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Nick: Nieth
Oggetto: MALEDIZIONE LEOPARDIANA
Data: 2/7/2007 22.24.10
Visite: 527

Oh giacomo leopardi, colui che tanto ha dato alla poesia italiana.


Pessimista fino al midollo, era convinto che tutti ce l’avessero con lui. Parlava solo di morte, di sciagure, di pestilenze e sofferenza. Non era un poeta, era nu presagio.


Così triste che anche i gatti neri, nel vederlo, si grattavano le palle.


Le scale facevano gli scongiuri se leopardi passava sotto una di loro.


Il suo nome completo era Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi, e questo sicuramente non influiva positivamente sul suo morale.


Deforme e brutto come pochi, sprofondò in un clima di pessimismo con il quale cercava di far stare male pure tutti quelli che lo circondavano. Si divertiva oltremodo, per esempio, a diagnosticare mali incurabili alla gente, gioendo della loro preoccupazione. Quando però la gente scoprì il gioco, lo ingommò di mazzate facendolo diventare ancora più brutto.


 


Odiava in modo sviscerato gli scugnizzi del suo paesino di origine, che non perdevano occasione per sfotterlo.


“gobbus esto, fammi un canestro, fammelo cupo, gobbo fottuto”, gli urlavano, capeggiati dal nipote del parroco.


 


Niccolò tommaseo fu invece più delicato. “natura con un pugno lo sgobbò. Canta, gli disse irata, ed ei cantò”.


Il pessimismo leopardiano si divide in tre fasi, che sono tre passi verso il baratro.


Il primo è personale, per i motivi che già abbiamo citato.


 


Il secondo va sotto il nome di pessimismo storico. Tutto va male, siamo na razza ‘e merda.


Il terzo invece è quello cosmico. Tutto va male, e va verso il peggio. Ma proprio tutto l’universo. In questa fase si colloca quello che va sotto il nome di ottimismo leopardiano: visto che stiamo sulla stessa barca, vogliamoci bene e superiamo insieme il dolore o almeno alleviamolo.


 


un tentativo di dare una nota positiva a colui che non era un poeta, ma una grattata di palle.


 


A contribuire, tra i fattori maggiori, al suo pessimismo, come accennato prima, le sue deformazioni fisiche. Leopardi infatti aveva, come tutti sanno, una gobba. Quello che forse non tutti sanno era che uno dei principali passatempi dei guagliunastri del paese, oltre a sfotterlo, era di farlo cadere sulla schiena: per il povero Giacomo infatti, come una tartaruga, una volta caduto sulla schiena erano cazzi per girarsi.


 


Sulle storie amorose di leopardi non c’è molto da dire. La sua prima relazione stabile fu con un orsacchiotto di pezza, col quale finì ben presto con andare in disaccordo.


Poco dopo, prese la capata per tale teresa fattorini, figlia del cocchiere del castello di leopardi. Si, castello, era brutto ma teneva ‘e sorde.


Per evitare che il padre della ragazza lo mazziasse, leopardi nei suoi scritti le diede il nome di Silivia, come la protagonista dell’opera del tasso che amava leggere da giovane.


Ovviamente la ragazza non lo cagava di pezza.


Silvia/teresa morì in giovane età di malattia. E questo consolidò la voce che anche leopardi marcasse a peste, e che in particolare fosse dotato di un napoletanissimo “uocchie sicco”.




Sconfitto e ferito nell’orgoglio, leopardi si dà all’onanismo. Di questo periodo l’elogio agli uccelli, in cui con metafore e giri di parole spiega nei dettagli come tira il collo alla gallina.


Passava delle ore pensando a silvia, nascosto dietro la siepe. Col passero solitario in mano.


E più solitario di quello..


Anche leopardi ebbe un periodo napoletano. Ma il poeta sopportava malvolentieri la città, giudicandola sporca e retrograda. Viceversa, anche il popolino non vedeva di buon occhio lo sgobbato. La pietra nella scarpa i napoletani se la tolsero quando morì.


Come tutti sanno, infatti, leopardi morì durante l’epidemia di colera. A tutti i napoletani dell’epoca era noto che il poeta, in tempi non sospetti, amava passare le giornate senza fa nu cazzo lungo via roma, facendosi offrire gelati e spumoni da chi lo riconosceva. Così, quando si diffuse la notizia della sua morte, i napoletani aggiungevano anche il motivo, con una punta di sdegno: “di cagarella”.


Tra le sue opere, famoso resta i paralipomeni alla batracomiomachia, alla quale diede un titolo così assurdo in preda ad un attacco di cazzimma, gioendo nel pensare a quanti studenti gli avrebbero bestemmiato successivamente i morti.


cos'è il genio?
è fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione..


beh.. non sono bello come clooney nè affascinante come sean connery, nemmeno intrigante come johnny depp.. ma so leccare come lessie!




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