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Nick: hightecno
Oggetto: eros & pathos (cap XXII)
Data: 30/8/2004 13.19.38
Visite: 70

Qualcosa di unico e misterioso vi è nell’esperienza amorosa, dal momento che è soprattutto in quell’occasione che anche persone solitamente «allergiche» a tutto ciò che non è razionale si concedono qualche strappo alla regola. Tutti noi siamo strutturati all’insegna e nel ricordo di un’ancestrale senso di mancanza, di un vuoto che tentiamo di riempire amando, ed è anche in virtù di ciò che possiamo e dobbiamo affermare che ogni rapporto ha la sua dignità. Non esistono amori indegni o di cui vergognarsi.

Ogni esperienza, infatti, risponde a esigenze profonde dell’individuo. Nulla è stato mai inutile perché in ogni particolare momento vissuto al fianco della persona amata, ella era in grado di riempire un nostro vuoto che, come accennavamo, è insito in ogni essere umano e che tende perennemente a essere colmato attraverso l’amore per l’Altro, quali che siano le circostanze che lo contestualizzano, anche negative.
Detto ciò, è quanto mai utile ammettere che siamo tutti portatori di tale carenza, e che siamo sempre interiormente spinti alla ricerca di ciò di cui siamo carenti. Si può persino arrivare a pensare che tutte le immagini esterne siano «allucinatorie», create, fantasticate dalla nostra immaginazione alla ricerca di quella che potremmo definire una totalità perduta. I miti lo raccontano, ma ognuno di noi può vivere in prima persona questa vicenda: vivere la mancanza e cercare di superarla attraverso la ricerca della totalità perduta. Se io mi trovo in una fase in cui sperimento acutamente questo dolore, l’Altro acquista il valore di una speranza: la promessa, per me, di diventare qualcosa di completamente nuovo.

Sono esperienze che, in un modo o nell’altro, tutti viviamo, ma ci vuole un po’ di coraggio per viverle senza riserve mentali, perché in noi c’è una insidiosa tendenza razionalizzante che dice: «Tu in fondo non hai bisogno di nulla». E questa è una pietosa bugia che raccontiamo a noi stessi. Io sono del parere che la maturità non coincida affatto con l’assenza di desideri, anche se questo ci viene spesso detto e ripetuto. Dovremmo invece cercare di comprendere che lo stato di necessità permanente, questa dimensione di mancanza che spinge alla ricerca dell’Altro come totalità, rappresenta per l’uomo una continua promessa di differenziazione e di mutamento.
Tutti noi che abbiamo la fortuna di innamorarci prendiamo realmente coscienza della metamorfosi che si è prodotta quando usciamo da questa esperienza, ma tuttavia riusciamo a intuirla anche mentre la attraversiamo. Va detto, però, che occorre un po’ di coraggio, perché una promessa di completezza implica sempre anche il rischio di un fallimento.

Questo è l’aspetto più inquietante, perché l’aver sentito anche per un attimo che potevamo essere diversi, l’esserci illusi che qualcosa poteva cambiare, ci lascia un retaggio doloroso. E allora dobbiamo imparare a sopportare la privazione, consci altresì del fatto che l’accettazione della mancanza sia uno dei tratti strutturali della nostra esistenza. Tutta la nostra vita, in fondo, si configura come una lotta combattuta per poter afferrare quel qualcosa che ci sfugge, e per poter lottare dobbiamo imparare a sentire sulle nostre spalle il peso dell’assenza dell’Altro.
In realtà, nessuna terapia, nessuna esperienza, consente di eliminare questo senso di vuoto che l’amore, illudendoci, ci promette di riempire. Quando crediamo che il vuoto sia stato abolito, è probabile che stiamo illudendo noi stessi. Infatti, per quanto l’Altro possa corrispondere al nostro desiderio inconscio, il bisogno di totalità è talmente smisurato che nessuna esperienza o sensazione lo potrà realmente colmare.

Il destino strutturale della nostra vita è imparare a sopportare la privazione e anche la delusione della persona che ci è accanto: quale essa sia, qualunque cosa possa rappresentare o aver rappresentato per noi, esprime comunque un’assenza. Potremmo così dire che ogni dimensione amorosa mette in scena un mito; ogni volta che ci troviamo in questo vissuto noi «insceniamo» qualcosa: la totalità perduta che rimanda ai momenti precoci della nostra esistenza, oppure il cosiddetto desiderio della completezza e - aspetto ancor più doloroso - l’essere sempre pronti a rinnovare questo senso di vuoto.



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