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Nick: Remedios*
Oggetto: uno dei film
Data: 9/6/2004 16.27.9
Visite: 118

più belli che ho visto negli ultimi 15 giorni...



Tony Gatlif con il suo Exiles ci parla dei popoli in cammino dal sud del mondo verso il nord e il viaggio dei suoi due protagonisti che partono da Parigi per ritrovare le proprie origini, lui figlio di francese d'Algeria, lei algerina, senza che nessuno dei due abbia mai avuto un contatto con la loro terra d'origine di cui non parlano neanche la lingua.
È un viaggio condotto per le vie della musica, una sonorità che collega la Francia contemporanea, l'Andalusia, l'Africa del nord, fino alla scena liberatoria di un rito sufi dove la danza travolge ogni resistenza e dolore e concede infine la possibilità di una nuova vita, una pratica tanto simile ai paesi mediterranei che noi ben conosciamo con la pizzica salentina. Gatlif invece non ne ha mai sentito parlare, è incuriosito dalla taranta: «Il rito sufi, dice, è musicoterapia, libera dei demoni che sono demoni del male, della fecondità. Sono infatti le donne che danzano perché è legato alla fecondità, amore, dolore. Si trova in Tunisia, Marocco, Algeria. È come una festa a sé, deriva dalla religione musulmana, ma non ha niente a che fare con il Corano, chi la pratica è un dissidente. Una sorta disufismo simile è la maulana dell'Iran, anche lì si manifesta con musica e trance».Il divieto della musica e della danza messa in atto dagli integralismi, rende il film ancora più forte, più libero: «In più si vede che è clandestino, si svolge in segreto e dura tutta la notte. La sequenza dura 11 minuti, non c'è mai uno stacco né visivo né sonoro, un piano sequenza che non si potrebbe rendere più a lungo perché il cuore non reggerebbe a quell'intensità. Per me la musica è la sola religione, proprio come risponde il protagonista a chi gli chiede se è musulmano. Tutti i dialoghi del mio film parlano di cose che io penso. La sola religione più importante che ci sia al mondo oggi è la musica, è la più chiarificatrice, è l'arte che trasmette di più la pace e l'amore in tutto il mondo, non può trasmettere odio, è l'unica forma di religione. Ma non tutta la musica, solo quella che ha un'anima, che nasce dall'anima di qualcuno, non la musica commerciale».
Quindi è anche un utile strumento
per avvicinare le culture: «Là dove la politica e l'economia falliscono, la musica non fallisce, essa può realizzare il meticciato, cosa che la politica non può fare, si può dire che la musica è mondialista, del resto si parla di world music, è una ricchezza che può miscelare bene le diverse culture. È il veicolo contemporaneo della pace. Prima ci volevano almeno due anni per far arrivare le forme di musica lontana, ora si integra immediatamente. Può prendere posizioni più importanti dei libri e del cinema e anche della televisione che è completamente volgare, abbrutisce la gente e non la tocca».

Solo nei titoli di coda si comprende che la musica che si è ascoltata nel film è musica originale, mentre si vede il film sembra musica antica, popolare. Come è composto il suo gruppo?

«Sono tutti musicisti che hanno collaborato con me anche in altri film come Latcho Drom e Vengo: il clarino è bulgaro, i «daf», i tamburi sufi sono suonati da un iraniano e tre fratelli iracheni, ci sono arabi, gitani, musulmani, tre francesi quindi nove etnie diverse e venticinque nella scena del trance». Si definisce cittadino del mondo? «Sì lo sono ed è per questo che non ho mai neanche aderito alle associazioni gitane. Lei mi ha parlato della trance del Salento ed ora ho voglia di andare là e restarci il tempo occorrente per studiarla, non voglio avere nessuna etichetta».

È molto interessante questo legame con l'Algeria, nella sua biografia si dice che il cinema lo ha scoperto proprio in Algeria dove il cinema era piuttosto interessante negli anni sessanta e vi era una grande cinemathèque: «In Algeria ho conosciuto il cinema del mondo. Nel `55 avevo un maestro francese, era un umanista, venuto a fare la scuola ai poveri per mezzo del cinema, perché non sapevamo né leggere né scrivere e ci portava film da tutto il mondo, impegnati politicamente. Se ci avesse insegnato a leggere e a scrivere saremmo scappati via, non ci facevamo catturare. Era marxista umanista, in Algeria dopo la guerra c'era un grande movimento rivoluzionario, quando l'ho incontrato anni dopo ho saputo che aiutava i rivoluzionari algerini.» Com'è cambiato il cinema oggi? «Io non conosco l'Algeria, non ho alcun contatto con il cinema algerino. Sono tornato là solo per il film, ma solo sulle strade del ritorno. Dalla fine degli anni sessanta il cinema algerino è sempre dissidente e si fa altrove, non in Algeria, perchè in Algeria c'è una politica alla russa con censura e tutto il resto. L'Algeria ha perso il suo popolo. Il cinema algerino è esistito dalle sue origini nel `50 fino agli anni settanta, anzi fino al `63, poi è arrivato Boumedien ed è finito tutto. Quanto a me ho cominciato a fare cinema per via degli strass, delle ttrici e per incontrare Claudia Cardinale, non per tornare in Algeria. Solo più tardi ho capito il forte messaggio politico che poteva avere il cinema. Quello che c'era fuori dal paese, i gitani, gli altri immigrati era altrettanto forte, avevo bisogno di parlare di persone come me». Che dire di Quentin Tarantino in giuria? «penso che abbia percepito nel mio film la stessa follia dei suoi film, perché ci sono piani asolutamente inaspettati, folli, soprattutto per la direzione in cui va il cinema mondiale. Ho amato molto il suo modo di spezzare la musica e il ritmo all'interno di Pulp Fiction, un modo del tutto tzigano»

http://www.ilmanifesto.it/php3/ric_view.php3?page=/Quotidiano-archivio/08-Giugno-2004/art100.html&word=exiles



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