Nick: Copia&Inc Oggetto: <<Era meglio un porno>> Data: 29/11/2007 16.49.20 Visite: 174
Giovedì l'ultima puntata in onda su canale 5
Il capo dei capi? «Era meglio un porno»
L'affondo del presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori sulla fiction che racconta la vita di Totò Riina
MILANO - Le polemiche non sono bastate a fermare la messa in onda della fiction «Il capo dei capi», la miniserie incentrata sulla vita del boss mafioso Totò Riina. L'ultima puntata andrà in onda stasera su Canale 5 in concorrenza con Benigni su Rai Uno. Ma intanto, all'appello lanciato qualche giorno fa da Clemente Mastella («Per me andrebbe bloccata» aveva detto il ministro della Giustizia), si sono aggiunte le critiche di Antonio Marziale. Secondo il sociologo presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori e componente della commissione ministeriale che ha redatto il Codice Tv e minori «il messaggio offerto agli adolescenti dalla fiction è pedagogicamente distruttivo e non può essere affatto definito d'impegno sociale. La messa in onda di un film porno in prima serata avrebbe prodotto sicuramente effetti meno nocivi».
«SINISTRA FASCINAZIONE» - Le critiche di Marziale arrivano all'indomani della ferma condanna della miniserie prodotto dalla TaoDue da parte del pm di Palermo Antonino Ingroia: «Sono contrario a ogni forma di censura. Ma ho la netta sensazione che con la fiction '"Il capo dei capi" c'è il rischio di fare un'iconografia alla rovescia su Totò Riina che emana un fascino un po' sinistro» ha detto Ingroia intervenendo a "Viva Voce" su Radio 24. E un attacco alla fiction arriva anche dall'autore dal papà del commissario Montalbano, Andrea Camilleri. In prima pagina su La Stampa lo scrittore interviene sulle polemiche. «Ritengo che l'unica letteratura che tratti di mafia debba essere quella dei verbali di polizia e carabinieri e dei dispositivi di sentenze della magistratura. A parte i saggi degli studiosi».
LA VEDOVA GIULIANO - Sulla fiction si abbattono anche le critiche della vedova del funzionario di Polizia, Giorgio Boris Giuliano. In una lettera pubblicata da due quotidiani la signora Ines Maria Leotta Giuliano scrive: «Mio marito non era così. Pur apprezzando il risalto dato alla sua figura deploro che gli autori o gli sceneggiatori non abbiano pensato di rivolgersi alla famiglia o alle persone più vicine per delinearne meglio la personalità». Emerge dalla fiction, sottolinea la signora Giuliano, un personaggio che segue lo stereotipo del siciliano: «scuro, con folti baffi neri, che parla in dialetto e che usa il turpiloquio un uomo dal temperamento passivo». Boris Giuliano, ricorda, «non era per nulla così. Non era un uomo di mezza età, non parlava in dialetto stretto (non ci sarebbe stato nulla di male, ma semplicemente non era così). Inoltre non usava abitualmente il turpiloquio e non fumava. Era un uomo giovane (nel 1969 aveva 38 anni) e non aveva bisogno di un inesistente 'Schirò » che lo spronasse a combattere la mafia».
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