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Nick: Copia&Inc
Oggetto: Il nazismo e gli omosessuali
Data: 4/6/2004 13.36.41
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L'Olocausto degli ebrei europei fu l'aspetto più tragicamente macroscopico del pensiero razzista portato alle sue estreme conseguenze. L'intolleranza verso "il diverso da se" che è l'elemento fondante di ogni razzismo venne applicato in primo luogo verso gli ebrei ma non soltanto verso di loro.

A fianco dell'Olocausto si manifestarono altri orribili crimini frutto di quello stesso razzismo che generò la "Soluzione Finale". Altri gruppi di individui, altre etnie vennero individuate come inferiori dai nazisti e contro di esse furono perpetrati crimini abominevoli.

Soltanto un mese dopo l'ascesa al potere di Hitler il nuovo governo nazista proibì tutti i periodici della comunità omosessuale e mise fuori legge tutte le organizzazioni omosessuali.

Nel 1935, un anno prima la promulgazione delle leggi discriminatorie contro gli ebrei, il governo nazista riprese in mano il "Paragrafo 175" allargandone la casistica e ampliandone la portata. Il nuovo testo della legge era il seguente:
"Un uomo che commetta un atto sessuale contro natura con un altro uomo o che permetta ad un altro di commettere su di sé atti sessuali contro natura sarà punito con la prigione. Qualora una delle due persone non abbia compiuto i ventun anni di età al momento dell'atto, la Corte può, specialmente nei casi meno gravi, astenersi dall'irrogare la pena"

L'omosessualità maschile veniva differenziata da quella femminile. Secondo il Ministro della Giustizia Frick infatti "Considerando gli omosessuali maschi ad essere danneggiata è la fertilità poiché, usualmente costoro non procreano. Ciò non è ugualmente vero per quanto riguarda le donne o almeno non con la medesima ampiezza. Il vizio è più pericolo tra uomini piuttosto che tra donne"

Alla fine del 1936 venne costituito l'Ufficio Centrale per la lotta all'omosessualità e all'aborto. Il decreto che istituiva l'Ufficio recitava: "L'alto numero di aborti ancora commessi provoca considerevoli pericoli alla politica demografica e alla salute della nazione costituendo anche un grave attentato ai fondamenti ideologici del nazionalsocialismo. Le attività omosessuali di una non trascurabile parte della popolazione, costituiscono una seria minaccia per la gioventù. Tutto ciò richiede l'adozione di più incisive misure contro queste malattie nazionali"

Le più incisive misure ebbero negli anni successivi un nome: campi di concentramento.

Le porte dei campi di concentramento si aprirono per gli omosessuali molto presto: nel 1933 abbiamo i primi internamenti a Fuhlsbuttel, nel 1934 a Dachau e Sachsenhausen. Molte centinaia furono internati in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936 per "ripulire le strade".
Tuttavia le cifre - se confrontate con l'enormità dello sterminio degli ebrei europei - mostrano un atteggiamento apparentemente contraddittorio da parte delle autorità naziste. Vi è concordanza sulle cifre degli omosessuali morti nei campi di concentramento tra il 1933 ed il 1945: circa 7.000. Si trattava per la quasi totalità di omosessuali di nazionalità tedesca, poiché, a differenza degli Ebrei e degli Zingari, i nazisti non perseguitarono o cercarono di perseguitare gli omosessuali non tedeschi.

Sempre tra il 1933 ed il 1945 le persone processate per la violazione del Paragrafo 175 furono circa 60.000, di questi circa 10.000 vennero internati nei campi di concentramento. Gli altri furono condannati a pene detentive.
Come si spiega questo apparente trattamento "mite"?
I nazisti distinguevano tra "cause ambientali" che avevano condotto alla omosessualità e "omosessualità abituale".
Nel primo caso il carcere duro, i lavori forzati, le cure psichiatriche e la castrazione volontaria erano ritenuti provvedimenti utili al reinserimento nella società. Nel secondo caso invece l'omosessualità veniva considerata incurabile.
Il tasso di mortalità degli omosessuali nei campi fu del 60% contro il 41% dei prigionieri politici ed il 35% dei Testimoni di Geova. Un altro dato significativo è dato dal fatto che due terzi degli omosessuali internati morirono durante il primo anno di permanenza nei campi.

Questi dati portano a due conclusioni ancorché provvisorie.
La prima: tra gli omosessuali internati un considerevole numero doveva essere rappresentato dalla fascia di "omosessualità abituale" più evidente e cioËdalle transessuali. La seconda: l'omosessualità "abituale" veniva considerata una malattia degenerativa della "razza ariana" e, per questo motivo, sugli omosessuali vennero condotti con particolare intensità esperimenti pseudoscientifici quasi sempre - come vedremo - mortali. In più, come emerge dalle testimonianze, l'accanimento delle SS contro gli omosessuali era particolarmente violento.
A questo si aggiunga che i detenuti omosessuali - a differenza delle altre categorie - secondo numerose testimonianze assumevano un atteggiamento di rinuncia alla sopravvivenza con un tasso di suicidi (gettandosi sul filo spinato elettrificato dei campi o rifiutando il cibo) estremamente elevato. Più di altri prigionieri gli omosessuali subivano un crollo psicologico profondissimo.
In un primo tempo gli internati in base al Paragrafo 175 erano costretti ad indossare un bracciale giallo con una "A" al centro. La "A" stava per la parola tedesca "Arschficker", sodomita. Altre varianti furono dei punti neri o il numero "175" in relazione all'articolo di legge. Soltanto successivamente, seguendo la rigida casistica iconografica nazista venne adottato un triangolo rosa cucito all'altezza del petto.

La vita nei campi di concentramento per i "triangoli rosa" fu terribile e seconda soltanto ai prigionieri ebrei.

Con la liberazione dei campi da parte degli Alleati paradossalmente i triangoli rosa non riacquistarono la libertà. Americani ed Inglesi non considerarono gli omosessuali alla stessa stregua degli altri internati ma criminali comuni. In più non considerarono gli anni passati in campo di concentramento equivalenti agli anni di carcere. Ci fu così chi, condannato a otto anni di prigione, aveva trascorso cinque anni di carcere e tre di campo e per questo venne trasferito in prigione per scontare altri tre anni di carcere.

La testimonianza più agghiacciante sulla detenzione nei campi di concentramento degli omosessuali proviene dalle "Memorie" che Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, scrisse prima di venire impiccato.

La testimonianza di Hoss per quanto rivoltante nella sua inumanità è rivelatrice della mentalità nazista: gli omosessuali possono essere "guariti", almeno quelli non "innati". Gli esperimenti con le prostitute, la convinzione che un lavoro massacrante potesse riportare alla eterosessualità i "triangoli rosa" fa emergere la preoccupazione di non veder sabotata la crescita del sangue tedesco. Questo atteggiamento fu alla base del tentativo di "guarire" gli "irrecuperabili" con l'intervento della medicina.


Un medico danese delle SS, Karl Vernaet, chiese di poter sperimentare un suo preparato a base di ormoni che, secondo i suoi studi, sarebbe stato in grado di "guarire" definitivamente i "triangoli rosa". Un certo numero di omosessuali vennero inviati al campo di concentramento di Buchenwald dove Vernaet installò il proprio laboratorio. In via preliminare Vernaet, esaminati i prigionieri li divise in tre categorie:

Omosessuali incalliti (che amano lavorare a maglia o ricamare)
Omosessuali irrequieti (che oscillano tra virilità e indifferenza omosessuale)
Omosessuali problematici (recuperabili sotto l'aspetto psicologico)
La prima categoria, separata dagli altri, fu la protagonista degli esperimenti. La "cura" di Vaernet consistette nell'incidere la cute dell'addome e nell'inserimento di una dose massiccia di testosterone che sarebbe dovuta essere sufficiente per un anno.
A distanza di tre settimane l'80% delle persone operate era deceduto ed il 20% rimanente non presentava sintomi di guarigione. Lo stesso insuccesso e le stesse percentuali di mortalità si registrarono nei soggetti "irrequieti" e "problematici".








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