiziari non ne ha mai avuti, ma certe intercettazioni telefoniche “siciliane” che lo riguardano sono tutt’altro che rassicuranti.
Sarà perché sua padre Giuseppe, agrigentino, capo di una dinastia di avvocati DC, due volte presidente della Regione Sicilia e diverse volte deputato, morto nel 1994, era il cognato dell’ex-ministro DC Attilio Ruffini, più volte citato nelle inchieste di mafia. O sarà per una certa sfortuna nelle amicizie.Come quella che lo lega a Nino Mandalà, imprenditore di Villa Abate, membro del coordinamento provinciale di FI, arrestato nel 1999 per associazione mafiosa nell’inchiesta che riguarda pure il deputato forzista Gaspare Giudice (per il quale la Camera, 2 anni fa, negò l’autorizzazione all’arresto al GIP di Palermo).Mandalà a Villa Abate è una potenza, economica e politica; e, secondo gli inquirenti, gli capita spesso di chiacchierare a ruota libera con gli uomini più vicini a Bernardo Provenzano.Il 4.5.98, intercettato, Mandalà parla con Simone Castello, uno dei colonnelli del boss dei boss. E gli racconta il suo ultimo burrascoso incontro con Enrico La Loggia.Dice di averlo insultato e minacciato perché quello, dopo l’arresto di suo figlio Nicola (coinvolto nelle indagini su alcuni omicidi) aveva preso ad evitarlo, a fingere di non conoscerlo.Lui invece si aspettava almeno un cenno di solidarietà in nome dell’antica amicizia, un rapporto che risale alla notte dei tempi, quando eravamo tutti e due piccoli.
Non solo: Mandalà e il padre di La Loggia erano stati “soci in affari” in una società di brokeraggio assicurativo (la Broker Sicula), con La Loggia presidente e Mandalà amministratore delegato.Senza contare che 3 anni prima La Loggia, è sempre Mandalà che parla, gli aveva chiesto di procurare al responsabile legislativo di FI, on. Renato Schifani (eletto a Corleone) una consulenza a 54 milioni l’anno al comune di Villa Abate.I due si rivedono in un congresso di FI, sette otto mesi dopo la liberazione di mio figlio riprende la telefonata intercettata col boss mafioso, e La Loggia sarebbe andato incontro a Mandalà, ma questi l’avrebbe zittito e cacciato in malo modo: Senti, devi farmi una cortesia, pezzo di merda che sei, non ti devi permettere di rivolgermi la parola. E La Loggia (sempre secondo la telefonata di Mandalà Ma Nino, è mai possibile che mi tratti così? I nostri rapporti…Ma quali rapporti!
A quel punto La Loggia, allarmatissimo avrebbe invitato Mandalà a proseguire l’incontro in privato, nel suo studio palermitano in via Duca della Verdura.
Un incontro di un’ora nel quale Mandalà minaccia di scoprire alcuni altarini del senatore e della sua famiglia:Alla fine gli dissi: senti tu a me non mi devi cercare più! Devi dimenticare che esisto… Siccome io sono mafioso, come tuo padre, purtroppo, perché io con lui me ne andavo a cercargli i voti da Turiddu Malta, il capomafia di Vallelunga… io posso sempre dire che tuo padre era mafioso.
A quel punto LaLoggia si è messo a piangere. “Mi rovini… mi rovini…” piangeva ma non perché era mortificato, ma per la paura.
Castello a quel racconto sbotta: No, ma quant’è cretino.
E Mandalà: Vedi quant’è cornuto, minchia, ha pensato veramente che io lo andavo a rovinare… Io volevo solo spaventarlo, impaurirlo, per fargli male.La Loggia nega quel vertice a quattr’occhi. con minacce e lacrime, ammette solo di avere incontrato Mandalà a un congresso di FI e di avere brevemente parlato con lui dell’arresto di suo figlio.
In ogni caso Carabinieri osservano nei loro rapporti che Mandalà è una figura centrale in Forza Italia siciliana: parla al telefono con vari esponenti del partito del piduista Berlusconi con parole e toni che lasciano chiaramente intendere una sua non giustificata -o forse sì?- autorità nei confronti degli stessi (da verbale)Altre telefonate imbarazzanti sono quelle di un quasi omonimo di Mandalà, il ragionier Pino Mandalari, gran maestro massone che, secondo gli inquirenti era il commercialista di fiducia di Salvatore Riina, nonché presidente della Ri.Sa., la Riina Salvatore srl.
Telefonate intercettate alla vigilia delle elezioni del 27 marzo del 1994: il 17.3.1994 il Mandalari telefona al numero privato di Enrico La Loggia cheidendo di “Enrico”, però assente, pregando di essere richiamato.
Il 19.3.1994 dà indicazioni di voto a un mafioso: Tutti per Forza Italia nella terza scheda… Bisogna vedere il candidato nel collegio… La Loggia è il nostro… rapporti ottimi, ci siamo incontrati qua con La Loggia per una riunione…La Loggia smentisce di avere mai conosciuto Mandalari e gli dà del millantatore e persona poco raccomandabile. Mandalari gli fa rispondere da un avvocato in maniera quanto mai sibillina: Mandalari pretende scuse pubbliche dal senatore La Loggia che dovrebbe ringraziarlo per avergli dato il suo voto e aver avuto fiducia in lui come politico: tutto questo senza conoscerlo…


 


 














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