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Ricordo il mio arrivo in Olanda, in un freddo febbraio di due anni fa.
Pur non sapendolo mi ritrovai immerso nel caos del carnevale olandese. In un primo momento la cosa non mi dispiacque affatto, mi ero ritrovato in una variopinta e variegata valanga di luci, suoni e colori. Tuttavia, indagando appena al di là delle velleità festaiole, mi resi conto che il carnevale in realtà mi remava contro.
Lo spiegamento di forze dell’ordine, rispetto agli altri periodi dell’anno, era consistente (se rapportato gli standard dei paesi bassi, ovviamente). Questo impediva ai ladruncoli che operavano nella zona stazione di rubare e rivendere le bici, mercimonio che si svolgeva indisturbato durante il resto dell’anno.
Volendo apprezzare il disagio dello scrivente si potrebbe semplificare dicendo che lo stesso si vide costretto ad andare a zonzo per le strade di Eindhoven per più di due settimane senza una fottutissima (in ambo i sensi) bicicletta.
Tutti gli altri l’avevano, io no!
Mi torno alla mente allora una canzone, una canzone dei New Trolls, che Fabrizio de Andrè aveva scritto per loro. La canzone si intitolava “Signore io sono Irish”
Ricordo distintamente che fissai nel mio diario il testo di quella canzone.
“Signore io sono Irish
Quello che non ha la bicicletta
Tu lo sai che lavoro e alla sera
Le mie reni non cantano
Tu mia hai dato il profumo dei fiori
Le farfalle i colori
E le labbra di Ester create da te
Quei suoi occhi incredibili solo per me
Ma c'è una cosa o mio Signore che non va
Io che lavoro dai Lancaster a trenta migòia dalla città
Io nel tuo giorno sono stanco, sono stanco come non mai
E trenta miglia più trenta miglia sono tante a piedi lo sai.
E Irish, tu lo ricordi Signore
Non ha la bicicletta
Nel tuo giorno le rondini cantano
La tua gloria nei cieli
Solo io sono triste Signore
La tua casa è lontana
Devo stare sul prato a parlarti di me
E io soffro Signore lontano da te
Ma tu sei buono e fra gli amici che tu hai
Una bicicletta per il tuo Irish certamente la troverai
Anche se vecchia non importa, anche se vecchia mandala a me
Purchè mi porti nel tuo giorno mio Signore fino a te.
Signore io sono Irish
Quello che verrà da te in bicicletta.”
Ricordo quel giorno, in un caldo pomeriggio di alcuni mesi fa.
Ero in macchina e stavo andando a trovarla, il cielo era stato nuvoloso ed incerto. All’improvviso le nuvole si aprirono e fece la sua comparsa un caldo raggio di sole. Nello stesso istante la radio passo una canzone quasi volesse essere un segnale.
Ricordo distintamente che fissai nel mio diario il testo di quella canzone.
“Those Dancing Days Are Gone
Come, let me sing into your ear;
Those dancing days are gone,
All that silk and satin gear;
Crouch upon a stone,
Wrapping that foul body up
In as foul a rag:
I carry the sun in a golden cup.
The moon in a silver bag.
Curse as you may I sing it through;
What matter if the knave
That the most could pleasure you,
The children that he gave,
Are somewhere sleeping like a top
Under a marble flag?
I carry the sun in a golden cup.
The moon in a silver bag.
I thought it out this very day.
Noon upon the clock,
A man may put pretence away
Who leans upon a stick,
May sing, and sing until he drop,
Whether to maid or hag:
I carry the sun in a golden cup,
The moon in a silver bag.”
Ora tutti e due sono ricordi, l’uno amaro l’altro bello, l’uno bello l’altro amaro.
Ciò che resta sono i piedi per camminare e lo stupore di fronte alla falsità delle promesse, all’incapacità di essere sinceri, alla presunzione di essere inattaccabili ed alla indifferenza che stenta a sopraggiungere.
Sarà che ultimamente lo scrivente è estremamente rissoso, ma ha una gran voglia di spaccare un naso.
Perché è facile sentirsi liberi in estate.
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