Nick: Zanardi Oggetto: Carpaccio Data: 27/8/2007 22.22.36 Visite: 198
Eravamo in sei però eravamo la summa di due cervelli scappati all’estero e uno dei cervelli era il mio, senza falsa modestia. Tre di loro, tra cui Gisella venivano da Verona, la città di Emilio Salgari, l’autore di Sandokan, Yanez e Lady Marianna che poi è un nome che non mi piace tanto. L’amore era sicuramente uno dei chiodi fissi di tutti e sei. D’altronde c’eravamo conosciuti in quella fase della vita in cui confidarci i nostri malesseri di cuore era la cosa più normale e ci costringeva a giornate penose in cui, a turno, pazientemente ascoltavamo le pene altrui. Che poi con l’età, quei malesseri, pur interessando lo stesso organo, ossia il cuore, sono diventati ben altra cosa. E comunque non è cambiato poi molto. Poi sì, c’è sicuramente l’aspetto più romantico, d’altronde lo si leggeva e lo si legge in quello che dicevamo e in quello che diciamo. Cioè che a volte l’amore veniva vissuto come una canzone sciocca di Valeria Rossi, altre volte paurosa come una caduta di Valentino Rossi. Ci si vedeva a casa mia e si ascoltava White Album dei Beatles sul giradischi. Sembrava di stare in Abbey Road e il giradischi dava un suono beat a White Album che sembrava lo scolo dei campi da tennis poco distanti da casa. Eravamo sempre a casa mia, in Agosto. Il mese più freddo dell’anno. E comunque meglio un agosto freddo che un settembre nero. Eravamo sempre a casa mia. Casa mia, casa mia, per piccina che tu sia tu mi sembri un’abbazia. Oppure, come cantava Maurice, "My house, my house , it is bigger for a mouse". O qualcosa del genere. Eravamo come una piccola famiglia e si faceva presto a stabilire chi era colui che la mandava avanti. Di figli disobbedienti ce n’erano parecchi, più di quanti si direbbero. Forse anche più di quanti eravamo. Ma probabilmente il peggiore ero io. Ci sopportavamo come si sopportano i parenti, essendo come una piccola famiglia. Scazzavamo e andavamo d’amore e d’accordo, altalenando questi sentimenti di continuo. Un po’ come il nonno e la nonna. Il miglior consiglio che ci davamo l’uno con l’altro era "Trovati un lavoro serio". Oggi ci diciamo ancora, l’un con l’altro, "Trovati un lavoro serio". Stefano scriveva e scrive canzoni per un gruppo importante. Lui non è importante però. Non lo era allora e non lo è adesso. Rimane una specie di sfigato simpatico che scrive canzoni. Dice continuamente che le canzoni sono meglio di chi le scrive. Cioè, ce ne passa tra gli occhini di Bambi e i cerbiatti che devastano l’equilibrio faunistico delle montagne del Trentino, dove adesso uccidono gli orsi se sono esuberanti. E poi lui era uno di quelli che veniva da Verona, la città di Emilio Salgari, uno che non ha probabilmente manco attraversato il Po. Un po’ come Borghezio. Voleva e vorrebbe trasferirsi a Roma. Ma ciò aveva ed ha i suoi svantaggi, tipo il costo degli affitti. Ma non lo farà mai. Farebbe un torto a Emilio Salgari. E a Borghezio. E non gli era e non gli è possibile evitare motivi sentimentali. Scrive canzoni e non crede alla meritocrazia. Così come io scrivo cose come questa. E neppure io ci credo alla meritocrazia dello scrivere. Pure se c’è sempre chi fa faticato molto e s’è sottoposto a una bella dose di gavetta e di calci in culo ovunque e da parte di chiunque. Sì, se il concetto di meritocrazia si applica al "culo fattosi", una sorta di meritocrazia "storica" c’è, ma per farselo bisogna pure averlo il culo. Stefano dice poi che una canzone non è finita finché c’è qualcuno che l’ascolta. Cosa cazzo vorrà dire non lo so, ma credo che lui non creda nel successo come esempio di realizzazione, ma il fatto di arrivare a più persone possibile sicuramente aiuta a sentirti realizzato. Cioè meglio uno che ti dice "mi avete fatto piangere", piuttosto che uno che ti dice "Scusa ma sei quello dei Daft Punk?". Anche a costo che lui veda in ciò che hai scritto qualcosa di diverso da quel che ci hai messo, perché tanto è lui a completarlo. Io adesso sto sentendo due dischi. Nell’Hi-Fi c’è un "Pianissimo fortissimo" dei Perturbazione e nel PC suona "Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club" dei Beatles. Facile la vita per i Beatles che sembrano sapere che passeranno alla cassa con questo disco e pensano alla pensione, mentre quegli altri sfigati, secondo me, si fanno il culo ancora per pagare le bollette. "Un anno in più non cambia niente", cantano. Già. E così mentre Paul e John cantano "She’s leaving home", gli altri cantano le parole di Stefano: "Son rimasto fuori torna prima che puoi", entrambi immersi in un mare di pizzicati ed archi a donare un’atmosfera sognante che mi fa lacrimare e non per tristezza. La frase giusta adesso sarebbe "per vivere felicemente è necessario..". Senza questa frase a mò di clausola di cose interessante se ne trovano a bizzeffe…chessò, anche raccogliere lumache dopo un acquazzone, per poi cucinarle. Che schifo: non le mangerei mai. Boh. Vorrei che adesso mi si chiedesse "quanto zucchero nel caffè?". Un cucchiaino, grazie. Non penserei a nulla se non al caffè. "Un anno in più non cambia niente".. Invece gli anni passano e io lo so. E pure Stefano, che scrive diversamente, è dalla mia parte. Filippo era uno che odiava l’inverno e diceva che non c’era niente di meglio di una primavera che arriva prima del tempo. Credo che adesso pensi e dica la stessa cosa, chiudendo gli occhi su quanto sia inquietante a livello ambientale questo fenomeno che lui auspicava ed auspica. Ma lui è stato sempre un po’ cieco, a dire il vero. Abitava sulla strada per Ostia, la Cristoforo Colombo, la strada della lussuria. Nel 2001 lavorava in una tavola calda all’idroscalo di Ostia. Il 7 novembre 2001 andammo a trovarlo e lungo il tragitto, sulla strada della lussuria, uno di noi che non ero io ci costrinse quasi a fermarci, per trombarsi una troia. Ci fermammo e trombata fu. Il post trombata con la troia fu un momento esilarante e tragico. Noi ridevamo col Trombatore e Gisella piantò una grana che ci fece litigare. Il Trombatore, che non nomino a malincuore, da allora è sparito. Così come Filippo che si è sposato e bye bye baby. Gli anni passano ma io resto sempre il semplice ragazzino di Betlemme di una volta. E pure gli altri cinque. Che in verità assomigliano molto di più a cinque Re Magi, cammelli compresi. Compresa Gisella che ha capito cosa vuol dire essere una donna oggi. Vuol dire aprirsi una pagina su MySpace col proprio profilo, per dire al mondo "Ci sono" e poi caricarci su "No Scrubs" delle TLC o "Knock’em out" di Lily Allen. E comunque vuol dire rendere questo pianeta un posto più bello in cui vivere. Eravamo in sei però eravamo la summa di due cervelli scappati all’estero e uno dei cervelli era il mio, senza falsa modestia. Ma ricordo bene solo di Gisella, Stefano e Filippo. Chiunque facesse il nostro percorso inciamperebbe lungo il cammino, prenderebbe gli stessi appuntamenti che abbiamo preso noi. Provate a camminare nelle nostre scarpe. Il mio cervello non è fuggito all’estero oppure "dove non si sa dove". Qualche volta mi sento a disagio ma volte non c’è niente di meglio che sentirsi a disagio. Non prego mai, mai. "La preghiera non è un accessorio, ma è una questione di vita o di morte" ha detto Joseph Ratzinger nell’Angelus del 4 marzo 2007. Comunque l’influenza del Santo Padre non si sente molto in me. Morirò presto? Boh, preferisco grattarmi. Altrimenti Amen. Non mi faccio mai mancare acqua fresca, un’asciugamano rosa e una scimmietta depilata, anche se poi il giorno dopo ti si è irritato il pube. Ah, mi piace il carpaccio che è solo ed esclusivamente manzo tagliato a fette sottili sottili che si squagliano in bocca. Quindi arrabbiatevi con chi vi offre carpaccio di salmone. Il carpaccio va sempre a comprarlo Rocco, ma adesso non posso chiamarlo perché sta giocando a Tennis cantando "No Time No Space" di Battiato che gli suona nella orecchie dall’Ipod. Come cazzo farà a giocare a tennis con l’Ipod impastato sui timpani? Continuo a fare un lavoro che non mi piace poi tanto ma che mi consente di vivere, pagare bollette, comprare un po’ d’erba ogni tanto, farmi qualche viaggio e mettere il gasolio in auto e raggiungere qualcuno. Alcune volte per una notte focosa. O quasi. Alcune volte, però. Poche, và. Pure se ho scoperto che da un po’ di tempo non amo l’odore di carne bruciata. Sono previdente e ho sempre cercato di scommettere sul futuro. Pure in termini di lavoro e donne. Meglio una gallina domani che un uovo oggi, insomma. Però se qualcuno mi dice "Ehi, quella consulenza", oppure se Gisella mi chiedesse "Ti va di uscire con me stasera?", io rispondo "Un uovo oggi, grazie". Ps - Già postato. Grazie ai soliti vari Collages. Tutti abbiamo una parte femminile, è vero. La mia è lesbica. |