Nick: m|r Oggetto: Master and Servant Data: 19/12/2008 0.22.27 Visite: 221
Il salone era un po' troppo carico di roba. C'erano oggetti dorati ovunque, tappeti spessi ed enormi e alle pareti c'erano quelli che un giorno avrei saputo chiamarsi arazzi. In questa che doveva essere una stanza di una casa di mare, sedevano intorno ad un tavolino di marmo e cazzarielli d'oro tutta la parte femminile della famiglia della ragazza che frequentavo. Minchia, prendevano il tè come avevo visto fare solo in certi documentari sulle famiglie nobili inglesi. La zia, la mamma e la nonna avevano i capelli come appena uscite dal parrucchiere, e forse lo erano, ma erano vestite solo di parei e infradito. Poi c'erano un paio di vecchie e avvizzite cugine. Ero andato lì solo per vederla e poi magari fare il bagno alla spiaggia, la loro fottuta spiaggia privata, e mi ero ritrovato nel mezzo di un rito noioso e lunghissimo. Fissavo le unghie laccate di rosso della mamma mentre mi versava il tè. Certe cose mi fanno tristezza e non so neanche io perchè. La nonna mi passava con un sorriso finto il piattino dei biscotti. Avevo caldo e maledivo di non essere andato alla spiaggia libera. Lei era imbarazzata di avermi coinvolto in quella situazione ma sedeva, compita e ubbidiente, al tavolo e aveva legato tutti i lunghi capelli biondi in una ciocca che in quell'occasione non poteva che dirsi aristocratica. Quando parlavano e non volevano farmi capire, parlavano in francese. Lo trovavo molto scostumato ma non lo feci presente. Per il resto erano normali considerazioni sul tempo e sul problema della servitù. Ci servivano al tavolo una ragazza mulatta e un uomo di mezza età forse italiano. Chiesi dove fosse il bagno e mi alzai. Il bagno era oltre la cucina. Incrociai la ragazza mulatta. Non mi ero accorto di quanto fosse bella. Non si fa mai caso a chi è di contorno a un rito. Aveva la pelle e i capelli scuri e gli occhi di un azzurro chiaro che aveva dell'incredibile. Mi disse che il padre era francese e la mamma dominicana. Era lì per l'estate, per raccimolare qualche soldo, poi sarebbe andata a Parigi a studiare. Voleva fare la veterinaria. Quando disse questa cosa le venne su un sorriso incantevole. La porta della cucina dava sul cortile dove avevo lasciato la moto. Dal salone arrivò la chiamata della padrona di casa "Genevieve!" Ci guardammo un po'. "Genevieeeeeeeve!". Il sorriso le scomparve dal viso. Poi la mamma della ragazza urlò un comando in francese che sembrò una scudisciata. Dissi: "Andiamo". Lei non ci pensò molto, si tolse quella specie di grembiule che portava ed uscì insieme a me. Saltammo in moto e partimmo. Liberi e leggeri come solo la moto e la fuga possono dare. Qualche giorno fa ho ricevuto un'email con la foto di una bella veterinaria dagli occhi azzurri in mezzo a certi strani animali del Madagascar. Della bionda aristocratica nessuna notizia.
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