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Nick: Nieth
Oggetto: CAMERE GAS, davvero esistite?
Data: 31/7/2007 1.7.0
Visite: 306



Premessa doverosa:


non sono nazista né filonazista, né credo che nei campi di concentramento non siano morte tantissime persone. né giustifico il comportamento dei nazisti, seppur con le attenuanti che le circostanze fornivano. Unico scopo, riflettere su un particolare ancora poco chiaro.


Inutile dirlo, spero che nessuno risponda con dichiarazioni a cazzo o non attinenti.


 


 


Riassunto per chi non ha voglia di leggere:


tutti sappiamo che i nazisti utilizzavano le camere a gas per un piano organizzato di sterminio. Ma sulle camere a gas non si sono prove concrete né testimoni affidabili. Esistono persone che, pur non negando la morte di migliaia di persone, sono concorde a dichiarare che le camere a gas non sono mai esistite, e che si tratta soltanto di un’arma propagandistica utilizzata contro i nazisti. Del resto, la storia la scrivono i vincitori. Molte di queste teorie sono, se non inconfutabili, almeno degne di riflessione.


 


 


Di seguito, alcuni stralci di un’intervista a robert faurisson, uno dei più noti “negazionisti”. Ho evidenziato in grassetto le parti che credo più interessanti.


 


Io dico che queste famose «camere a gas» omicide non sono altro che una frottola di guerra. è un’invenzione della propaganda di guerra paragonabile alle leggende sulla «barbarie teutonica» diffuse durante la Prima Guerra Mondiale. Già allora i tedeschi vennero accusati di crimini del tutto immaginari: a bimbi belgi sarebbero state


La maggior parte dei cadaveri che con tale compiacimento ci vengono mostrati in fotografia sono chiaramente cadaveri di tifici. Queste foto dimostrano solo che degli internati - e talvolta anche dei guardiani - sono morti di tifo. Non provano nient’altro. Insistere sul fatto che talvolta i tedeschi usavano dei forni crematori non è cosa molto onesta. Così facendo si punta sulla repulsione o sull’oscura inquietudine della gente abituata all’inumazione e non alla cremazione. Immaginatevi una qualsiasi popolazione dell’Oceania abituata a bruciare i suoi morti, e ditele che noi interriamo i nostri; apparirete loro come una specie di selvaggio. Forse vi sospetteranno addirittura di mettere sotto terra delle persone «più o meno vive».


 


Ma veniamo alle cosiddette «camere a gas» omicide. Fino al 1960 ho creduto alla realtà di questi macelli umani dove, secondo metodi industriali, i tedeschi avrebbero ucciso degli internati in quantità e su scala industriale. Poi ho saputo che certi autori giudicavano contestabile la realtà di queste «camere a gas»: tra questi vi è Paul Rassinier, che era stato deportato a Buchenwald e a Dora. Questi autori hanno finito per formare un gruppo di storici che si definiscono «revisionisti». Ho studiato le loro argomentazioni. Naturalmente, ho studiato anche le argomentazioni degli storici ufficiali. Questi ultimi credono alla realtà dello sterminio con le «camere a gas». Sono, in un certo senso, «sterminazionisti». Per molti anni ho minuziosamente confrontato gli argomenti degli uni e degli altri. Sono andato ad Auschwitz, a Majdanek, a Struthof. Ho cercato, ma invano, anche una sola persona che mi potesse dire: «Sono stato internato in quel campo. Ho visto con i miei occhi un edificio che era sicuramente una camera a gas». Ho letto molti libri e documenti. Per anni ho studiato gli archivi del  Centre de Documentation Juive Contemporaine («Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea») di Parigi. Va da sé che mi sono interessato in particolare ai processi detti di «crimini di guerra». Un’attenzione del tutto particolare ho rivolto a quelle che mi venivano presentate come «confessioni» di SS o di un qualsiasi altro tedesco. Non vi tedierò enumerandovi i nomi di tutti gli specialisti che ho consultato, ma voglio ricordare una cosa, peraltro curiosa. Spesso bastava qualche minuto di conversazione perché gli «specialisti» in questione dichiarassero: «Sappia che io non sono uno specialista in camere a gas». E, cosa ancora più curiosa, a tutt’oggi non esiste né libro né articolo della scuola «sterminazionista» sulle «camere a gas».


 


 


L’esistenza delle «camere a gas» è radicalmente impossibile. Le mie ragioni sono innanzitutto quelle accumulate dai revisionisti nelle loro pubblicazioni. In seguito, sono anche quelle che io stesso ho trovato e che qualificherei materiali, bassamente e scioccamente materiali. Ho pensato che bisognava cominciare dall’inizio. Voi certo sapete che in generale ci si mette un po’ ad accorgersi che si sarebbe dovuto cominciare dall’inizio. Mi son detto che noi tutti parliamo di «camere a gas» come se conoscessimo esattamente il senso di queste parole. Quanti di coloro che pronunciano discorsi, frasi o danno giudizi nei quali ricorre questa espressione di «camera a gas» sanno di che parlano? Mi ci è voluto poco per rilevare che molte persone commettevano un errore dei più grossolani. Si rappresentavano una «camera a gas» come una realtà in fondo assai prossima a quella di una semplice camera da letto sotto la cui porta passasse del gas domestico. Costoro dimenticavano che un’esecuzione con il gas è, per definizione, profondamente differente da una semplice asfissia suicida o accidentale. Nel caso di un’esecuzione bisognava evitare accuratamente qualsiasi rischio di malessere, d’avvelenamento o di morte per gli esecutori e i loro assistenti. é un rischio che bisogna escludere prima, durante e dopo l’esecuzione. Le difficoltà tecniche che tutto ciò comporta sono notevoli. Ho voluto sapere come si gassavano i visoni d’allevamento, le tane delle volpi, come negli Stati Uniti vengono eseguite le condanne a morte con il gas. Ho constatato che nella maggior parte dei casi veniva impiegato l’acido cianidrico. Ora, è proprio con questo gas che i tedeschi gassavano i loro baraccamenti ed è con questo gas che avrebbero ucciso gruppi di uomini o intere folle. Ho dunque studiato questo gas. Ho voluto conoscerne l’impiego fatto in Germania e in Francia. Ho consultato testi ministeriali che regolano l’uso di questo prodotto notevolmente tossico.


 


 


Ho avuto la fortuna di scoprire negli archivi industriali tedeschi raccolti dagli Alleati a Norimberga dei documenti sullo Zyklon B o acido cianidrico. Poi ho riletto dettagliatamente alcune testimonianze, alcune confessioni o certe sentenze dei tribunali alleati o tedeschi sull’esecuzione di detenuti con lo Zyklon B. Ho subito uno choc, lo stesso che proverete anche voi. Innanzi tutto vi leggerò la testimonianza o la confessione di Rudolf Höss 1, quindi vi enuncerò qualche risultato della mia inchiesta, bassamente materiale, sull’acido cianidrico e sullo Zyklon B. In questa confessione, la descrizione della gassazione è notevolmente breve e vaga, come brevi e vaghi sono tutti coloro che affermano di aver assistito a questo genere di operazione (con, in più, molte e svariate contraddizioni su certi punti). Rudolf Höss scrive: «Una mezz’ora dopo aver lanciato il gas si apriva la porta e si metteva in funzione l’apparecchio di ventilazione. Si cominciava immediatamente a estrarre i cadaveri». Richiamo la vostra attenzione sulla parola «immediatamente» (in tedesco «sofort»). Höss aggiunge che la squadra incaricata di estrarre 2.000 cadaveri dalla «camera a gas» e di manipolarli fino ai forni crematori faceva questo lavoro «mangiando e fumando». Dunque, se ben comprendo, senza portare maschera antigas. Questa descrizione è un’offesa al buon senso perché implica la possibilità di entrare senza precauzione alcuna in un locale saturo di acido cianidrico per manipolarvi (a mani nude?) 2.000 cadaveri cianidrizzati sui quali è probabile vi siano resti del gas letale. Del gas deve indubbiamente restare sui capelli (che pare venissero rasati dopo l’operazione), nelle mucose e anche tra i cadaveri ammucchiati. Qual è quel ventilatore superpotente capace di far sparire istantaneamente una tale quantità di gas fluttuante nell’aria o sedimentato un po’ ovunque? Anche se un tale ventilatore esistesse, sarebbe comunque necessario un test che, segnalando alla squadra la sparizione dell’acido cianidrico, la avverta che il ventilatore ha effettivamente compiuto il suo lavoro e che conseguentemente la via è libera. Ora, è evidente che nella descrizione di Höss abbiamo a che fare con un ventilatore magico che agisce istantaneamente e con una tale perfezione da non lasciare adito né a timori né a verifiche. Ciò che il semplice buon senso ci suggerisce è pienamente confermato dai documenti tecnici afferenti allo Zyklon B e al suo impiego. Per gassare un baraccamento, i tedeschi erano obbligati a costose precauzioni: squadra a lungo addestrata e «diplomata» presso il fabbricante dello Zyklon B, materiale notevole e di qualità e, in particolare, maschera con 4 filtro «J» (la più «severa» di tutte), evacuazione dei baraccamenti all’interno, affissione di avvisi in più lingue con il teschio, esame minuzioso del locale per individuare le fessure e tapparle, occlusione di camini e condotte e serrature. Le scatole di Zyklon B venivano aperte all’interno del locale. Il gas fuoriusciva dalla scatola come il fumo esce da un vaso fumogeno. Quando si supponeva che il gas avesse ucciso i parassiti, allora cominciava l’operazione più delicata: quella dell’aerazione. Alcune sentinelle venivano postate a una certa distanza dalle porte e dalle finestre, le spalle al vento. Loro compito era di impedire, da lontano, a chiunque di avvicinarsi. La squadra, munita di maschera antigas, penetrava nell’edificio, apriva le finestre, stappava camini e fessure. Appena compiuta l’opera a un piano, la squadra doveva uscire, togliersi le maschere e, per dieci minuti, respirare all’aria aperta. Doveva quindi rimettersi le maschere e portarsi all’altro piano. Una volta finito questo lavoro, bisognava attendere venti ore.


 


 


In effetti, poiché lo Zyklon B è «difficile da ventilare visto che aderisce alle superfici», solo una ventilazione naturale e molto lunga poteva venirne a capo. Questo era perlomeno il caso di volumetrie ampie come quelle di una baracca a uno o a due piani; in quanto lo Zyklon B, impiegato talvolta in autoclave (volume di 10 m3), era invece ventilato. Al termine delle venti ore, la squadra ritornava con la maschera antigas, chiudeva le aperture, quindi, se possibile, portava la temperatura dell’ambiente a 15°. Poi, usciva, per ritornare dopo un’ora, sempre munita di maschera, e verificare, a mezzo di una carta che virava al blu in presenza di acido cianidrico, che il locale fosse nuovamente agibile. Ecco quindi che un locale che era stato gassato era accessibile senza maschera antigas solo dopo un minimo di ventuno ore. La legislazione francese relativa all’uso dell’acido cianidrico stabilisce, per quanto le concerne, questo minimo a ventiquattro ore. Possiamo dunque vedere che in assenza di un ventilatore magico, capace di espellere istantaneamente un gas «difficile da ventilare visto che aderisce alle superfici», il macello umano chiamato «camera a gas» sarebbe stato inaccessibile per quasi una giornata. I suoi muri, il suolo, il soffitto durante questo tempo avrebbero ritenuto delle particole di un gas dagli effetti fulminanti per l’uomo. E che dire dei cadaveri? Non avrebbero potuto fare a meno di impregnarsi di gas allo stesso modo di quei cuscini, materassi e coperte che gli stessi documenti tecnici concernenti l’uso dello Zyklon B ci rivelano che dovevano essere portati all’aria aperta per essere battuti per un’ora con tempo secco, o per due ore con tempo umido. Dopo di che venivano impilati gli uni sugli altri e di nuovo battuti se il test di carta virava al blu. Poiché l’acido cianidrico è infiammabile ed esplosivo, come era possibile usarlo in prossimità della bocca dei forni crematori? Come è che si poteva penetrare nella «camera a gas» fumando? Per non parlare delle innumerevoli impossibilità tecniche o materiali che per soprammercato si scoprono quando ci si reca ad Auschwitz o ad Auschwitz-Birkenau per esaminare la collocazione e le dimensioni delle sedicenti «camere a gas». D’altronde, come può scoprirlo chi ficca il naso negli archivi del museo polacco di Auschwitz, questi locali in realtà non erano che delle «camere fredde», del tutto caratteristiche per architettura e per dimensioni. E così che a Birkenau la sedicente «camera a gas» del Krema II, di cui si vedono solo delle rovine, era in realtà una «camera fredda», interrata (per proteggerla dal calore), d’una lunghezza di 30 m. e di una larghezza di 7 m. (2 m. per cadavere + 3 m. al centro per il movimento dei carrelli + 2 m. per un altro cadavere). La porta, i disimpegni, il piccolo montacarichi (m. 2,18 x m. 1,35) versa la sala dei crematori, tutto ciò era di dimensioni lillipuziane in rapporto a quanto lascia supporre il racconto di Höss. Secondo lui, la «camera a gas» normalmente conteneva 2.000 vittime all’inpiedi, ma avrebbe potuto contenerne 3.000. Immaginate un po’: 3.000 persone su 210 m2? In altre parole, per fare un paragone, 286 persone in piedi in un locale di 5 m. x 4 m.! E non ci si venga a dire che i tedeschi prima di partire hanno fatto saltare «camere a gas» e forni crematori per nascondere le tracce dei pretesi crimini. Quando si vuole cancellare le tracce di un’installazione necessariamente molto sofisticata, la si smantella minuziosamente, pezzo per pezzo, per non lasciare dietro di sé il minimo elemento d’accusa. Distruggerla con l’esplosivo sarebbe un’ingenuità. In questo caso sarebbe sufficiente rimuovere i blocchi di cemento per scoprire un tale reperto accusatore. Proprio i polacchi dell’attuale museo di Auschwitz hanno raccolto alcune vestigia dei Krema 2. Ora, tutti i reperti che vengono mostrati ai turisti attestano l’esistenza dei forni crematori, escludendo ogni altra cosa. Le vere camere a gas, quelle messe in opera dagli americani dal 1936-1938, possono darci un’idea dell’inevitabile complessità che un tale metodo di esecuzione comporta. Tra l’altro, gli americani gassano solo un prigioniero alla volta (è accaduto che alcune loro camere a gas dispongano di due sedie per l’esecuzione, per esempio, di due fratelli). Inoltre, il prigioniero è completamente immobilizzato. Viene asfissiato dall’acido cianidrico (in realtà da palline di cianuro di sodio che cadendo in una scodella di acido solforico e di acqua distillata provocano la liberazione di vapori di acido cianidrico). In 40 secondi circa il condannato si assopisce e in qualche minuto muore. Questo gas non provoca alcun dolore apparente. (La prima esecuzione capitale con gas ebbe luogo l’8 febbraio 1924 nella prigione di Carson City (Nevada). Due ore dopo l’esecuzione si rilevavano ancora tracce di veleno nella corte della prigione. Il signor Dickerson, governatore della prigione, dichiarò: «Per quanto concerne il condannato, il metodo è certamente il più umano tra quanti fino ad ora applicati», ma, aggiunse: «Rifiuterò questo metodo per il pericolo che fa correre a tutti i testimoni». Come nel caso dello Zyklon B, è l’evacuazione del gas che pone problemi. In questo caso non si tratta di indurre una ventilazione naturale di quasi ventiquattro ore perché, in ogni modo, la disposizione degli ambienti non lo permetterebbe senza gravi rischi per i guardiani e i detenuti della prigione. Allora come procedere, essendo d’altronde questo gas di difficile ventilazione? La soluzione obbligata è di trasformare questo acido in un sale che verrà in seguito lavato con acqua corrente. Il gas ammoniaco servirà di base. Quando l’acido cianidrico sarà così sparito, o almeno quasi completamente, una spia avvertirà del fatto il medico e i suoi aiutanti che si trovano dall’altra parte del vetro. Questa spia è la fenoftaleina, posta in scodelle disposte in diversi punti del piccolo locale, la quale vira al rosso quando non c’è più acido nel locale. Un sistema di ventilazione orientabile spazzerà quindi i vapori di ammoniaca verso un bocchettone di aspirazione. Il medico c i suoi aiutanti entreranno quindi nel locale muniti di maschera antigas, e calzando guanti di caucciù. Il medico arruffa la capigliatura del condannato per cacciarne eventuali resti di acido cianidrico. E solo dopo un’ora che le guardie potranno entrare nel locale. Il corpo del condannato sarà lavato, così come il locale, con acqua corrente. Il gas ammoniaco è stato espulso attraverso un alto camino sopra la prigione. E poiché le guardie abitualmente postate nelle torri di sorveglianza della prigione corrono dei rischi, a ogni esecuzione vengono fatte scendere. E sorvolo sulla necessità di un’ermeticità totale della camera a gas: stacci, vetri «erculite» estremamente spessi, sistema per fare il vuoto, valvole a mercurio, ecc... Una gassazione non è operazione che si possa improvvisare. Se i tedeschi avevano deciso di gassare milioni di persone avrebbero avuto bisogno di mettere a punto un meccanisrno formidabile. Ci sarebbe voluto un ordine generale, che non è mai stato trovato, delle istruzioni, degli studi, ordini, piani che non si sono mai visti. Sarebbero state necessarie riunioni di esperti: architetti, chimici, medici, specialisti delle più diverse tecnologie. Sarebbe stato necessario reperire fondi e ripartirli, operazione che in uno Stato come il Terzo Reich avrebbe lasciato numerose tracce (se si pensa che noi sappiamo quasi al centesimo quanto è costato il canile di Auschwitz o le piante di lauro ordinate ai vivai). Sarebbero stati necessari ordini di missione. Non si sarebbe fatto di Auschwitz e di Birkenau dei campi dove l’andirivieni era tale che il modo migliore di far fronte alle frequenti fughe di detenuti era quello di tatuar loro sul braccio un numero di matricola. Non si sarebbe permesso che lavoratori civili e ingegneri si mischiassero ai detenuti, né si sarebbero autorizzati i tedeschi del luogo ad andare in permesso o a ricevere al campo membri della famiglia. Soprattutto non si sarebbero liberati dei detenuti che, scontata la pena, rientravano in patria. Fatto, quest’ultimo, che è stato rivelato qualche anno fa da Louis De Jong, direttore dell’Istituto di Storia della Seconda Guerra Mondiale di Amsterdam, dopo che a lungo gli storici lo hanno tenuto nascosto. La recente pubblicazione che negli Stati Uniti è stata fatta delle fotografie aeree di Auschwitz da peraltro il colpo di grazia alla leggenda di questo sterminio. Persino nell’estate 1944, nel momento in cui più massiccio era l’arrivo degli ebrei ungheresi, non si nota alcun rogo umano e nessuna folla nei pressi del crematorio (ma un portone aperto e un giardino ben tracciato), nessun fumo sospetto (e ciò mentre i camini di questi crematori avrebbero addirittura sputato giorno e notte fumo e fiamme visibili a diversi chilometri di distanza). Terminerò con quello che chiamerei il criterio della falsa testimonianza per ciò che concerne le «camere a gas». Ho rilevato che tutte queste testimonianze per vaghe o discordi che siano sul resto, s’accordano almeno su un punto: la squadra incaricata di ritirare i cadaveri dalla «camera a gas» penetrava nel locale sia «immediatamente» sia «poco dopo» la morte delle vittime. Io dico che questo punto da solo costituisce la pietra di paragone delle false testimonianze, perché vi è qui un’impossibilità fisica totale. Se incontrate qualcuno che crede alla realtà delle «camere a gas» domandategli come, secondo lui, vi si potevano estrarre i cadaveri per far posto all’infornata successiva.


 


 


Molti errori storici sono durati ben più di trentacinque anni. Quanto alcuni superstiti hanno raccontato costituisce una testimonianza fra le tante. Delle testimonianze non sono delle prove


 


 


Allora così si spiega il fatto che alcuni tribunali abbiano potuto stabilire l’esistenza di «camere a gas» in punti della Germania in cui si è finito per riconoscere che non ce n’erano state mai: per esempio, in tutto l’antico Reich. Le sentenze emesse a Norimberga hanno un valore molto relativo, poiché dei vinti sono stati giudicati dai loro vincitori senza la minima possibilità di interporre appello. Gli articoli nº 19 e nº 21 dello statuto di quel tribunale politico dava cinicamente a quella assise il diritto di poter fare a meno di prove solide, e autorizzava addirittura il ricorso al «si dice».


 


Sono esistite, almeno in apparenza, prove e testimonianze di gassazioni a Orianenburg, a Buchenwald, a Bergen-Belsen, a Dachau, a Ravensbrüsck, a Mauthausen. Professori, preti, cattolici, ebrei, comunisti hanno attestato l’esistenza di «camere a gas» in questi campi e dell’impiego di gas per uccidere dei detenuti. Per non fare che un esempio, Monsignor Piguet, Vescovo di Clermont-Ferrand, ha scritto che dei preti polacchi erano passati per la «camera a gas» di Dachau. Ora, oggi si riconosce che mai nessuno è stato gassato a Dachau. C’è di meglio: dei responsabili di campi hanno confessato l’esistenza e il funzionamento di «camere a gas» omicide laddove in seguito si è dovuto riconoscere che niente di tutto ciò era esistito. Per Ravensbrück, il comandante del campo (Suhren), il suo secondo (Schwarzhuber) e il medico del campo (Dr. Treite) hanno confessato l’esistenza di una «camera a gas» e ne hanno persino descritto, in modo vago, il funzionamento. Sono stati messi a morte o si sono suicidati. Stesso scenario per il Comandante Ziereis a Mauthausen, il quale, nel 1945, in punto di morte, avrebbe anche lui fatto delle confessioni. Non si creda che le confessioni dei responsabili di Ravensbrück siano state strappate dai russi o dai polacchi. é l’apparato giudiziario inglese o francese che ha ottenuto queste confessioni. Circostanza aggravante: le ottenevano ancora molti anni dopo la fine della guerra. è stato fatto tutto il necessario affinché fino alla fine, fino al 1950, un uomo come Schwarzhuber collaborasse con i suoi inquisitori, o con i suoi giudici istruttori o i suoi giudici di tribunale. Nessuno storico serio sostiene più che delle persone siano state gassate in un qualunque campo dell’antico Reich. Ora ci si accontenta solo di alcuni campi situati attualmente in Polonia. Il 19 agosto 1960 costituisce una data importante nella storia del mito delle «camere a gas». Quel giorno, il giornale Die Zeit ha pubblicato una lettera che ha intitolato «Nessuna gassazione a Dachau». Dato il contenuto della lettera, per essere del tutto onesto il giornale avrebbe dovuto intitolarla «Nessuna gassazione in tutto l’antico Reich», cioè nella Germania delle frontiere del 1937. Questa lettera era del Dr. Martin Broszat, diventato nel frattempo Direttore dell’Istituto di Storia Contemporanea di Monaco. Il dottor Broszat è un antinazista convinto, e fa parte degli storici «sterminazionisti». Egli ha creduto all’autenticità del «diario» di Rudolf Höss, che ha pubblicato nel 1958 con gravi tagli del testo nei passaggi in cui Höss aveva «un po’ troppo esagerato» per obbedire senza dubbio alle suggestioni dei suoi carcerieri polacchi. In poche parole, il Dr. Broszat il 19 agosto 1960 ha dovuto ammettere che non c’erano state gassazioni in tutto l’antico Reich. Aggiungeva anche, in modo contorto, che non vi erano state gassazioni innanzitutto (?) che in qualche punto scelto in Polonia, tra cui Auschwitz


 


 


. Per ammissione stessa degli «sterminazionisti» esiste un «problema delle camere a gas». A proposito delle false confessioni, un giorno ho chiesto allo storico Joseph Billig (addetto al Centre de Documentation Juive Contemporaine) come le spiegava. Billig aveva fatto parte della delegazione francese al processo di Norimberga. Vi do la sua risposta. Si trattava, secondo lui, di «fenomeni psicotici»! Per quel che mi riguarda, ho una spiegazione da proporre per questi pretesi «fenomeni psicotici» come pure per «l’apatia schizoide» di Rudolf Höss il giorno della sua deposizione davanti al tribunale di Norimberga: Höss è stato torturato dai suoi carcerieri inglesi. é stato «interrogato con il nerbo e con l’alcool». Ai processi detti «di Dachau», gli americani hanno abominevolmente torturato altri accusati tedeschi, come doveva segnatamente rivelarlo una commissione d’inchiesta. Peraltro, la tortura è molto spesso superflua. Molteplici sono infatti i modi di intimidazione. La formidabile riprovazione universale che viene fatta pesare sugli accusati nazisti conserva ancora oggi tutta la sua forza. Quando l’anatema esplode tra una umanità religiosa degna delle grandi comunioni medievali, non rimane che inchinarsi, soprattutto se gli avvocati si mettono di mezzo e sostengono che delle concessioni appaiono necessarie. Mi ricordo del mio odio personale per i tedeschi durante la guerra e dopo la fine del conflitto: un odio incandescente che credevo spontaneo, ma che con il trascorrere del tempo mi accorsi che mi era stato insufflato. Esso veniva dalla radio inglese, dalla propaganda di Hollywood e dalla stampa staliniana. Non avrei avuto pietà per un tedesco che mi avesse detto che era stato guardiano di un certo campo e che non aveva visto alcuno dei massacri di cui allora tutti parlavano. Se fossi stato suo giudice istruttore avrei ritenuto mio dovere di «farlo confessare». Da trentacinque anni il dramma di questo tipo di accusati tedeschi è paragonabile a quello delle streghe e degli stregoni del Medio Evo.


 


 


Poniamo mente al coraggio demente che sarebbe stato necessario a una di queste sedicenti streghe per osar dire al tribunale: «La prova migliore che non ho avuto commercio con il diavolo è che, molto semplicemente, il diavolo non esiste». Allo stesso modo, sono rarissimi i tedeschi che, come l’Ing. Durrfeld di Auschwitz, hanno osato dire che queste gassazioni non erano mai esistite e che era una vergogna diffamare così i tedeschi. La strega giocava d’astuzia con i suoi giudici, come i tedeschi, ancora oggi al processo di Düsseldorf, giocano di astuzia con i loro a proposito di Majdanek. Per esempio, la strega ammetteva che quel tale giorno il diavolo c’era, ma diceva che si trovava in cima alla collina, mentre lei era giù, ai piedi. L’accusato tedesco, da parte sua, si sforza dl dimostrare che non aveva nulla a che fare con le «camere a gas». Talvolta arriva a dire persino che ha aiutato a spingere qualcuno nella «camera a gas», o anche che gli hanno fatto versare un prodotto da una botola posta sul soffitto perché minacciato, se non obbediva, di essere messo a morte. Spesso dà anche l’impressione di divagare. Gli accusatori pensano: «Eccone un altro che cerca di salvarsi le penne. Questi tedeschi sono straordinari! Sembra che non abbiano mai saputo né mai visto niente». La verità è che in effetti non hanno visto né saputo niente di ciò che si vuol far loro dire in materia di gassazioni. Siamo noi accusatori che dobbiamo rimproverarci di questo modo di divagare, e non farne loro colpa, perché essi si muovono nel solo sistema di difesa che noi lasciamo loro. E nel fatto che adottino questo sistema anche gli avvocati hanno una grave responsabilità.


 


Non mi riferisco a coloro che, come quasi tutti, credono che le «camere a gas» siano esistite. Parlo di quelli che sanno o sospettano di essere davanti a un’enorme menzogna, ma preferiscono, sia nel loro proprio interesse sia in quello del loro cliente, non sollevare questo problema. L’avvocato di Adolf Eichmann (1906-1962) non credeva all’esistenza delle «camere a gas», ma al processo di Gerusalemme si è ben guardato dallo scoprire gli altarini. Non glielo si può rimproverare. Credo infatti che lo statuto di quel tribunale permettesse di sollevare l’avvocato dal diritto di difesa se si fosse prodotto un incidente «insostenibile», o definibile con un termine equivalente.


 


In questo genere di processi nemmeno una volta si è pensato di fare una perizia di quella che si chiama «l’arma del delitto». Quando si sospetta che una corda, un coltello, un revolver siano stati strumento di un crimine, si fa la perizia, benché siano oggetti che non hanno nulla di particolare. Invece, nel caso delle «camere a gas», in trentacinque anni non c’è stata una sola perizia. è vero che si parla di una perizia fatta dai sovietici, ma possiamo immaginare con quale metro e, in ogni modo, sembra che il testo sia rimasto segreto. Al processo di Francoforte, durato un anno e mezzo, dal dicembre 1963 all’agosto 1965, un tribunale ha condotto l’affare «dei guardiani di Auschwitz» senza ordinare una perizia dell’arma del crimine. Lo stesso vale per il processo di Majdanek a Dusserdorf e, poco dopo la fine della guerra, per quello di Struthof in Francia. Questa assenza di perizie è tanto meno scusabile in quanto non un giudice, non un procuratore, non un avvocato potevano vantarsi di conoscere per esperienza la natura e il funzionamento di questi straordinari macelli umani. Eppure a Struthof e a Majdanek, quelle «camere a gas» vengono presentate come fossero ancora allo stato originario. Perciò, è sufficiente esaminare sul posto «l’arma del crimine». Ad Auschwitz le cose sono meno chiare. Al campo principale si lascia credere ai turisti che la «camera a gas» è autentica, ma, chiedendo insistentemente, le autorità del museo battono in ritirata e parlano di «ricostruzione» (che peraltro non è che una misera menzogna che si può facilmente smascherare con certi documenti di archivio). All’annesso campo di Birkenau vengono mostrate solo delle rovine di «camere a gas», o qualcosa di meno, dei terreni che sarebbero stati occupati da «camere a gas». Ma anche qui le perizie sono possibilissime perché a un archeologo talvolta basta qualche piccolo indizio per conoscere la natura e la destinazione di un sito inabitato da diversi secoli. Per dare un’idea della condiscendenza dimostrata dagli avvocati del processo di Francoforte nei confronti dell’accusa, ricordo che uno di essi si è persino fatto fotografare dai giornalisti mentre sollevava una botola (sic!) della sedicente «camera a gas» del campo principale di Auschwitz. Dieci anni dopo il processo ho chiesto a questo avvocato che cosa gli aveva permesso di considerare che l’edificio in questione era una «camera a gas». La sua risposta scritta è stata più che evasiva; assomiglia a quella datami dalle autorità del museo di Dachau quando chiesi su quali documenti basavano la loro affermazione che un certo locale del campo era una «camera a gas» incompiuta. Mi stupiva infatti il fatto che si possa affermare che un locale incompiuto era destinato a diventare, una volta ultimato, qualcosa che non si è mai visto.


 


 


 


cos'è il genio?
è fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione..


beh.. non sono bello come clooney nè affascinante come sean connery, nemmeno intrigante come johnny depp.. ma so leccare come lessie!




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CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 1.7.0 (305 visite)   Nieth
   re:CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 1.17.56 (74 visite)   el cid
      re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 1.22.30 (52 visite)   Nieth
      re:CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 1.24.17 (64 visite)   CapHarlock
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   E' vero si so tutti...   31/7/2007 1.20.52 (64 visite)   _luca27_
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               vabuo'....   31/7/2007 1.34.54 (44 visite)   _luca27_
            re:ma jamm dome'...   31/7/2007 1.27.19 (47 visite)   Nieth
               filologia della morte   31/7/2007 1.29.50 (63 visite)   casual
                  re:filologia della morte   31/7/2007 1.31.51 (60 visite)   Nieth
                     ma camere a gas o meno   31/7/2007 1.32.53 (56 visite)   casual
                        re:ma camere a gas o meno   31/7/2007 1.38.50 (49 visite)   Nieth
                           jamm domè ma dove   31/7/2007 1.42.3 (48 visite)   casual
                              re:jamm domè ma dove   31/7/2007 1.44.5 (39 visite)   Nieth
                                 re:jamm domè ma dove   31/7/2007 1.48.7 (39 visite)   Asclepiade
                                 ma chi se ne fotte?   31/7/2007 1.48.15 (48 visite)   casual
                                    re:ma chi se ne fotte?   31/7/2007 1.49.43 (42 visite)   Nieth
                                       re:ma chi se ne fotte?   31/7/2007 1.51.39 (35 visite)   el cid
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         re:E' vero si so tutti...   31/7/2007 1.26.14 (28 visite)   el cid
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                        re:E' vero si so tutti   31/7/2007 1.45.13 (25 visite)   el cid
                           re:E' vero si so tutti   31/7/2007 1.47.5 (20 visite)   `ReVaN`
                        re:E' vero si so tutti   31/7/2007 1.46.1 (27 visite)   Nieth
   Ma quindi se cio' fosse..   31/7/2007 1.38.3 (40 visite)   _luca27_
   re:CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 1.38.36 (58 visite)   ilBuio
      re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 1.40.14 (33 visite)   Nieth
         re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 1.42.2 (34 visite)   ilBuio
            re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 1.46.44 (21 visite)   el cid
               re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 1.49.24 (25 visite)   ilBuio
            re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 1.46.52 (27 visite)   Nieth
      re:CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 1.50.15 (51 visite)   `ReVaN`
         re:CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 1.54.53 (45 visite)   ilBuio
   BASTA HO DECISO...   31/7/2007 1.53.59 (42 visite)   _luca27_
      re:BASTA HO DECISO...   31/7/2007 1.54.34 (34 visite)   Nieth
   re:CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 11.39.36 (37 visite)   Fred Mile
      re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 12.0.6 (19 visite)   Nieth
   re:CAMERE GAS, davvero esistite?   31/7/2007 11.51.1 (38 visite)   Awip
      re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 11.56.21 (26 visite)   Nieth
         re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 12.17.5 (20 visite)   Awip
            re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 12.19.11 (26 visite)   Nieth
               re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 12.22.58 (16 visite)   Awip
                  re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 12.25.51 (26 visite)   Nieth
                     re:CAMERE GAS, davvero   31/7/2007 12.31.8 (18 visite)   Awip (ultimo)

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