Nick: siddharta Oggetto: La ruota dell'infanzia Data: 1/7/2004 17.6.56 Visite: 117
Era un palazzo, ampio, con un cortile la cui metà era piena di carrette, calessi, ruote, cerchi e pezzi smontati da carrette… In questo palazzo io ho passato la maggior parte dei pomeriggi d’estate della mia infanzia. Non potrò mai dimenticare quel colore delle controre, l’incudine e quei martelli con le maniche lunghe. Forse non tutti sanno come era fatta una ruota di carretta. Al centro c’era " ‘a semmoja " (il mozzo) era di ottone poiché girando sull’asse che era di ferro il mozzo resisteva di più a consumarsi. Poi c’era " ‘o miulo " , la prima parte in legno in cui venivano raccolti " e raje " (i raggi) che terminavano a due a due in altre forme di legno a semicerchio che unite insieme formavano tutto il cerchio. All’estremità, come l’attuale gomma di un ‘auto, il cerchione che veniva ricavato da una barra di ferro dritta piegata a cerchio e le due estremità venivano chiuse mettendo la parte da legare nella forgia; martellando il ferro velocemente a caldo con tre martelli contemporaneamente sincronizzati che battevano la parte da unire sull’incudine, il cerchio veniva chiuso. Voi non immaginate la musica che emettevano quei tre martelli che si alternavano. Ognuno dei loro " musici " ne tirava fuori un suono. Mio nonno anticipava il colpo con un lamento e tirava quella lunga manica del martello quasi dietro le spalle. Zio Ciccio ci metteva la voce, lui che a volte non lo si capiva quando parlava, in quel gesto tirava la voce fuori come un capo indiano. Francuccio, il più giovane, tirava fuori un suono come lo tirerebbe fuori un chitarrista in erba ma con talento. Una volta chiuso il cerchio bisognava infilarlo sulla ruota di legno in modo che non scappasse. E qui diventava tutto un rito. Il cerchio era volutamente fatto di poco più piccolo della ruota di legno, così veniva posto per terra e cotto incendiandoci sopra legno di scartoi in modo da farlo ardere e dilatare. Nel momento in cui il cerchio era rosso veniva preso con delle grosse pinze di ferro e velocemente posto sulla ruota, aiutato ad entrare e poi raffreddato con secchi d’acqua. Certe cose hanno una poesia innata. Peccato che la vita ci riserva, ormai una versione distrorta della civiltà. Le carrette non inquinavano, i calessi non inquinavano e quei ricordi mi fanno stare bene; potrò dire la stessa cosa domani di oggi?
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