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Nick: giGGinocon2G
Oggetto: IL POETA MELO
Data: 21/6/2007 17.12.49
Visite: 90

C'era una volta, nella terra di Palabra un giovane chiamato Melo. Egli era un grande poeta ed un abile cantastorie. Ogni giorno scriveva pagine e pagine e pagine piene di rime e chiasmi, di anafore e metafore. Non v'era pomeriggio in cui, seduto nel prato accanto al lago, non raccontasse una delle sue storielle ai bambini del paese che, rapiti, rimanevano ad ascoltarlo per ore. La sua casa era piena di fogli in ogni dove: il materasso del suo letto era stato riempito con le pagine di una vecchia antologia e le tovaglie erano enormi fogli bianchi che gli preparava appositamente Berto il cartaio.
Tutti volevano bene a Melo, ed egli era felice di scrivere qualcosa che suscitasse emozione alla gente.

Un bel dì di primavera, il nostro scrittore si recò in casa Martinez. Era ora di merenda ed era cosa nota a tutti che la signora Concita fosse la migliore a preparare lo zabajone con il Nesquikito. Aveva così deciso di incamminarsi in groppa al suo asinello di nome Lello e, nel frattanto, aveva composto un'ode dal titolo "il rosso torlo dell'uovo".

"E' permesso, posso entrare? cerco un posto in paradiso..." - esordì Melo come suo solito, varcando l'uscio della porta.

"Vieni pure avanti Meilo", disse la signora Concita, con quell'accento che tradiva ogni volta le sue origini d'oltre manica.

"Sono qui per donarle i miei versi in cambio di uno zabajone, mia dolce signora" - aggiunse in tono baldanzoso il nostro paroliere.

"Aspettavamo giusto te per preparare la merenda. Honga, vieni a darmi una mano"

Grandissimo fu lo stupore di Melo quando si trovò dinanzi quella che le apparve essere dapprima un'enorme massa di capelli ricci, salvo poi lasciar spazio a tutta l'incantevole bellezza che quella creatura portava in dote. Honga era il suo nome, ed era la nuova cameriera di casa Martinez. Era appena giunta dalla terronia e non aveva ancora il permesso di salotto. Melo rimase incantato ad osservarla per qualche attimo, quindi pensò:

"Poffarbacco, qui occorrono dei versi degni di cotanta beltà!"

Raccolse allora il suo fagotto, fece un inchino e scomparve nella calda luce del pomeriggio, lasciando la signora Concita intenta a mescolare le uova. Il fido compagno dalla cadenzata andatura lo condusse in groppa fin nel bosco sopra il monte Sano, dove si accamparono. Melo prese un bel foglio e una piuma di oca, la intinse nell'inchiostro nero, la appoggio sul foglio e....e non scrisse nulla! Proprio così. Il vate più celebre e prolifico di tutta Palabra non riusciva a scrivere nemmeno una parola. Era incredibile come, più si sforzava, più la sua mano rimaneva ferma; più tentava di raccogliere un pensiero, più nella sua testa ritrovava il vuoto più totale. Le ore trascorrevano, e Melo continuava imperterrito a tentare di portare su carta un pensiero da poter dedicare ad Honga. Le tenebre lo avvolsero; centinaia, migliaia furono i fogli che diede alle fiamme per riscaldarsi e per cancellare quelle parole che non riteneva sufficientemente belle da riuscire a descrivere ciò che aveva dentro al petto e che lo tormentava. Fu così che, sopraffatto dalla stanchezza, crollò in un agitato sonno. Un uomo gli apparve mentre dormiente giaceva nella fredda ed umida radura: aveva la barba bionda e folta, una lunga tunica verde ornata da una spilla e delle strane calzature di tela con delle grandi stelle sui lati.

"Non cercare di guidare la tua mano nei tuoi pensieri. Lascia che siano i tuoi pensieri a condurre la tua mano" - disse l'uomo dal bislacco abbigliamento, sparendo improvvisamente.
Melo si svegliò di soprassalto. Raccolse velocemente il suo bagaglio, offrì l'ultima mela rimasta nel fagotto al suo amico Lello, ed insieme si incamminarono verso valle. Giunsero alla casa dei Martinez e si fermarono proprio dinanzi alla stalla dalla quale proveniva una luce fioca fioca. Non appena il portone cigolante gli lasciò libero l'accesso al covile, quei ricci che tanto gli avevano fatto palpitare il cuore, gli apparvero ornati da un dolce sorriso imbarazzato.

"Cosa vuole da me messere? E' tanto tardi e le signore non incontrano gli uomini a quest'ora della notte" - esclamò spaventata la giovane Honga.

"Volevo solo augurarle una notte piena di bei sogni" - sussurrò l'innamorato Melo.

Sul volto dei duei ragazzi spuntarono sorrisi dal diverso sapore, ma entrambi bellissimi.

Melo tolse il cappello, si esibì in un pomposo inchino e si congedò senza mai distogliere lo sguardo da cotanta bellezza.

Fu proprio quella sera che Melo scrisse "I racconti dell'onanista rivoluzionario", universalmente riconosciuta come la sua opera più bella.







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