Nick: Viola* Oggetto: Ulysses - Tennyson Data: 8/4/2009 14.11.26 Visite: 1268
Lord Alfred Tennyson, il "poeta laureato" dell'età vittoriana. Diciamo che era un'epoca in cui i poeti non erano eccelsi, ma si trovano cmq delle gemme, come questa poesia. Ieri notte in TV è passato il film "Possessione", che trattava proprio di un poeta vittoriano. Pessimo film, tratto da uno splendido libro di Antonia S. Byatt, scrittrice inglese che io venero. La Byatt ha scritto anche "Angeli e insetti", tre racconti di ambientazione sempre vittoriana, e in uno di essi la protagonista è la sorella di Lord Tennyson, che era fidanzata con Arthur Hallam, il migliore amico di Tennyson, morto giovane, e al quale il poeta dedicò "In memoriam", forse il suo capolavoro, meravigliosa elegia sulla morte precoce. In ogni caso, "Ulysses" è splendida. Tennyson immagina cosa si agiti nella mente di Ulisse, una volta tornato ad Itaca, ormai vecchio. La voglia di riprendere il mare è più forte di tutto, la voglia di andare avanti, di non fermarsi mai. "Ma quel che siamo siamo" E' un'esortazione ad andare avanti a qualunque età, a cercare sempre e comunque un mondo migliore. E' un pò lunga, ma è di lettura estremamente facile. Il finale è meraviglioso. Giova poco che re pigro A questo focolare tranquillo, tra queste rocce alte e scoscese In coppia ad una moglie anziana, io misuri e distribuisca Leggi ingiuste ad una razza selvaggia, Che accumulano, e dormono, e danno da mangiare, e non mi conoscono. Non so riposare dopo il viaggio: berrò La vita sino alla feccia: tutte le volte che ho goduto tanto, ho sofferto tanto, sia con quelli Che mi hanno amato, sia da solo, sulla riva, e quando Attraverso nuvole veloci le piovose Iadi Torturavano l’opaco mare: io sono diventato un nome; Per aver sempre vagabondato con cuore affamato Molto ho visto e conosciuto; città di uomini E usi, climi, consigli, governi, Non ultimo me stesso, onorato da tutti – E bevvi il piacere di una battaglia tra pari, Lontano dalle risuonanti pianure della ventosa Troia. Io sono parte di tutto ciò che ho incontrato; Eppure tutta l’esperienza è un arco attraverso cui Splende quel mondo non visitato, i cui confini svaniscono Per sempre e per sempre quando vado avanti. Che brutto è fermarsi, finire, Per diventar ruggine, non brillare nell’uso! Come se respirare fosse vita. La vita ammassata sulla vita Fosse tutta troppo poco, e di una soltanto a me Rimanesse poco: ma ogni ora é risparmiata A quell’ eterno silenzio, qualcosa di più, Qualcosa che porta cose nuove: e vile sarebbe Per altri tre anni accatastare e accumulare me stesso, E questo spirito grigio, bramoso nel desiderio Di seguire il sapere come una stella che precipita, Oltre l’ultimo limite dell’umano pensiero. Questo è mio figlio, il mio Telemaco, A cui lascio lo scettro e l’isola – Bene-amato da me, che sa realizzare Quest’opera, ammansire con molle prudenza Un popolo rude, e attraverso piccoli passi Sottometterli all’utile e al bene. Del tutto irreprensibile è lui, concentrato nella sfera Dei comuni doveri, così bravo da non sbagliare Nei doveri di pietà, e pagare I dovuti tributi di adorazione agli dei della casa, Quando me ne vado. Egli fa il suo lavoro, io il mio. Lì c’è il porto; la nave gonfia le sue vele: Lì si incupisce il profondo mare oscuro. Miei marinai, Anime che avete patito, e lavorato, e pensato insieme a me – Che sempre con gioioso benvenuto avete accolto Il tuono e il sole, e lottato Da cuori liberi, a viso aperto –voi ed io siamo vecchi; La vecchiaia ha pure il suo onore e la sua fatica. La morte chiude tutto: ma qualcosa prima della fine, Una qualche opera degna di nota, può esser fatta, Non indegna a uomini che lottano con gli Dei. Le luci incominciano a scintillare tra le rocce; Il lungo giorno finisce; si arrampica lenta la luna; gli abissi Si lamentano intorno con tante voci. Venite, amici miei, Non è troppo tardi per cercare un mondo più nuovo. Via, seduti bene in ordine percuotete Le scie risuonanti; perché mia intenzione è Andare aldilà del tramonto, dove si bagnano Tutte le stelle d’occidente, fino a che muoio. Forse i vortici ci trascineranno giù, Forse toccheremo le Isole Felici, E vedremo il grande Achille, che noi conoscemmo. Anche se è dura, dobbiamo farlo; e anche se Non siamo adesso quella forza che ai vecchi tempi Muoveva la terra e il cielo; quelli che siamo, siamo –Un’unica grande tempra di cuori eroici, Indebolita dal tempo e dal fato, ma forti nella volontà Per combattere, cercare, trovare, e non arrendersi mai. "Quanti amarono i tuoi istanti di lieta grazia e amarono la tua bellezza con falso e vero amore, ma un solo uomo amò in te l'anima pellegrina e amò il dolore del tuo mutevole volto" W.B. Yeats |