Nick: Zanardi Oggetto: Ventisette anni fa Data: 23/11/2007 19.21.55 Visite: 348
Se si gira nei paesi della mia Alta Irpinia, così come ho fatto ieri, si nota un cambiamento radicale che ti piglia male. Quei paesi non esistono più rispetto a più di ventisette anni fa. Quei paesi non sono più i paesi che erano prima del terremoto del 1980. Ma io ci sono rimasto comunque. Anzi, siamo rimasti. E come potevamo andarcene, allora? E adesso? Come potevamo girare le spalle e abbandonare tutto? Siamo restati. E abbiamo ricostruito sulle macerie, con calma, che tanto la pazienza l’abbiamo sempre avuta. Che qua è una vita che si campa così, ad aspettare. E abbiamo aspettato che ci mostrassero i prefabbricati, e abbiamo aspettato che arrivasse Natale, che ti davano un panettone intero se in famiglia eravate in quattro, e mezzo se eravate in due, e il Natale dopo lo abbiamo aspettato nei prefabbricati, ma senza panettoni, e poi ne abbiamo aspettato un altro, e un altro, e un altro, per dieci, quindici, venti, ventisette anni. Che tanto ci si abitua a tutto, si sa. Pure a chiamare casa quattro pareti di cartone. Che i bambini dopo non sapevano manco come fosse fatta una casa vera. Che quando ci siamo tornati a vivere abbiamo dovuto imparare di nuovo ad abitarle, che i primi tempi mangiavamo in garage che le case ci parevano troppo belle per sporcarle. E abbiamo visto i nostri paesi gemellarsi con Roma, Milano, Parigi, New York, e riempirsi di campi Genova, campi Bergamo, villaggi La Stampa, aree 10, aree 15, aree 18, e abbiamo dimenticato i vecchi nomi delle strade. E abbiamo visto i nostri prefabbricati riempirsi di gente che il nostro terremoto non l’aveva visto manco in Tv, che ci si abitua a tutto, si sa, pure a credere che ci si può andare a vivere da sposati, che tanto non si paga nemmeno l’affitto. E abbiamo visto quelli che erano venuti giù ad aiutarci tornarsene a casa loro e chiamarci incapaci, imbroglioni, sfaticati, parassiti, che ci siamo mangiati 60.000 miliardi, ma l’unica cosa che ci siamo mangiati è l’amianto dei prefabbricati che vent’anni dopo c’hanno detto che era pure tossico. E abbiamo visto i bambini crescere insieme ai palazzi, ai negozi, alle superstrade, ai supermercati, ai ponti, alle industrie. Che poi le abbiamo viste chiudere prima di vederle aperte. E abbiamo riempito le nostre case di telefonini, computer, lavatrici, televisioni, lavastoviglie, carte di credito, automobili, e cibo, cibo, cibo, tantissimo cibo, che il ricordo della fame ce lo portiamo ancora dentro le ossa. E oggi, ventisette anni dopo, ci guardiamo intorno e non sappiamo più dove siamo, che tutti i paesi s’assomigliano. E i vecchi guardano i giovani e non possono più dirgli "..anche io ero così alla tua età", perché l’età che hanno i giovani adesso, loro non ce l’hanno mai avuta. E i giovani guardano i vecchi e gli fanno pena, poveracci, che il mondo è andato avanti senza aspettarli, ma loro no, non diventeranno come i loro nonni, e se ne andranno via di qua, appena possibile.. che noi abbiamo scelto di restare e di ricostruire, sì, ma loro non c’erano. E oggi, ventisette anni dopo, abbiamo smesso di guardarci indietro. Che prima del 23 novembre 1980 ci restano solo cartoline sbiadite che ogni tanto le guardiamo e diciamo "..Guarda dove sono stato, tanti anni fa, che era un posto proprio stano e fuori dal mondo, sai?". La nostra vita è nel futuro, adesso. Nei paesi che sono più giovani di te, nelle strade disegnate con la squadra ed il compasso, larghe che ci passa dentro un treno, dentro case bianche col giardino e la parabola sul tetto, e vuote come ville al mare. La nostra vita è nel futuro, adesso. In questo gioco del progresso che il terremoto ci ha regalato. Che in tutti i giochi si vince o si perde, si sa. Ma chi lo sa se abbiamo perso o vinto, noi. (Cit.) Tutti abbiamo una parte femminile, è vero. La mia è lesbica. |