Nick: Aragorn84 Oggetto: Nel Sud le radici dell'Europa Data: 16/5/2004 13.54.3 Visite: 85
di Gianni Alemanno ..................................................................... Ho accettato di essere candidato nelle elezioni europee del 12 e 13 giugno. Quando ci si trova di fronte a decisioni difficili è inutile girarci attorno, è meglio essere semplici e diretti. Si tratta di una candidatura a forte valenza politica, innanzitutto perché risponde ad un appello del Presidente Fini alla classe dirigente di Alleanza nazionale. Fini ci ha chiesto di "metterci la faccia" in queste elezioni perché dal risultato elettorale dipenderà il futuro della destra italiana e il rilancio della coalizione di centrodestra. Questo appuntamento è una verifica decisiva dopo tre anni di governo di centrodestra, uno scontro politico a tutto campo in un momento difficile per la nostra comunità nazionale. Una verifica ed uno scontro che Alleanza nazionale deve affrontare misurandosi su un doppio fronte. Respingere le pretese della sinistra di tornare maggioranza nonostante le proprie responsabilità storiche nella crisi che stiamo vivendo e, contemporaneamente, raccogliere consensi per migliorare e rilanciare l’azione politica e programmatica di questo governo. Consensi per spostare più a destra il governo di centrodestra, per ritrovare quella spinta al cambiamento che ci fece vincere nel 2001, per rendere il nostro schieramento meno liberal-liberista e più sociale e popolare. Ma c’è un’altra scelta che rafforza il significato politico di questo impegno: quella di candidarsi proprio nel collegio Sud che comprende le regioni centro-meridionali, l’Abruzzo, il Molise, la Campania, la Basilicata, la Calabria, fino alla Puglia, regione da cui provengono le mie radici. Le regioni non insulari, cioè, che originariamente potevano usufruire dei vantaggi dell’obiettivo 1 dei fondi strutturali europei e che quindi rappresentano "l’altra Italia", il meridione in perenne lotta con il proprio "ritardo di sviluppo" rispetto alla media europea. Voglio partire dall’esperienza fatta in questi anni come ministro delle Politiche agricole per accettare la sfida di disegnare un "Progetto per un nuovo Mezzogiorno", che non ripeta gli errori e le vergogne del vecchio meridionalismo ma che, all’opposto, non faccia finta che questo problema non sia centrale per il destino dell’Italia. Fino ad oggi, infatti, ci sono state due fasi opposte del meridionalismo. La prima, basata sull’intervento straordinario, riteneva che il Sud fosse un "Nord arretrato" e che quindi l’obiettivo dovesse essere quello di copiare nel Sud il modello di sviluppo industrialista delle regioni settentrionali. Migliaia di miliardi di lire sprecate o finite in mano alle reti clientelari, "cattedrali nel deserto" abbandonate non appena si esaurivano gli incentivi, enormi devastazioni del territorio, sono la pesante eredità di questa epoca. Un po’ per reazione e un po’ per stanchezza, sul finire degli anni ’80 siamo passati ad un’altra fase, quella in cui i meridionali "dovevano fare da sé", quella delle regioni abbandonate a loro stesse a gestire le poche risorse rimaste, quella del liberismo ideologico per cui l’intervento statale era sempre e comunque un male. Il risultato è stato un progressivo abbandono, un pilatesco ed ipocrita disinteresse, se non la compiacenza per le campagne di diffamazione nordista urlate dalla Lega di Bossi. E così il Nord è tornato ad assorbire ogni cosa, da tutto il sistema bancario alle infrastrutture più avanzate, dai corridoi europei ai grandi poli culturali, dalle piccole alle grandi industrie. Da questo ritorno nordista non è stato immune il governo Berlusconi, almeno sul piano dell’immagine, dato che le grida leghiste non potevano non fare più rumore dei pazienti sforzi di Alleanza nazionale per tenere unita l’Italia. È necessario aprire una terza fase in cui "la questione meridionale" torni ad essere riconosciuta come centrale nel nostro progetto nazionale e come linea di espansione dell’integrazione europea. L’Italia torna a svilupparsi solo se si rivolge verso Sud, l’Europa non può continuare ad ignorare la partita geopolitica aperta nel Mediterraneo. Questo non significa tornare ad illudersi di poter esportare il Nord al Sud, ma al contrario partire dal riconoscimento dell’identità e delle vocazioni del Mezzogiorno che devono essere la base per uno sviluppo economico e sociale non artificiale e non indotto, ma autonomo e complementare rispetto a quello del Nord. Uno sviluppo che dia protagonismo alle regioni meridionali, ma con il supporto potente e sussidiario delle istituzioni centrali, necessarie anche per garantire e massimizzare l’utilizzo delle risorse europee. Uno sviluppo in cui si senta la presenza dello Stato come sicurezza del cittadino, controllo del territorio, garanzia di infrastrutture e di servizi, tutela nei negoziati e nelle progettualità dell’Ue. Credere nei giovani e nelle loro capacità intellettuali per creare centri di eccellenza tra università ed industria, per lanciare produzioni ad alto valore aggiunto e scarso impatto ambientale, non finanziamenti a pioggia ed incentivi automatici, ma partecipazione della società civile a grandi progetti strategici. Quindi non l’abbattimento delle garanzie sociali in nome di un liberismo texano, ma il rafforzamento di queste garanzie e la loro integrazione in una cultura partecipativa e comunitaria. Il Sud ha bisogno di credere in se stesso, di ritrovare l’orgoglio della propria identità e della propria appartenenza, per mobilitare le energie migliori e non farle più fuggire verso il Nord. Investire nell’agricoltura e nell’agroalimentare per mettere in movimento le grandi risorse ambientali, turistiche, artistiche e paesaggistiche delle regioni meridionali e per farle entrare nel circuito globale del made in Italy di qualità. Dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture più avanzate per farne il polo dello sviluppo del Mediterraneo, un mare dove passano più del 30% degli scambi di tutto il pianeta e dove è bastata una felice intuizione per trasformare il porto di Gioia Tauro nel più importante centro di scambi di questa area geografica. Ma qui torna il "bisogno di Europa". Il progetto mediterraneo non si può costruire solo a livello nazionale, richiede il coinvolgimento di tutto il nostro continente. Lo sviluppo economico deve poggiare su una grande politica estera, volta alla coesistenza tra le culture, alla cooperazione economica e culturale, senza più delegare a nessuno la presenza attiva nel mare in cui siamo immersi. Dall’Europa noi non vogliamo il monetarismo miope dei "patti di stabilità" nemici della crescita, la tecnocrazia arida della Commissione di Prodi, la burocrazia dei regolamenti pignoli e centralisti, la cancellazione delle risorse per lo sviluppo in nome della "disciplina finanziaria" fine a se stessa. Noi vogliamo una politica economica di respiro geopolitico e globale, il rispetto per le identità e per i bisogni dei popoli, il coraggio di affermare il modello europeo. Tutto questo oggi ha radici più nel Sud che nel Nord e, proprio per questo, solo volgendosi a Sud sarà possibile costruire la nuova Europa. Una grande sfida politica e culturale per una destra sociale, popolare, identitaria e comunitaria.
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