Nick: Bardamu Oggetto: Via da Napoli... Data: 2/9/2008 20.13.25 Visite: 331
credo che questo piccolo articolo con qualche forzatura possa incastrarsi con il post di psike cmq io non tengo i soldi e l'intelligenza per andarmene a vivere a firenze quindi mi attacco al tram e resto a tavernanova «Via da Napoli. Ci ha resi intolleranti» http://www.napolionline.org/index.php?option=com_content&task=view&id=13437 Scritto da Mirella Armiero da il Corriere del Mezzogiorno, 02-09-2008 08:45 Napoli non è stata una città matrigna con loro, eppure hanno deciso di andare via. Di costruirsi una nuova vita dove le auto non passano col semaforo rosso e chi va in moto indossa il casco. Dove, insomma, la normalità vince sul caos. Una scelta lucida, ragionata, con «la mente divisa dal cuore», spiegano Roberto Cinque e Flora Anastasio, coppia quarantenne che si è lasciata il Vesuvio alle spalle. Obiettivo Firenze e una più alta qualità della vita. Dopo le vacanze, la svolta: da settembre si ricomincia daccapo. La storia della famiglia Cinque è esemplare. Rende conto di come si sente oggi chi a Napoli ci è nato, ama la sua bellezza e non sopporta più di vederla oltraggiata. Roberto, classe '62, lavora in banca, alla Credem, e ha un frenetico passato da deejay e pierre: un tipo vulcanico, dai mille interessi, inseritissimo nella sua città. Sua moglie Flora è una ragazza del '69, minuta, sorriso dolce, la sua famiglia viene da Santa Lucia («il mare è la mia passione, ho il sangue salato»), di mestiere fa la fisioterapista. Strano a dirsi, a Napoli ottiene subito un lavoro a tempo indeterminato. Forse è solo fortuna, ma più probabilmente Flora è brava al punto che la struttura dove si è inserita non vuole rischiare di perderla. I due trovano casa a Chiaia, nel cuore nobile di Napoli, prima a via Cappella Vecchia, poi si spostano al corso Vittorio Emanuele, con i loro bellissimi bambini, Tommaso e Romano, di otto e dieci anni, capelli neri e ricci e occhi vispi da scugnizzi. Sono proprio loro, i figli, la molla che fa scattare il meccanismo: «Sì», ricorda Flora, «è per offrire ai bambini un futuro migliore che abbiamo fatto questa scelta così dolorosa. Di andare via da Napoli tutti ne parlano, ma poi è difficile che qualcuno lo faccia davvero. Specie se, come noi, ha tutto: genitori, parenti, tanti amici, lavoro, una casetta con vista sul Golfo». Anche i bambini non hanno problemi: iscritti alla De Amicis, ottima scuola, uno dei due canta nel coro delle voci bianche del San Carlo. «Se sei in questa condizione il trasferimento è una scelta esclusivamente razionale, dettata da una lucida analisi della realtà, mentre i sentimenti ti imporrebbero di restare dove sei». Non è stato lo scandalo della spazzatura a far fuggire i Cinque: «No, quello ci ha solo confermato la validità della nostra scelta». Allora è accaduto qualcosa prima? Qualche episodio di violenza subita? «Nemmeno. Pur vivendo a ridosso dei Quartieri spagnoli fortunatamente non siamo stati vittime di scippi o furti. Ma ormai a Napoli l'atmosfera è pesante. È quello che ascolti, che ti raccontano tutti i giorni, o che magari vedi sotto i tuoi occhi a crearti un'ansia continua e inestinguibile. Io non sono stata scippata ma ho assistito a scippi e rapine, ho sentito i miei amici lamentarsi e mi sono stancata di leggere ogni giorno sui quotidiani notizie sconfortanti. In questo contesto cosa avrei potuto offrire ai miei figli? Il più grande di loro, Romano, frequentava gli scout in un istituto a pochi metri da casa. Lo mandavo da solo, ma gli dicevo di non fermarsi a parlare con nessuno e lui faceva la strada di corsa, tutto impaurito. Ecco, io voglio che i miei figli crescano senza questa paura, liberi di percorrere la città senza sentirsi aggrediti, magari girando in bicicletta ». Dunque, non c'entrano munnezza e camorra. O meglio, da lì discendono in modo diretto o indiretto altre patologie di Napoli. Per esempio l'illegalità diffusa, la connivenza, l'inefficienza. «In città», proseguono i coniugi, «chi appartiene a un ceto medio- alto può anche trovarsi bene restando nella sua campana dorata, come più o meno accadeva a noi. Ma fuori poi è il deserto. Mancano servizi e assistenza». Un esempio? Il padre di Flora è invalido e spesso capita che «sia palleggiato da una parte all'altra e che gli enti facciano a scaricabarile». Il risultato? Roberto osserva: «Sono diventato intollerante, non riesco più a sopportare il vigile che fa la multa solo a chi non è suo amico e altre cose del genere». È la questione sempre aperta della mancanza di senso civico al Sud. «Non è solo colpa delle istituzioni che latitano. C'è anche una tendenza a lasciarsi andare: anche noi trasgrediamo più facilmente le regole a Napoli, dove peraltro nessuno controlla se si va in tre sul motorino». A Firenze sarà diverso? «Non crediamo che esista la città perfetta, ma almeno la Toscana offre una qualità della vita molto più alta della nostra. Sarà l'entusiasmo iniziale, ma per ora ci sembra tutto bello... siamo stati a Fortezza Da Basso, alla Festa dell'Unità: era tutto ben organizzato, tutti gentilissimi... e poi domenica siamo andati in un agriturismo fuori città quasi fiabesco, curatissimo. Insomma ci sembra tutto bello». «Io poi», prosegue Flora, «credo ai segni, da buona napoletana: il quartiere in cui abbiamo preso casa a Firenze si chiama Cinque, vicino c'è una multisala che si chiama Flora... è perfetto! Qui vicino c'è un bellissimo parco dove portiamo Penelope, il nostro cane, una femmina di golden retriever nata proprio in un allevamento in Toscana: almeno lei è tornata a casa». E l'accoglienza dei fiorentini? Nel film «Ricomincio da tre», ambientato sull'Arno, c'è un celebre tormentone: a Massimo Troisi che si dichiara napoletano viene regolarmente chiesto: «Emigrante?» e lui risponde piccato: «No! Turista». «Nemmeno noi ci sentiamo emigranti», rispondono i Cinque. «Vogliamo inserirci, legare con i fiorentini e non comportarci da napoletani in trasferta. Finora siamo stati accolti benissimo». In conclusione, nessun senso di colpa verso la città abbandonata? La scelta di andare via è quasi una condanna: Napoli è senza speranza? «Purtroppo adesso ci pare proprio che sia così. Ma la verità è che in futuro ci piacerebbe che le cose cambino, ci piacerebbe tornare». |