Nick: *a_lazial* Oggetto: :D Data: 16/9/2007 18.19.38 Visite: 185
«M'adda muri mio figlio mi sotto o'pam pam de guardie». A Napoli i giuramenti sono cosa seria e forse per questo che, quando qualcuno chiede una conferma certa, può andare sul sicuro se la risposta è: «se non dico la verità possa morire il mio ragazzo sotto gli spari della polizia». Tra suoni onomatopeici e retaggi culturali, il gergo dei giovani rispecchia valori, conoscenze e racconta del mondo così come può essere visto e vissuto dagli occhi di un’adolescente. E così a scuola come tra i vicoli della Napoli 2006, basta ascoltare i ragazzi per capire che quando non vogliono essere infastiditi gridano «scinnim a' cuoll», che se una situazione sta prendendo una piega complessa è «nà tarantella», che sono bravi a «fare i pezzi», ossia belle azioni di calcio alla playstation,che se qualcuno ha preso un abbaglio si «è flesciato» e che, senza ombra di dubbio, gli amici più stretti sono «frate a me» o «sor a me». Ci sono poi modi di dire come «Ma serio» che spopolno ovunque, da Bagnoli al Centro direzionale. Due parole che in italiano tradurremmo con «è proprio così», «hai ragione» e sono il nuovo slang di chi per confermare qualcosa ha bisogno di sostantivi che aggiungono e rafforzano uno spazio precario. Infiniti sono i modi poi per spiegare sensazioni ed emozioni degli innamorati, di chi «sta 'ngrippato»(pensa sempre a qualcosa o qualcuno) o di chi spera di «farsi una mangiata» (vedi: baciare o pomiciare). Se uno è «nu cuopp» (brutto) sarà difficile riuscire a rimorchiare, soprattutto se si punta a una «pietra» (ragazza tanto bella che sembra scolpita) o «nù stucc» (bella tanto da sembrare dipinta). Sulla scala dei valori, inoltre, se la ragazza è soltanto carina sarà «nà vreccia», ossia una brecciolina di quelle del bagnasciuga. Dura anche lei, ma non appariscente quanto una pietra. Ma se la ragazza di turno apostrofa il coetaneo con un «come stai fashion» è fatta, vuol dire che gli piaci, soprattutto se alla fatidica domanda «Allora usciamo sabato?» risponde «base» o «minimo» ( sicuro, ovviamente). Se invece obietta un «ma anche no», mutuato dagli schetck della Gialappa's, il trio comico che imperversa su Italia 1, allora meglio rassegnarsi e confessare: «ho preso il palo» (mi ha rifiutato). Unica soluzione: «l'appeng o' chiuv a' 10» non pensarci più, appendendo la storia, ossia ad un chiodo da 10 centimetri, il più grosso sul mercato. Al calar della notte anche il vocabolario si adegua e tra le piazze di ritrovo dal Vomero a Barra è un'unica ola di «pariare», «ricottare»,«fare ammuina», tutti sinonimi di divertimento, tutti pronti ad «arrevutare» ( sconvolgere) la serata. Ma siccome segno e significato si «accoppiano» solo se accettati da una comunità, spesso alcune frasi usatissime in determinati vicoli diventano incomprensibili per i coetanei che vivono solo qualche chilometro più in là. E così «Se non la finisci fai la fine di pietà» usato come monito dai ragazzi dei Quartieri spagnoli ha un senso solo se conosci pietà: un mendicante che da secoli presidia via Roma agitando il piattino per l’elemosina e ripetendo, appunto «pietà». Per invitare qualcuno ad uscire si usa la forma contratta «Ma ta' sient?», nella zona a nord di Napoli la 167 di Secondigliano è solo A'67, mentre dovunque, se ci si trova in un particolare stato di grazia l'espressione è unica :«Stong a' mostr».
 Non lasciare che il passato ti dica chi sei,ma fa che diventi parte di ciò che diventerai... |