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Nick: pride70
Oggetto: Cose da new politic
Data: 17/4/2008 17.12.54
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"Il mafioso Vittorio Mangano era «un eroe». L'antimafia invece «è diventa­ta una sorta di brand» usato da certi partiti «in modo strumentale per col­pire qualcuno o per coprire la mancanza di contenuti». I pentiti di ma­fia «li conosco quasi tutti, ma fatico a trovarne uno sano». Pessimo an­che l'altro strumento per scoprire i mafiosi: «Sulle intercettazioni sare­mo durissimi, perché c'è in ballo la li­bertà», soprattutto la sua. Quanto al­la Resistenza, è come l'antimafia: un'altra favola raccontata dai «libri di storia ancora oggi condizionati dalla retorica della Resistenza». Ma anche questi prontamente «saranno revisionati, se dovessimo vincere le elezioni: questo è in tema del quale ci occuperemo con particolare attenzione». Purtroppo non sarà facile, perché «la sinistra ha ancora in mano le università e le case editrici», a parte la Mondadori, rubata a un concorrente grazie alla sentenza di un giudice com­prato da Previti con soldi del­la Fininvest, ma ora, se tutto va bene, si metteranno a po­sto anche le altre. E Luciano Moggi? «È una persona sim­paticissima.... Le accuse sono nate dal suo grande successo. Moggi aveva organizzato bene le cose e così sarebbe stato ancora per molti altri anni»: organizzava le cose talmente bene da scegliersi gli arbitri a la carte, mentre il Milan si sce­glieva i guardalinee: dov'è il problema? Infine, una buona parola anche su Michela Vit­toria Brambilla: «l'hanno da­ta in pasto all'opinione pub­blica, ma non le attribuisco al­cuna importanza», mentre «siamo tutti spiritualmente innamorati di Berlusconi». Chi parla non è un magistra­to, altrimenti il Cavaliere l'avrebbe già sottoposto a pe­rizia psichiatrica. È un con­dannato: Marcello Dell'Utri che, in un'intervista su YouTube a Klaus Davi, ammicca esplicitamente alla mafia bea­tificando Vittorio Mangano, l'ex boss del mandamento di Palermo-Porta Nuova, già fat­tore nella villa di Arcore, suo intimo amico dal '73, con­dannato per associazione per delinquere con la mafia al processo Spatola, per traffico di droga al maxiprocesso di Falcone e Borsellino, morto in carcere nel 2000 subito do­po una condanna in Assise per tre omicidi. Santo subito. Qual è la prova dell'eroismo di Mangano? Semplice: più volte sollecitato dai magistrati a parlare dei suoi rapporti con Berlusconi e Dell'Utri, non ha mai aperto bocca. «Mangano - spiega Dell'Utri - è morto per causa mia. Era malato di cancro quando è entrato in carcere ed è stato ripetutamente invitato a fare dichiarazioni contro di me e il presidente Berlusconi. Se lo avesse fatto, lo avrebbero scarcerato con lauti premi e si sarebbe salvato. È un eroe, a modo suo». Parole duramente criticate da Antonio Di Pie­tro, Cesare Salvi e Anna Finocchiaro.
Facendo il pubblico elogio dell'omertà, il senatore Dell'Utri non specifica che cosa avrebbe potuto raccontare di lui Mangano, se avesse parla­to: lo lascia all'immaginazio­ne degli elettori. Perché natu­ralmente Dell'Utri, condannato in via definitiva a 2 anni per evasione fiscale, in appel­lo a 2 anni per tentata estor­sione mafiosa insieme al boss di Trapani Vincenzo Virga e in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associa­zione mafiosa, è stato ricandi­dato dal Partito della Libertà Provvisoria a Palazzo Mada­ma in un posto sicuro (nume­ro 7) in Lombardia. Ma non dimentica le origini: quelle sue personali e quelle di For­za Italia, nata nel 1993 fra Pa­lermo e Milano, con Manga­no che faceva la spola tra le due città per conto di Provenzano, mentre nel Paese esplo­devano le bombe. Non poten­do astenersi dai rapporti con la mafia, Dell'Utri elogia pe­rò l'astinenza sessuale, che lui dice di aver appreso diret­tamente dal fondatore del­l'Opus Dei, Josemarìa Escrivà de Balaguer, ma di praticare solo ultimamente «per moti­vi di età». Insieme all'annun­cio dei test psichiatrici ai pm, peraltro copiato di sana pian­ta dal Piano di rinascita demo­cratica della P2 di Licio Gelli, la piattaforma programmati­ca di Dell'Utri dà un quadro preciso del governo Pdl che verrà. I pentiti non vanno usati nei tribunali per far con­dannare i mafiosi e i loro ami­ci, ma «usati come testimo­nial di una campagna pubbli­citaria antimafia rivolta ai giovani siciliani»: per convin­cerli - par di capire - che un vero mafioso non deve mai dire la verità, mai abbandona­re Cosa Nostra, mai schierar­si con lo Stato. Insomma, se­guire l'esempio dell'eroico Mangano. Lui del resto dice di «conoscerli quasi tutti»: un paio li aveva addirittura contattati, Pino Chiofalo e Cosimo Cirfeta, purtroppo erano due falsi pentiti che lui tentava di convincere a calun­niare i veri pentiti che accusa­no lui."



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Cose da new politic   17/4/2008 17.12.54 (181 visite)   pride70

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