Nick: mir Oggetto: un viaggio (2) Data: 27/6/2004 21.41.50 Visite: 130
... mi svegliò un ghisa. Aveva l'espressione più preoccupata che infastidita dall'irregolarità di aver trovato un tizio a dormire nei pressi di una grande strada del centro. Biascicai qualcosa a giustificazione della mia posizione ma nè io nè lui fummo convinti da quelle poche parole impastate e sconnesse. Avevo dolore alle spalle. Chiodi nelle scapole. Troppo tempo costrette in una posizione di resistenza al vento e al sonno e ad una serie di dubbi che avrebbero potuto smontare il mio entusiasmo in qualsiasi momento. Alzai lo sguardo sul suo palazzo tutto grigino e verdino come mille altri intorno. Solo il rosso della mia moto spiccava in quella mattina. Andai verso il portone con la bocca impastata a pensieri di varia derivazione e bussai. La voce squillante che rispose non era lei ed era fredda come quella di qualcuno che sta compiendo un suo dovere. Domandai di lei ma la voce disse che non c'era e che, probabilmente, era a lavoro. Era tarda mattinata. La città era piena di traiettorie di persone che da un posto si recavano, determinate, verso un altro posto. Era come un grande rumore di fondo di vite lontane da me, ma reali qui. Non sapevo dove lei lavorava nè mi andava di domandarlo alla voce fredda. Così non risposi alla domanda su chi fossi e cosa volessi da lei. Proseguiii un poco sulla lunga strada ed entrai in un bar tutto alluminio e vetro e chiesi un cappuccino con cornetto ("cappuccio" per carità). C'erano dei tavolini vicino alla vetrina, mi sedetti per riordinare le idee e le intenzioni. Ci sono questi momenti in cui la decisione che ti ha mosso a far qualcosa ti abbandona e le luci intorno virano al grigio e bianco mettendo a nudo le linee e i contorni di una realtà faticosa e inutile. Poi, forse, basta un tizio che fa jogging col barboncino e con una maglietta "i want to believe" per ricaricare la dose dì incoscienza o follia o come cavolo la vogliamo chiamare. Perchè la vita è fatta di una follia lucida, quella accettata da tutti come normalità e quella che esce dagli schemi che è un po' più faticosa ma che ti apre gli occhi e ti passa il ghiaccio sulla schiena. La seconda era proprio quella che riacciuffavo in quell'istante. Stare a un migliaio di chilometri da casa, con pochi soldi e poca benzina e non sapere assolutamente cosa fare. Decisi di aspettare il suo rientro e di farle una sorpresa. Assicurai casco e moto contro le insidie di una qualunque grande città e mi incamminai verso il centro centro in attesa della sera. La gente per strada sembrava assai determinata anche nello shopping. Facce sicure e valutatrici di vetrine e prezzi mi scorrevano ai lati. Qualcuno addirittura mi spintonava per conquistare una buona posizione davanti a un negozio se mi frapponevo. Un parco. Si era meglio parco per far passare la giornata. Il parco era ordinato e pulito, la gente più rilassata. Dal centro del parco si ergeva una grande antenna, piccole cascate artificiali donavano movimento all'atmosfera. Papere nello stagno e pesci a rosseggiare sullo sfondo. Mi stesi su una panchina anche se ero malvisto dalle persone che erano lì e pensai che un cielo terso è proprio terso ovunque. Mi riaddormentai pensando ai limoni, al mare e agli scogli di capo di Sorrento dove una sera lessi Majakovskj senza essere apprezzato. |