Nick: Buendia Oggetto: sul mare luccica Data: 27/7/2008 18.11.5 Visite: 169
volevo solo stare un po' sul mare, sentirmi galleggiare, farmi portare. ma era un tempo in cui avrei fatto meglio a non fidarmi troppo di me. per fortuna lo capii da solo e lo capirono anche un apio di persone che mi stavano sempre accanto, mentre avrei desiderato la solitudine. solo che per la solutidine franca è richiesto almeno un grado di beatitudine mentre la mia testa era invasa dalle fiamme infernali. oggi se sono vivo, se ho tutte le ossa al giusto posto, so che lo devo in parte a loro. mentre allora litigavamo ogni giorno e ogni ora del giorno. fu un'idea sua quella di andare al porto. venne a prenderci di buon mattino con il side car del nonno. un pezzo che gli avevo sempre invidiato per possesso più che per reale pregio. ma in fondo si vedeva che ne aveva la leggittima padronanza da come lo reggeva tra le gambe. mi rifiutai di salire nel carrozzino e montai dietro. arrivammo al porticciolo che il sole si era appena spinto a illuminare la banchina e l'odore salmastro del mare non era ancora salito. l'aria era come infusa di dolcezza e mi sarebbe piaciuto restare dov'ero, in quella luce orizzontale, con il profumo della giornata appena agli inizi. era da tempo che non mi alzavo così presto e mi fu chiaro che mi stavo perdendo cose che avrei rimpianto. ci venne incontro un uomo sui sessanta, faccia disegnata da una ragnatela di rughe sottili e mani forti, ruvide al contatto del palmo contro il mio. gli mancavano due denti davanti, camminava con il piglio di chi sia a casa sua e ti fa strada verso il salotto. non ci chiese molto, né chi fossimo né chi ci avesse mandati lì. eravamo d'accordo per raccontare una bugia ma non ce ne fu bisogno. attraversammo tutta la prima banchina, la seconda, e infine la terza. ci erano sfilate sotto gli occhi creature di una bellezza imbarazzante, alternate ogni tanto a qualche cosa di modesto a cui mi ero subito affezionato per simpatia. anche quella poppa sfatta e spaccata dal tempo era capitate tra due barche con la prua sfilante per caso, anche se il caso sembrava essersi diverito con più di una punta di crudeltà. così mi sentivo io, senza scelta, obbligato e pieno di cattiva sorte. l'acqua generava un rumore piacevole sotto lo scafo, salendo a bordo aveva iniziato un rumore di schiaffi, noi ci muovevamo rollando. eravamo in quattro compresi in uno strano spazio trapezoidale e sfilate le cime mi sentivo già più libero. il vecchio insieme a loro manovravano intorno alla randa e al fiocco, io stavo in un punto della prua, spalle al mare, come se anche fuori nello spazio più aperto che si conosca, fosse possibile una qualche forma di convalescenza. il bianco della randa mi attirava come fosse stato quello di un lenzuolo, e l'albero emetteva dei bagliori intermittenti. non sentivo i rumori che facevano armeggiando con le scotte, il respiro un po' affannato del vecchio non mi arrivava, anche il suono delle piccole onde che sciacquavano lo scafo mi giungeva smorzato. mentre avevo amplificato al massimo gli altri sensi come infatti mi assalì d'un tratto il caldo del sole già più alto, mi sbottonai la camicia che restò aperta sul petto, e sulle labbra e intorno agli angoli della bocca se non era un'allucinazione un principio di sale. mi salì un'eccitazione violenta, fu per scrollarmela di dosso credo che cominciai a piangere, singhiozzando senza lacrime, da principio vergognandomene, continuai consapevole solo di me stesso, di quello che volevo finalmente. mi parve di sentire il vecchio chiedere sottovoce a loro se fossi pazzo, mi voltai, gli risposi che lo ero stato per troppo tempo. e infine mi tornò l'udito delle loro voci fraterne, e della mia, come vele spiegate in un riso ritrovato. |