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Oggetto: Chiude "La Squadra"
Data: 7/12/2007 14.45.37
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Temi troppo scottanti
Cacciati gli autori della “Squadra”


di Andrea Lanini

Con la morte del commissario Pietro Guerra, finisce anche la serie della Squadra, la fortunata fiction di Rai Tre. Muore per aver toccato temi troppo scottanti: dalle Brigate rosse all'eutanasia e soprattutto ai morti per uranio impoverito. E' questa la denuncia degli sceneggiatori toscani: "Abbiamo avuto molte grane per questa scelta di temi e ora paghiamo tutto insieme"


 


PISA. Si sa, a lasciarci sono sempre i migliori. Anche in tv. Anche nel mondo delle fiction. Prendete ad esempio La squadra di Rai Tre: grandi testi, bravissimi attori, intriganti plot che oltre a intrattenere ti aprono gli occhi su tematiche scomode e ti fanno conoscere meglio il paese in cui vivi; otto anni di successo ininterrotto, un pubblico di affezionatissimi che non si è perso una puntata e che ora non si capacita (per capire quanto non si capaciti basta dare un’occhiata ai forum online e agli accorati commenti dei fan). Proprio non se la spiega questa fine improvvisa, col sipario che viene giù come una ghigliottina. Mercoledì sera, il commissario capo Pietro Guerra (Massimo Bonetti) si è beccato un colpo di pistola e ci è rimasto secco. L’ultima serie della Squadra si è chiusa così, come una tragedia shakespeariana, con la morte in scena del protagonista.

Tutto finito. Niente più indagini, per il drappello di valorosi del commissariato Sant’Andrea. O meglio, ci saranno altri episodi, altri drappelli, altre indagini. Ma con un titolo diverso (pare “Spaccanapoli”, o “Commissariato Spaccanapoli”: sui forum si silura l’uno e l’altro), altri interpreti e sceneggiatori. Ecco, conviene soffermarsi su questi ultimi, per capire cosa è successo. Che poi mica è difficile capirlo, anzi. Qualcuno non ha digerito alcune puntate “scomode”, tutto qui. Una fiction è una fiction, si sarà detto, mica deve far aprire gli occhi, far pensare, fare informazione. O andare a parlare delle Brigate rosse o dell’eutanasia. Figuriamoci poi dell’uranio impoverito, roba antipatica che fa venire in mente antipatiche nostre missioni.

Mario Cristiani, che a La Squadra ha lavorato dal 2002 al 2007 come “head writer” (supervisore alle storie e alle sceneggiature), cita in particolare questi tre temi («non le dico i richiami e le proteste, ci attaccavano da tutte le parti»), per spiegare il tramonto forzato di Pietro Guerra e soci. E anche della squadra di sceneggiatori che aveva in Toscana i suoi principali punti d’appoggio: Cristiani è pisano, Donatella Diamanti, altro storico “head writer” della serie, è nata a Carrara. «La cifra della “nostra” Squadra - dice Cristiani - era dare spaccati di realtà nazionale. Era un progetto che si basava sull’idea, forse un po’ folle, di raccontare l’Italia in un momento in cui l’informazione non lo faceva più, usando la “detection” come scusa per mettere in scena argomenti delicati. O scottanti. E per questo, già tempo fa, avemmo le nostre belle grane.

Che ora paghiamo tutte insieme». Infatti, con la morte di Pietro Guerra, «muore simbolicamente anche il gruppo di sceneggiatori che quest’anno io e Donatella abbiamo coordinato assieme all’autrice romana Francesca Serafini. “Spaccanapoli” sarà tutta un’altra cosa, molta azione, poca attenzione al reale. Invece noi - dice Cristiani - volevamo far sentire voci diverse, approfondire, dare altri punti di vista». Ad esempio sull’eutanasia («Ce ne occupammo prima del caso Welby. Un sacco di polemiche»). O sulla rinascita delle Br («La puntata andò in onda prima degli arresti di Padova. Ci dissero che non aveva senso parlarne, che eravamo anacronistici.

E che poi facevamo pure un falso storico, perché a Napoli le Br non si erano mai viste. Falso: e la Colonna napoletana, allora?»). Per farli fuori hanno usato un vecchio trucco che funziona sempre: ricollocamento all’interno del palinsesto, da posizione favorevole a sfavorevole. «Quando a La squadra hanno assegnato la serata del mercoledì - dice Cristiani - ho capito che gli ascolti sarebbero precipitati per via del calcio, e che il nostro destino era segnato».



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