Nick: Bardamu Oggetto: Peppe Misso pentito: politici. Data: 29/1/2008 10.4.18 Visite: 2862
...Tremate!!
Speriamo che Jolanda Palladino, uccisa da una bottiglia incendiaria lanciata dai fascisti a Via Foria, Napoli, mentre erano in corso i fsteggiamenti per la vittoria elettorale del Pci alle amministrative del '75, possa avere finalmente giustizia.
Misso: «Ho ucciso per l'Msi, poi ho fatto votare Verdi» | |
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Scritto da Gianluca Abate da il Corriere del Mezzogiorno, 29-01-2008 |
«Io per sostenere il Movimento sociale italiano ho ammazzato e rischiato la vita, ma il partito mi ha scaricato: così, alle elezioni regionali del 2000, non ho incontrato i candidati di An che volevano vedermi. No, ho scelto di sostenere un partito della coalizione di centrosinistra. E ho fatto la campagna elettorale per l'esponente dei Verdi Roberto Conte». Roma, carcere di Rebibbia, 20 dicembre 2007, cinque giorni a Natale. Giuseppe Misso, boss della Sanità passato attraverso le più buie storie d'Italia tra attentati e servizi deviati, siede davanti ai pm antimafia della Procura di Napoli. Formalmente è un «dichiarante sotto osservazione», nel frattempo però mette a verbale le dichiarazioni sui rapporti con la politica. Ed è quanto basta far far scattare un decreto di perquisizione e sequestro notificato ieri a Roberto Conte, eletto nei Verdi, passato poi alla Margherita ed oggi consigliere regionale del Pd. Il blitz, scattato ieri mattina, ha portato anche all'arresto dei due reggenti del clan della Sanità (Nicola e Salvatore Sequino), dei «cassieri» (Vincenzo Candurro e Gennaro Palmieri), di uno dei presunti killer del pentito che accusò il padrino nel processo per la strage del Rapido 904 (Carmine Grosso) e di Giovanni Penniello. Duecento gli uomini di carabinieri e guardia di finanza impiegati nell'operazione, sequestrati beni per oltre dieci milioni di euro, tra cui quote del ristorante napoletano «Dal Delicato» e di quello romano «Il Definitivo », appartamenti, auto, moto e la cappella di famiglia dei Misso. Ventuno in tutto gli indagati, altri 14 hanno ricevuto un avviso di garanzia. L'inchiesta (coordinata dal capo del pool antimafia Franco Roberti, delegata ai pm Giuseppe Narducci, Sergio Amato, Barbara Sargenti e Paolo Itri), è stata divisa in due tronconi. Uno, affidato al comandante del reparto operativo Gerardo Iorio, per smantellare «l'organizzazione militare» del clan. L'altro, delegato al comandante del Gico della Finanza Antonio Quintavalle, per l'«aggressione al patrimonio mafioso». Patrimonio la cui individuazione, scrive la Procura nel decreto di fermo, è «per molti aspetti» collegata «ad alcune vicende che afferiscono al tema del rapporto collusivo con la politica». Ed è di questo rapporto che Giuseppe Misso, cui è stato abolito il regime di carcere duro dopo l'inizio della sua (ancora stentata) collaborazione, parla in una saletta del carcere. Lo fa due volte. Il 20 dicembre 2007, quando racconta del perché abbia fatto la campagna elettorale per un partito lontano anni luce dal «suo» Msi. E il 3 gennaio 2008, quando ai magistrati spiega i «favori» che avrebbe ricevuto in cambio dal politico. Il suo ruolo «attivo», dice la Procura, è facilmente inquadrabile nel periodo che va dal 16 aprile 1999 (data in cui fu scarcerato dopo una detenzione iniziata il 10 aprile 1985) al 26 maggio 2003, data del suo rientro in carcere. E, a fare da «intermediario» con il politico Roberto Conte (sempre stando all'ipotesi d'accusa, ché l'indagato smentisce recisamente qualsiasi coinvolgimento), è un altro personaggio noto, Gennaro Palmieri, una gioielleria a piazzetta Orefici e un'amicizia di vecchia data con il padrino. Ecco cosa scrive la Procura: «Fu indagato nel 1985 perché si riteneva facesse parte di un'associazione che si proponeva il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico inquadrati nell'ideologia sovversiva di estrema destra, avvalendosi di esplosivi unitamente ad altre persone tra cui Giuseppe Misso». Quattordici anni dopo, il boss e il gioielliere si incontrano di nuovo. Questa volta, accusa però il capo del pool antimafia Franco Roberti, Giuseppe Misso «ha messo da parte la fede ideologica per interessi privati». È il capitolo dei rapporti tra il padrino e la nuova politica. La «prima puntata», dice il procuratore Giovandomenico Lepore. Che avverte: «Presto ce ne saranno altre».
I verbali «Mi diedero il carcere duro con An al governo: così mi ripagano?» | |
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Scritto da Gianluca Abate da il Corriere del Mezzogiorno, 29-01-2008 |
Domanda: com'è possibile che Giuseppe Misso, uno sempre indicato «vicino all'eversione nera» degli anni Ottanta, tiri la volata elettorale a un politico di sinistra, l'indagato Roberto Conte? Risposta: «Semplice. Il Movimento sociale italiano mi ha scaricato». Sotto, in calce, la firma del padrino della Sanità, «dichiarante» in attesa di capire se abbia voglia di raccontare tutto e diventare un superpentito o di nascondere informazioni (peggio, di pilotarle) e tornare dunque al carcere duro con la prospettiva di condanne pesanti. Lui, il boss, della politica inizia a parlare il 20 dicembre 2007.
E al pool antimafia racconta: «È più facile fare riferimento alle elezioni regionali del 2000, quelle in cui lo scontro fu tra Bassolino e Rastrelli. Io non avevo alcuna ragione per sostenere il partito e i candidati di Alleanza Nazionale, che inutilmente cercarono di avere un incontro con me. Quell'incontro io lo rifiutai, lasciando dette persone presso il bar Souvenir di via Duomo». Il perché Giuseppe Misso lo spiega subito: «Nutrivo ragioni di avversione nei confronti degli esponenti di questo partito, ragioni che scaturivano essenzialmente dal fatto che, quando ci fu la vicenda giudiziaria della strage del Rapido 904, io venni scaricato. Nessuno volle occuparsi della posizione mia e dei miei compagni, ma vi fu solo una mobilitazione politica in favore di Abbatangelo». E ancora: «Dopo le stragi di mafia del 1992, mi hanno applicato il carcere duro in una stagione politica nella quale, al governo, c'era anche An. Io negli anni '80 avevo rischiato la vita e ammazzato per sostenere l'Msi, e venivo ripagato in questo modo». A quell'epoca, rivela il dichiarante, «abbiamo sollecitato un intervento politico in nostro favore perché esistevano dei rapporti tra i familiari di Nino Galeota, detenuto con me, ed esponenti politici dell'Msi, come Maceratini, Florino e tanti altri ancora. Loro però continuavano a ripetere che non potevano esporsi direttamente per noi perché eravamo etichettati come camorristi, e che il loro aiuto veniva indirettamente dalla mobilitazione che facevano per Abbatangelo. Il discorso riguarda direttamente anche lo stesso Giorgio Almirante ». Ciò che lo manda su tutte le furie, è quello che chiama il «paradosso Fini». Eccolo spiegato: «Diversi annidopo, la nostra situazione processuale venne ricordata quando Fini, all'attacco di Rutelli che gli ricordava che un esponente del suo partito era stato condannato per strage, rispose che era altrettanto vero che i complici, cioè io e i miei amici, erano stati assolti con sentenza definitiva». Quanto basta per decidere «provocatoriamente» di sostenere «un partito di centrosinistra nella campagna elettorale per le regionali del 2000, con lo scopo di far perdere Rastrelli e il centrodestra». Il primo tentativo, però, va a vuoto: «Dissi al mio amico Gianni Allinori, esponente dell'Ascom e dei Ds, che offrivo il mio sostegno elettorale al suo partito, ma lui rispose negativamente declinando l'invito. Fu dunque Gennaro Palmieri che si adoperò individuando e portando da me l'esponente dei Verdi Roberto Conte (...). Feci aprire anche una sede del partito dei Verdi alla Sanità». Il 3 gennaio 2008, stessa saletta del carcere, il «dichiarante » aggiunge: «La circostanza storicamente vera è che sono stato io a prendere i soldi da Conte. Avevo affrontato già un bel po' di spese, perché la campagna elettorale per lui non era limitata al quartiere ma si estendeva a tutta la città, così (...) ricevettero direttamente dalle mani di Conte 100 o 120 milioni di lire, somma in contante poi portata a casa mia. La diedi ai miei galoppini: dovevano fare propaganda e offrire soldi per indurre gli elettori a esprimere la propria preferenza per Conte». E il vantaggio per la camorra? «L'elezione di Roberto Conte avrebbe permesso al gruppo, come sosteneva Gennaro Palmieri, di aprire un ciclo delle vacche grasse, perché avremmo potuto controllare molta parte delle gare in relazione a lavori pubblici o per le forniture di servizi». Insomma, «guadagnare grosse somme di denaro». Gli affari del clan, però, non puntano solo alla Regione (per inciso, il boss della Sanità risponde così a una domanda: «Mi viene chiesto se l'accordo con Conte investisse anche il candidato governatore, rispondo che di ciò non si parlò proprio»). No, guardano anche con occhio attento al Comune. Tanto che, il 19 aprile 2007, il nipote omonimo del padrino (pentito per davvero) dichiara ai pm: «Un cugino di Giulio Pirozzi aveva dei rapporti di collusione con persone interne al Comune, e faceva in modo di stravolgere le graduatorie al fine di favorire persone legate al clan che quindi avrebbero dovuto versare una cospicua somma di denaro (4 o 5 milioni di lire) al momento dell'assunzione (...). L'assunzione serve a fare in modo che determinate persone legate ai clan percepiscano uno stipendio ufficiale: ciò consente loro di contrarre un mutuo per l'acquisto di una casa, che di fatto è poi in realtà di proprietà di appartenenti al clan (...). So, ad esempio, che la moglie di Mario Savarese è stata assunta così, ma non so presso quale ente». Non parlano solo di politica, le 271 pagine di accuse. No, ci sono gli affari milionari, la bella vita (Michelangelo Mazza, pentito, dice che Vincenzo Candurro «è diventato una delle persone più ricche della città pur continuando a svolgere formalmente l'attività di parrucchiere, e ha un appartamento sfarzoso in via Foria, simile a quello che si può vedere nel film Scarface con Al Pacino ») e gli uomini di chiesa. Sì, la Chiesa. Ecco cosa dice il pentito Maurizio Frenna il 7 dicembre 2007: «Giuseppe Misso invitò più di cento persone al battesimo della figlia. La cerimonia si svolse in alcuni locali della Curia, che per la verità abbiamo utilizzato in svariate altre occasioni anche facendo le feste di Capodanno». Come sia stato possibile, è affare su cui indaga la Procura: «La persona che metteva a disposizione di Giuseppe Misso i locali della Curia era un prete. Aveva gli occhiali e cinquant'anni... ». |