Nick: alylia Oggetto: Consiglio letterario(De Luca) Data: 20/1/2009 17.21.32 Visite: 221
E' un po' un papiello(vi avviso). Ma può essere interessante.
Vi consiglio vivamente di leggere Erri De Luca, qualunque cosa. Io lo adoro. Leggerlo è come affondare la faccia in un bouquet di fresie e inebriarsi del suo profumo, avvertirlo tanto forte da sentirtelo scorrere nelle vene e chiederne ancora, come una droga per i sensi.
E' delicatissimo, a parlare di qualsiasi argomento, pure i suoi romanzi che trattano di "religione" sono piacevoli. Non è quello che racconta, ma come lo fa. Scrive prosa, ma è poesia tutto quello che dice, dipinti con colori a olio. Così tu leggi le sue parole, ma ti sembra che facciano scivolare il pennello su una tela vergine, una tela che diventa un tramonto, il panorama di Napoli dal Virgiliano, una tela da cui puoi annusare l'odore del mare.
E' Napoli, la malinconia, l'ostilità a resistere, la sensibilità di questa città, che lo segue in tutto quello che scrive, che abita in lui che non viceversa. Leggere i suoi romanzi è come sdraiarsi poggiando la testa sulle gambe di una cara persona, sentirsi carezzare la nuca, ascoltare i racconti di un mondo che ti sembra vedere per la prima volta, e provare a sognare.
Ho conosciuto De Luca per caso, un ragazzo con cui uscivo me ne parlò come l'autore preferito della madre e io lo sperimentai per la prima volta con Non ora, non qui, un'infanzia che non tornerà più, una famiglia benestante che per problemi economici si sposta a vivere nei quartieri spagnoli, i ricordi che riaffiorano grazie ad una foto della madre giovane, un fermo immagine di una Napoli di 50 anni fa. "Tutto è fermo intorno, io solo potrei muovermi. Perlustro con gli occhi i visi dei passanti, tra essi vedo il tuo, mamma. Sei giovane, un'età tua che non ricordo più. Si dice che le mamme non abbiano età. Da bambino te le vedevo tutte, la vita era lunga un giorno, moriva col sonno e risorgeva al risveglio. Nel corso del giorno tutte le età ti venivano al viso, nessuna si fermava un'ora. Tu eri il sempre, nascevi la mattina, morivi la sera, comparendo e disparendo dalla stessa porta, conducendo la luce del mattino e riportandola via dietro di te la sera, lasciando una piccola striscia di lume sotto la porta che chiudeva male. Tutte le età in un giorno: dev'essere difficile essere guardati con tanto errore da un figlio e mai saperlo. Dev'essere stato impossibile da indovinare il cruccio del bambino che non vuole dormire: non io morivo nel buio ogni sera, ma tu. Allora sul bilico del sonno ti tenevo per nome stretta nei denti e nelle mani chiuse e tuffavo gli occhi all'indietro. Stavamo sott'acqua un attimo e poi rispuntavamo insieme nel sogno. Così ti salvavo ogni sera. E quando provavi pace a vederlo finalmente dormire non potevi sapere lo sgomento di entrare nella corrente dei suoi sogni. Forse addestrano al mondo. Certo il tuo era un bambino poco adatto a farsi intendere e forse poco disposto. Una fioritura di reticenze preparava la sua identità."
Tu, mio invece parla di un'estate trascorsa a Ischia tra un pescatore e un incontro con una ragazza straniera che lo fa innamorare, che gli parlano di una storia che lo renderà adulto. "Ci si innamora così, cercando nella persona amata il punto a nessuno rivelato, che è dato in dono solo a chi scruta, ascolta con amore. Ci si innamora da vicino, ma non troppo, ci si innamora da un angolo acuto un poco in disparte in una stanza, presso una tavolata, seduto in un giardino dove gli altri ballano al ritmo di una musichetta insulsa e decisiva che fa da colla di pesce per una faccia che si appunta a spilli sul diaframma del petto.[...] Mi innamoravo secondo un impulso opposto all'evidenza: che io ero molto più adulto, che a me toccasse il compito di proteggerla dai pericoli dell'isola, custodendo il suo segreto che non conoscevo ancora ma che doveva esserci e io l'avrei saputo, io solo.[...] Haia, Hàiele diventava la mia musica in testa, la ripetevo al mattino appena sveglio, ci chiudevo i pensieri sopra all'ora del sonno. Gli innamorati pregano con una parola sola, un nome. Non lo scrivevo, non lo pronunciavo, non dovevo compromettere il segreto lasciando tracce.[...] Haia, Hàiele, il suo nome in testa si appoggiava alla musica, ai piedi che si sfioravano in tondo e riuscivo a sentire la risacca delle onde a riva sugli scogli. Il nome cadeva sullo scroscio. Haia, Hàiele era il respiro delle cose intorno a portare quel nome, io lo ascoltavo in testa come una regola per non vacillare, Haia, Hàiele.[...] "
In nome della madre tratta una storia biblica, ma usa le parole giuste, il modo giusto, inventa storie e ricalca quella vera. Un libro lungo un giorno di lettura. E parla di una ragazza, una giovane vergine che deve diventare madre, che non ha niente di divino, solo la consapevolezza di essere un recipiente per il suo bambino, pasta cresciuta in lei senza lievito d'uomo. "In nome del padre": inaugura il segno della croce. In nome della madre s'inaugura la vita. In ebraico esistono due emme, una normale che va in qualunque punto della parola e una che va solo in ultima casa. Miriàm ha due emme, una d'esordio e una terminale. Hanno due forme opposte. La emme finale, mem soft in ebraico, è chiusa da ogni lato. Quella iniziale è gonfia e ha un'apertura verso il basso. E' un'emme incinta.
Montedidio parla per l'appunto di un ragazzino di 13 anni che nasce e cresce in questo quartiere difficile di Napoli, che racconta se stesso su una bobina di carta, che impara la vita da uno scarparo che lavora con lui in bottega, che voleva andare in terra santa e invece si ritrova a Napoli, un errore del viaggio che gli offre parallelismi tra due popolazioni che all'apparenza sembrano così diverse eppure con tante connotazioni comuni. Il ragazzino usa l'italiano quando scrive, ma lo teme, perchè non è la lingua della sua gente, per i quali la lingua nazionale è straniera quanto gli Americani che sbarcavano al porto.
In alto a sinistra è in realtà una serie di racconti, giovinezza a Napoli, lavoro operaio e ricerca di altro. Lui è un uomo nato e cresciuto nella Napoli bene, che vive la miseria e cerca di arrangiarsi in tutti i modi possibili, tenendo sempre stretta la penna e la voglia di scrivere. "Le storie di questo libro stanno nel perimetro di quattro cantoni: un'età giovanile e stretta, di preludio al fuoco; una città flegrea e meridionale; la materia di qualche libro sacro; gli anni di madrevita operaia per uno che nacque in borghesia. Il possedimento, minimo per un passsante, è stato immenso per chi ci si è fermato. Esso rinchiude per attrazione un me narrato, più che un io narrante, qualche tu femminile scalzo e ben piantato per terra, un noi premessa di frantumi."
Napòlide è l'ultima sua opera da me letta, un ritratto perfetto di Napoli, che la fa apprezzare da chi non la conosce, e continua a farla amare da chi la vive quotidianamente. E' tanto dentro di sè questa città che parla di Napoli, ma parla soprattutto di se stesso, corpo cresciuto e impastato con mare e tufo. "Chi nato a Napoli si stacca, perde la cittdinanza. E' napòlide. Porta nel sistema nervoso un apparecchio cercapersone messo nella città in ognuno dei suoi. Da una distanza non panoramica queste pagine reagiscono al segnale. Su Napoli non si ha il diritto di sguardo dall'alto, solo il vulcano ha titolo per sovrastare. La sua orbita sta spalancata nelle cartoline e negli incubi. E' bene che resti cieca[...] Non ho saputo mai reggere un tema senza finirne fuori. E' un vizio che la scuola mi ha mortificato senza riuscire a estirparlo. Era la frase più vergognosa da leggere a commento del compito scritto: sei andato fuori tema. Per uno che scrive cose sue di Napoli, ma lontano da lì, fuori tema è la premessa. Napoli è il tema e io ne sono fuori."
L'ultimo suo lavoro appena comprato è Il giorno prima della felicità e non vedo l'ora di cominciarlo.
Buona lettura a tutti! Love, peace and harmony? Love, peace and harmony? Oh, very nice, very nice, very nice, very nice... but maybe in the next world (cit.) |