Comunque fortunatamente non abbiamo solo Roberto Saviano, Rosaria Capacchione e Gigi Di Fiore.
Ci sono anche giornalisti, forse meno bravi di Saviano, ma non meno coraggiosi.
Giornalisti come Enzo Palmesano, collaboratore del “Secolo d’Italia” e direttore responsabile del “Roma”. "Come direttore del “Roma” trasformò il quotidiano fondato da Achille Lauro da giornale populista, monarchico e sempre vicino a certa borghesia edilizia ferina e speculatrice, in un giornale attento alle inchieste sui poteri economici, capace di denunciare le alleanze politica-camorra."
Per questo Palmesano ha passato i "guai".
"Io sono un giornalista professionista, vivo di giornalismo, ma nella mia terra non ho mai potuto lavorare per portare la pagnotta a casa. Non posso lavorare io ma nemmeno i miei familiari: la camorra non vuole. Mi hanno fatto il vuoto intorno, terra bruciata. Nel corso dell'inchiesta del dottor Giovanni Conzo è emerso, inoltre, che il clan Lubrano-Ligato impose - oltre che la fine della mia collaborazione con il quotidiano locale "Corriere di Caserta", qui con convergenti pressioni politiche locali e nazionali - il licenziamento di mio figlio Massimiliano ad un imprenditore edile pignatarese. Mio figlio avrebbe voluto continuare a lavorare per pagarsi le vacanze, ma il boss Pietro Ligato (ora arrestato per l'omicidio del padre del collaboratore di giustizia Antonio Abbate), accompagnato dall'attuale "pentito" Giuseppe Pettrone, chiese ed ottenne l'immediato licenziamento di Massimiliano, per sua sventura figlio del giornalista Enzo Palmesano. E' questo il clima in cui vivo nella "Svizzera dei clan" con mia moglie e i miei tre figli. Non so che cosa ci riserverà il destino, nel quale comunque ho speranza. Non posso, comunque, fare a nessuno il favore - come avrebbero voluto "don" Vincenzo Lubrano e gli amici degli amici - di smettere di "scassare 'o cazzo"."
http://www.articolo21.info/8234/notizia/perche-la-camorra-mi-vuole-uccidere.html
http://www.nazioneindiana.com/2005/01/27/giornalismo-in-terra-dinferno/
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