Nick: buendia Oggetto: giorno di maggio Data: 18/5/2004 6.15.48 Visite: 101
in effetti è tardi. preferisco sempre non sapere quanto; mi condiziona il sonno, perchè so che me ne starò lì, rassegnata e nervosa, sotto le coperte, certa che in un attimo, improvviso e imprecisato tra il prima e il poi, mi addormenterò e che la dannata sveglia suonerà e mi sembrerà con troppa sicurezza per accettarlo di aver appena appoggiato la testa sul cuscino. accade sempre così. ma questo sole... come si fa a dirgli di no? è lì, perfetto nella sua geometria sferica, su milioni di teste nello stesso istante, per decine di meridiani. non posso perdermi tanta generosità. allora sono pronta a dirgli un altro faticoso ma gioioso si. mentre lo aspetto ripercorro come in un rito i momenti di qualche ora prima. attraverso piazza carità. sono appena uscita dai rumori e dagli odori della pignasecca, dalle sue facce. oggi l'ho vista, la venditrice di banane. banane belle. una mia amica le ha scattato una fotografia. è fissata per sempre sulla carta lucida mentre troneggia tra dozzine di caschi di banane. la sua sagoma immobile, un po' annoiata, fiera e modesta, stanca e fiduciosa, mutevole e perpetua. lei recita il suo ruolo della vita vestita di pochi colori ma è proprio nel bel mezzo di una coreografia giallo intenso. è quello che possiede e te lo vende. le casse di pesce stanno su tutto il marciapiede, l'odore salmastro, mare puro, arriva anche oltre e ti si infila nei capelli, nei vestiti. la strada quasi non esiste. ci sono solo piedi, rifiuti, foglie di verdura e frutta, macchine e motorini, motociclette, moto truccate, gente che scivola dappertutto, cammina a passo svelto, entra, esce, torna indietro, si affretta, rientra, si ferma alle vetrine, butta un occhio, passa oltre. non c'è tempo. è tutto dilatato oltre ogni dire. sorpasso una fila intera di persone. schivo un camioncino che sbuca di lato, un rigagnolo d'acqua che puzza di cozze. scavalco tutto il resto con lo sguardo. la strada si apre, la vista raccoglie uno spazio più ampio. ma camminarci è un'altra cosa. si ricomincia. stavolta farò attenzione ai teli degli ambulanti, stesi a terra come una preghiera, un sacrificio. non passano auto; via roma la percorro lungo il suo asse. e ancora una volta, oggi di nuovo come pochi giorni prima, mi scopro a domandarmi come si possa scegliere di vivere sui gradini di una chiesa, insudiciati come pezzi di quella stessa strada, mescolati alla polvere e al sudore secco sui vestiti, in mezzo ai cani più sfortunati, senza carezza che gli plachi la fame e senza libertà. me lo domando pure adesso, in verità. ma io come scelgo di restare sveglia fino a tardi? come si sceglie ciò che si desidera se il tuo desiderio non giova al tuo benessere, al tuo equilibrio? non ho una risposta. devo fare un regalo importante quest'oggi. è per una persona preziosa con cui vorrei trascorrere più tempo, perchè anche lei lo vorrebbe. le regalerò una gardenia, è da una settimana che ci penso. una gardenia che le rimandi la mia immagine quando la guarda. foglie e fiori a cui rivolgere i rimproveri destinati a me, alla mia assenza. agli appuntamenti mai rispettati, ai ritardi, al mio avere la testa altrove e non saperlo nascondere. ma ragionevolmente, quanto di me posso dare se prima non mi accerto di essere sana, pulita, volenterosa? devo accertarmi di non essere malata in qualche punto e per farlo devo scavare bene intorno alle radici e trasferirmi altrove, dove l'aria non sia così impregnata di vecchio, di già detto e di già visto. questa gardenia è per te. manterrà i fiori fino a settembre inoltrato, poi ne resteranno le foglie verde lucido a ricordarti di me, a volermi bene senza preoccupazioni quando non verrò da te. ma io verrò. tu falla crescere, bagnala un po' ogni sera e non esporla al sole pieno. tienila in penombra. io stessa ti ho detto che mi fa male agli occhi la luce troppo viva. tra un anno partorirà i suoi fiori nuovi. vorrei che fosse già l'anno nuovo per vedere se la gardenia mantiene la promessa dei fiori che verranno. io non prometto nulla. per non dover mantenere, solo per questo. mi guardi, mi sorridi e so che mi capisci. mi capisci da molto prima che parlassi. alle dieci e venti compriamo il biglietto. siamo davanti all'astra. da tempo non camminavo in quella strada. non l'ho mai percorsa in discesa. dev'essere per questo che al solo vederla, perfino ad immaginarmela adesso, mi sale un calore al volto e alle mani. forse non è il sentirne la ripida fatica mentre cerco di recuperare il mio ritardo con un passo più lungo e spedito. è piuttosto il calore di quell'estate che ritorna, come l'odore del caffellatte mi ricorda il mattino seguente a quella domenica dell'ottanta. il terremoto, il corridoio di casa dei miei che mi ondeggia sotto i piedi scalzi, il buio che dal cielo in un soffio ti piomba in casa e ti acceca; e a quattro anni hai già sentito parlare della morte, è una cosa naturale, come la terra che ti scuote e ti chiama dal suo ventre in ebollizione perchè tu le appartieni ed è bene che te ne ricordi. sei della terra. i morti diventano riso. sono le dieci e mezza. il film comincia. un uomo rincorre una ragazza, il suo ragazzetto. gli piace chiamarla così e anche lei ne è contenta. sembra uno spicchio di felicità intagliato nel verde di una campagna miracolosa. selinunte? castelvetrano? dov'è che si rotolano ansimanti, quei due? no, non sono in due. lui è sposato. no separato. separato? ma lui ama ancora sua moglie con l'anima e con la gelosia della carne. mi piace vedere i film al cinema: si vede la punteggiatura di polvere del proiettore, la pellicola scheggiata impercettibilmente che si srotola velocissima come un'enorme lingua asciutta. questa cosa mi è piaciuta sempre, è una sensazione di riconoscimento di un'altra sensazione ancora, ma solo ora so individuarla. è quasi un simbolo della collettività di cui mi sento parte; molte persone che non si conoscono per cui, per un piccolo prezzo, si ripete due volte al giorno lo stesso grande spettacolo. e poco importa se questa storia mi disturba, è vero, questo film non mi fa respirare al ritmo che vorrei tenere. sto naufragando con cento altri alla ricerca di un senso che non è mai lo stesso perchè forse non c'è proprio nessun senso. come le favole della buonanotte nate per insegnare ai bambini un nuovo aspetto delle cose che in fondo si recitano come rosari, nenie, ninnananne per farti addormentare. non c'è un senso alle favole. e quando sei più grande lo capisci. perchè nessuno più te le racconta e hai comunque pensieri troppo grandi perchè possano farti addormentare così come allora. e da grande sai che le favole, semplicemente, non esistono. perciò questa non è una favola. è solo il racconto di una giornata che continua fino a domani. |