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Nick: Alex
Oggetto: Siamo rovinati
Data: 16/7/2009 10.21.4
Visite: 1414

Questo articolo parla del PD, ma non riguarda solo gli elettori del PD. Perchè se un partito che dovrebbe rappresentare l'opposizione in italia è in grave difficoltà non è una cosa positiva nemmeno per chi è un convinto elettore PDL.

Napoli, da Fuorigrotta al Vomero
viaggio tra i baroni delle tessere
di ALBERTO STATERA

Napoli, da Fuorigrotta al Vomero viaggio tra i baroni delle tessere
NAPOLI - Sei milioni di euro. Occorrono non più di sei milioni, a 15 euro a tessera, per fare un'Opa totalitaria sul Pd. Neanche quel che costa rilevare una microazienda in difficoltà, forse meno di quello che Berlusconi spende ogni anno per Villa Certosa. I baroni delle tessere napoletani, cui piace la quantità, si sono così scatenati alla vigilia del congresso non tanto per la scalata al partito, ma per conservare in loco la genia intramontabile dei castosauri partenopei, la "cacicchità" degli amministratori locali evocata da Massimo D'Alema quando citò come esempio non proprio commendevole i capi delle comunità tribali nell'America centro-meridionale ai tempi dell'occupazione spagnola.

Per godere di visibilità congressuale contano le percentuali, per cui a Milano se si vuole contare basta spendere poco e avere ottomila tesserati (120 mila euro), invece degli 80 mila, quattro volte quelli di Roma e cinque quelli della Liguria, che la principesca megalomania partenopea impone, conquistando più di un quinto del totale nazionale delle tessere. Ma, si sa, qui le cose si fanno in grande.

Prendiamo un caso piccolo, ma - come dire? - di scuola. Circolo piddì di Fuorigrotta, via Cariteo 59, stesso stabile del municipio di zona, intonaci dei balconi che cascano, marciapiedi coperti di eiezioni canine, inquinamento a mille nell'ingorgo perenne, in un quartiere di melting pot assoluto, disoccupati, operai, impiegati, professori, professionisti. Al primo piano, sotto un ritratto di Lenin, vigila di pomeriggio il segretario Giorgio, che ha al suo attivo un record: l'incremento del 366 per cento delle tessere, lievitate da poche centinaia a 2.177. Il quartiere, ultima roccaforte di sinistra, partecipa più degli altri. Ma si narra che di quelle tessere sia effettivo titolare il consigliere regionale Tonino Amato, bassoliniano, se nel frattempo la topografia rapidamente mutevole non ne ha cambiato la location. Tanto più che alle primarie del 2007, in piena crisi dei rifiuti, fu qui che si cercò un'oasi favorevolmente fresca per la candidatura di Bassolino all'assemblea fondante del Pd, ma a sorpresa prevalse l'ignota signora Fortuna Caccavale, operatrice sociale, che poi non ci mise molto a farsi cooptare dal pupillo bassoliniano Andrea Cozzolino, assessore regionale e neoparlamentare europeo.

Cambio scena rispetto alla calura olezzante di Fuorigrotta. Salerno l'altro ieri: quaranta forzuti impediscono, tra schiaffi e scontri corpo a corpo, che si tenga il congresso dei Giovani democratici. Il segretario regionale Michele Grimaldi dice che sono "camorristi fascisti", sia pur tesserati Pd. Off the record, come si dice, sarebbero invece i "bravi" del sindaco di Salerno democratico Vincenzo De Luca, storico nemico di Bassolino.

Sarà vero? Ridacchia amaro, al racconto dei dettagli di battaglia metropolitana salernitana, il consigliere comunale di Torre del Greco Pier Paolo Telese che se la vide con le "presenze inquinanti" e i "loschi figuri" tesserati della sua città: "Contammo persino dei latitanti in quella massiccia affluenza degenerata". Fu azzerato il tesseramento e nominato commissario Aldo Cennamo, che si è appena dimesso perché dice che il partito continua ad essere inquinato da "guerre per bande", come non esita a definirle anche Telese. Storiacce di provincia profonda?

Macché, giura Telese, che propende per la segreteria nazionale del partito a Bersani, ma non cambierebbe una virgola di quel che dice Ignazio Marino: "Torre del Greco come tutta la Campania è la fotografia del sistema feudale che vige a Napoli e probabilmente a Roma: vassalli, valvassori, valvassini. Geografia identica di un partito amorfo e pieno di lupi voraci".
"Sì - filosofeggia il professor Eugenio Mazzarella, deputato lettiano, nel senso di Enrico Letta - c'è il confuso assemblaggio di destini personali di un ceto politico alla ricerca di una scialuppa di salvataggio". Ma secondo lui è persino meglio così che la realtà di un partito "non scalabile fino al compiersi tardivo del ciclo biologico, come quello di Berlusconi". Ma è difficile leggere come un segno di salute il dato di un partito come il Pd apparentemente contendibile con un'Opa tutto sommato poco costosa sulle tessere. Anche se a Berlusconi la Lega Nord costò meno in termini monetari.

Marco Follini, ex segretario dell'Udc e oggi senatore campano del Pd, ha vissuto nella Dc la sindrome del partito delle correnti e delle tessere e oggi, smaliziato, fa la morale: "Sa qual è la vera sindrome? La somma del tesseramento stile democristiano, più il vecchio apparato comunista, più la propensione meridionale".
Propensione a che, lui non lo dice, ma è abbastanza evidente che si riferisca al "familismo amorale", come lo battezzò il sociologo americano Edward C. Banfield. Soccorre, semmai, per spiegare gli effetti della sindrome, lo statuto del Pd, un documento che sembra scritto da un autore pazzo medievale. O da Stranamore, come sostiene l'ex presidente del Senato Franco Marini. "Un dottor Stranamore non solo pazzo, ma per di più di pessimo umore", aggiunge Follini, che rivendica il ripensamento urgente e totale di un sistema che si è rivelato un mostro, cercando invano di mettere insieme l'happening delle elezioni primarie con le esigenze bulimiche dell'apparato dell'ex Pci.

Persino a Firenze le primarie che incoronarono Matteo Renzi, nuovo sindaco-ragazzo, si narra che furono gonfiate dalle truppe berlusconiane di Denis Verdini. E, per di più, gratis. "Ah, Fanfani!": pure questo va registrato nel "confuso assemblaggio" del Pd della vigilia congressuale. Debora Serracchiani? Il buon giovanotto Giuseppe Civati? Diceva il saggio Fanfani, come sadicamente ricorda Follini: "Hovvia! Chi l'è bischero, l'è bischero anche a vent'anni!".
Resta da stabilire chi sono i principali baroni napoletani delle tessere, i castosauri partenopei i cui nomi da Fuorigrotta al Vomero, dalla Riviera di Chiaia a Castel dell'Ovo, pochi osano pronunciare. Eppure, sono sulla bocca di tutti. Primo Andrea Cozzolino, il pupillo ex socialista di Bassolino, indagato tra l'altro per la costruzione di una centrale a biomasse a Caserta.

E' un miracolo vivente: da assessore regionale è diventato parlamentare europeo con 120 mila preferenze per un partito ridotto in Campania al 23 per cento. Secondo, il boss della sanità Angelo Montemarano, la cui potenza fu testata quando suo figlio Emilio, sfrecciante in Porshe cabriolet per via Caracciolo, risultò primo degli eletti in consiglio comunale con 7.500 preferenze e nominò tra i suoi amici un assessore del comprensivo sindaco Rosetta Russo Iervolino. Come direttore demitiano dell'Asl numero 1 di Napoli il suo papà già tanti anni fa aveva avallato un contratto per la gestione degli immobili con Alfredo Romeo, il re degli appalti pubblici truccati. Non va invece a Strasburgo, pur con 80 mila preferenze, Pasquale Sommese, che di Romeo fu il primo sponsor nella Regione dell'era bassoliniana. Incidenti. Ma Bassolino rivendica orgogliosamente la sua storia di cacicco. Chi portò nel 2006 quelle poche decine di migliaia di voti che consentirono a Prodi di salire a Palazzo Chigi? I baroni a Napoli sono di casa. Lasciategli la terra da coltivare, se no con pochi soldi fanno l'Opa.

(16 luglio 2009) Tutti gli articoli di politica



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