Nick: Mach Oggetto: Un harakiri lusitano... Data: 19/6/2004 10.26.56 Visite: 67
...cui nessuno aveva ancora pensato di Beppe Severgnini C’è stata a lungo un’aria incredula, allo stadio Dragão: e infatti abbiamo fatto bene a non crederci. L’Italietta stizzosa vista contro la Danimarca è diventata un’Italia antica, morbida e veloce. Per un’ora la Svezia - un trattore triste, con un paio di buoni guidatori là davanti - non ha visto palla. Poi ne ha viste due, e ne ha cacciata dentro una. Alle sofferenze, guardando il calcio, si fa l’abitudine, ma questa sembra nuova. Un harakiri lusitano, cui nessuno aveva ancora pensato. Che peccato. E che bella Italia, finché è durata: prima che il Trap - chissà perché - decidesse di demolire quello che aveva costruito. Totti e il «caso Spoulsen» sembravano dimenticati. Veniva da pensare (vergognandosi un po’ se i tuoi compagni reagiscono sempre così, caro Francesco, combinaci un casino a settimana. Zambrotta e Cassano si passavano palla come se giocassero ai giardini pubblici: agli svedesi toccava il ruolo dei lampioni. Pirlo era tranquillo e noi con lui: quando gli passavano il pallone, non aveva l’aria che gli facessero un dispetto. Del Piero - perfino lui - sembrava tonico e preciso. Non fino al punto di far gol e l’abbiamo pagata. Sono i sosia di quelli visti lunedì a Guimarães?, ci chiedevamo nella piccionaia per la stampa: e nessuno, per una volta, rischiava di distrarsi sbirciando la città che s’illuminava verso il fiume. Ogni tanto un collega scandinavo si voltava e ci guardava con ammirazione: come se fosse merito nostro, quello che vedevamo in campo. Credo d’aver contato cinque occasioni di Vieri e quattro di Del Piero: alcune crudelmente vicine, e apparentemente semplici. Ma noi siamo qui in alto, e voi lì a casa. Non abbiamo un torello biondo che ci ansima sul collo. A un quarto d’ora dalla fine i pochi, entusiasti tifosi azzurri dell’Estadio do Dragão hanno intonato «Dov’è la vittoria...». Domanda legittima, fratelli d’Italia. Ma avrei aspettato ancora un po’ a farla risuonare nell’aria atlantica. Quel salto di Ibrahimovic - eletto «uomo della partita»: ma quando mai - ha rovinato tutto. I gioiellini di Cassano - lui sì da premiare, non da sostituire - ci hanno illusi e confusi. Perché è dura darsi un contegno in tribuna stampa quando vorresti gridare complimenti in barese. Scrivo in fretta, mentre il muro giallo dei tifosi avversari intona lugubri canti di gioia. Un pareggio immeritato - lo capisco - rende euforici, anche perché gli svedesi ora devono incontrare i cuginetti rossi della Danimarca: e non c’è da essere allegri, per gli azzurri. Povera Italia: questa non se la meritava. La Svezia non ha mai concesso più di un gol nelle qualificazioni europee e cinque volte non ne ha presi per niente. Oggi è stata travolta e se ne avesse beccati cinque - quanti ne ha rifilati ai bulgari - non ci sarebbe stato niente da dire. Lagerbäck e Söderberg - gli allenatori in coppia, coetanei per giunta - vedranno sbucare Panucci e Zambrotta nei loro sogni, angeli bruni veloci e laterali. E diranno: a Stoccolma, un Cassano non ce l’abbiamo. Che gioia vedere la fantasia dell’incoscienza. Baby Face Cassano, di tutta la rosa azzurra, è l’unico nato negli anni Ottanta: avremmo dovuto portarne di più, di quei giovanotti, se il risultato è questo. Ognuno di noi vede la sua partita personale e ricorda dettagli forse irrilevanti. A me ha colpito uno stop al 38’ del primo tempo. Arriva una palla alta lunga da destra: lui la mette giù e parte con un’indolenza veloce e bellissima. Voi direte: l’indolenza non può essere veloce! Be’, quella di Cassano sì. C’era un’aria incredula, uscendo dallo stadio per quella che potrebbe essere la penultima partita del nostro Europeo. Pareggiamo giocando da schifo. Pareggiamo giocando deliziosamente. Buttiamo e sprechiamo, talento e occasioni. I conti non tornano, ma forse c’è qualcosa da raccontare: una malinconia speciale, un misto di destino e di confini. Ivano Fossati ha scritto una canzone, «Lusitania», per raccontare questi posti. Se ha visto la partita, potrebbe aggiungere una strofa.
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