Nick: Buendia Oggetto: per volenterosi Data: 27/11/2009 20.15.58 Visite: 195
titolo: lentamente o di fretta? avvertenza: trattasi di copia e incolla da file in formato pdf, quindi la formattazione è zompata a me piace sempre rileggere questo dialogo di carta che risale a circa 4 anni fa, perciò lo propongo La via dell'alta lentezza di Claudio Magris L'annientamento del presente, sacrificato precipitosamente al futuro, è da sempre un motivo fondamentale dell'esperienza filosofica, poetica e religiosa, ma viene vissuto con particolare intensità nell'età contemporanea, caratterizzata, come osservava Nietzsche, dall'eccitato "Prestissimo"; il nichilismo, ossia l'assenza o distruzione dei valori coinvolge, già nei romanzi di Jacobsen, il senso del tempo, percepito non quale tensione verso una meta, che dà significato a ogni passo di questo cammino, bensì quale continua perdita, stillicidio della vita nel nulla. L'esistenza appare sottoposta a un'accelerazione crescente, bersagliata da assilli che esigono risposte sempre più veloci e costretta a protendersi verso mete da raggiungere e abbandonare sempre più rapidamente. Come osservava già Michelstaedter, che ha indagato più a fondo di ogni altro la distruzione del presente, si hanno sempre più ragioni per desiderare che il tempo passi in fretta, che oggi sia già domani, che il futuro sia già arrivato, recando le risposte e le cose che si attendono ansiosamente e in tal modo si vive non per vivere ma per aver già vissuto, per essere sempre più vicini alla morte. Si viene scagliati come proiettili nel futuro, nella vita che - 1 - ha sempre ancora da venire e non c'è veramente mai, mentre il presente ci viene strappato sotto i piedi come un tappeto. Tutto ciò insidia la fellicità e il piacere; nei Cento giorni di Joseph Roth la smaniosa fretta di Napoleone nell'amore, che impedisce l'appagamento sessuale, diviene simbolo della frenetica modernità, simile a una continua eiaculazione precoce. La velocità aumenta in ogni settore, trasformazioni storiche epocali avvengono con un ritmo che rende difficile percepirle e seguirle; i piccoli eventi della vita quotidiana – un trasloco, il rinnovo del passaporto, la riparazione dello scaldabagno – richiedono più tempo dei grandi eventi politici che cambiano il mondo. Si ha l'impressione di non riuscire a tener dietro alla realtà e al suo vorticoso caleidoscopio, che sbalestra i criteri e i metri di giudizio che dovrebbero comprenderla e inquadrarla. Ci si sente spesso come quell'astronauta sovietico che, ritornando sulla terra, non trovò più l'Unione Sovietica, dissoltasi nel frattempo. Sarebbe patetico opporre a questa situazione oggettiva nostalgiche lamentele o un rifiuto relativo, predicando un rifugio nei deserti della Tebaide o nei recessi dell'interiorità. I tempi lenti delle età passate sono tramontati; gradita o sgradevole, l'accelerazione è una realtà dell'epoca e della vita e solo confrontandosi con essa, sapendo di esserne coinvolti, è possibile resisterle e difendere quei margini di lentezza senza i quali il vivere perde senso. Sten Nádolny, uno dei più interessanti scrittori tedeschi contemporanei, proponeva nel romanzo dall'omonimo titolo La scoperta della lentezza, il valore e il significato che assume la - 2 - vita quando si rallentano – a cominciare dai gesti del proprio corpo e dalle reazioni psicofisiche – i suoi ritmi frenetici, la sua corsa incalzante che brucia ogni suo attimo e sembra continuamente annientarla mentre essa si svolge. Anche Milan Kundera, proprio nel suo romanzo La lentezza, riscopre quest'ultima quale dimensione che restituisce all'esistenza la sua misura, permettendole di far maturare le sue ricchezze nascoste, le sue potenzialità latenti. La lentezza va difesa come una strategia flessibile, elastica, senza affrontare di petto la frenesia del mondo, bensì sfuggendo alle sue spire come un lottatore cinese, marcando visita – tutte le volte che si può – quando si viene richiamati dalla sua mobilitazione generale. Si dovrebbero praticare ogni giorno degli esercizi di lentezza; questa ginnastica aiuterebbe a conservare, nell'incalzare del quotidiano, oasi di tempo più lungo e disteso, a tener aperti quegli spiragli attraverso i quali può irrompere nella vita il senso di ciò che trascende la corsa e la fuga del tempo profano, l'intuizione dell'eterno. Questa irruzione, che squarcia la temporalità come un velo, non può essere programmata o provocata. Può essere solo accolta, come grazia irriducibile alla contingenza, e l'unica cosa che si può fare è conservare nel proprio animo la libertà e la disponibilità ad accoglierla quando si presenta, rimuovere le ansie e gli idoli quotidiani che ottundono la nostra sensibilità e ci chiudono a ogni trascendenza. San Paolo parla dell'attimo in cui si compie la realizzazione dell'amore, di quell'attimo e quell'«adesso» sovratemporale in cui – scrive Karl Barth nel commento all'Epistola ai Romani – passato e futuro si fermano in un - 3 - presente assoluto, che non può dileguare. Questa grazia può essere salvifica, ma non è certo consolatoria né rassicurante, come scrive Luigi Pareyson, nella sua postuma Ontologia della libertà, scandagliando l'abisso di una radicale esperienza religiosa, il mistero del tempo, del male, della sofferenza e del nulla presenti in Dio stesso, che nessuna fede e nessuna Chiesa possono esorcizzare. In quell'esperienza, tempo ed eterno si intersecano, in una croce che è salvezza ma anche dolore, sconfitta e oscuro strazio, troppo pesanti per le spalle di qualsiasi uomo e qualsiasi Chiesa. Pareyson fa toccare con mano l'inquietante demonicità dell'autentica religione, affacciata senza remore sulla vita nuda e intollerabile, nel suo gorgo al di là del bene e del male. Rispetto a essa, la pia devozione e il moralismo laicista appaiono diete igieniche, placebo contro l'angoscia, un'angoscia tanto più forte quanto più rapido è il ritmo col quale si consuma la vita. No, correte in fretta e il mondo frenerà di Roberto Casati L'elogio della lentezza è un facile colpo a effetto. A far l'elogio della velocità si passa invece per futuristi se va bene, più probabilmente per strani e datati e fuorimoda amici del progresso. Il che genera un certo malcontento tra i nostri conoscenti; non sarai anche tu uno di quelli che corre sempre, e che correndo obbliga poi tutti a correre, col risultato, lo vedi, che siamo in uno stato di stasi relativa e corriamo solo per star fermi. Eppoi se corri non vedi i dettagli, i fili d'erba a lato della strada, il lento crescere del grano e lo sbocciare dei fiori. La risposta a questa obiezione è che magari invece certe cose si vedono solo se si va veloce. I film accelerati ci mostrano, per l'appunto, i fiori che sbocciano e i ghiacciai che scorrono. Possiamo anche guardarci tutta una partita di calcio alla moviola, addirittura come una sequenza di fermi immagine. Ma certi aspetti dell'azione, la sua coralità, il suo venire da lontano e l'accelerazione improvvisa scomparirebbero. E non basta. Come aveva fatto notare Berkeley, gli effetti di scala e di contesto ingarbugliano la situazione. Il contesto ci dice che cosa è grande e piccolo: per la formica un ragno è grande, ma per noi è piccolo. E se il ragno in corsa lascia al palo la formica, ci vede poi come noi vediamo sfrecciare una - 5 - aereo a reazione. Da queste fondamentali ovvietà si deduce che la velocità che percepiamo potrebbe essere un'illusione; in realtà siamo lenti, quasi fermi; ci rincorre e supera chi è più giovane di noi, chi ha più idee, chi ha meno tempo, chi viene da lontano o lontano va .Ma non lo sappiamo per certo. Infatti, di converso, ci può sembrare di andare adagio, e invece stiamo correndo: via da un amore, lasciando indietro tutti, alla nostra perdizione, incontro al successo o alla sconfitta, nelle braccia del nostro peggior nemico. Prima di preoccuparsi di un'eccessiva velocità o lentezza percepite, bisognerebbe dunque sapere a quale velocità si sta andando, cosa che non è facile nemmeno con la velocità oggettiva e misurabile, per via della relatività del movimento. Sto camminando e relativamente al suolo terrestre vado a pochi chilometri all'ora, ma rispetto a una linea immaginaria che collega il centro della terra con il centro del sole sto filando – a certe latitudini – a più di mille chilometri all'ora, trascinato dalla rotazione della terra. Non me ne accorgo, ma appunto questo è il problema. A che velocità sto andando? La domanda non ha senso se posta in assoluto. Ma supponiamo per amor di argomento che le misure siano sensate e possibili, che ci si sia messi tutti d'accordo, e che si possa davvero dire che il mondo corre troppo. Concediamo inoltre che sia auspicabile porre un rimedio a questa situazione. Bene: a chi crede di veder tutto andare troppo veloce l'ultima cosa che consiglierei per curarsi è proprio fare esercizi di lentezza. Rallento il passo mentre cerco di raggiungere la fermata dell'autobus, coprendo cento metri in due minuti laddove normalmente ne impiegavo uno; Gianni che parte con - 6 - me ci mette un minuto. Se prima Gianni mi sembrava andare alla stessa mia velocità, ora mi sembrerà due volte più veloce. Dunque a chi si muove piano le cose finiscono con l'apparire ancora più rapide, e l'esercizio di lentezza sortirebbe un effetto collaterale contrario a quello desiderato, e forse fatale agli aspiranti bradipi. L'esercizio opposto è invece altamente raccomandabile: fate più cose tutte insieme, e fatele velocemente, con concitazione, quasi con affanno, e vedrete il mondo rallentare, e tanto più quanto più sarete andati in fretta. Un cantore della lentezza deve assumersi le sue responsabilità, chiederci non di rallentare ancora di più, e magari fermarsi del tutto, ma di accelerare a velocità impossibili per la fisica, infinite. Giunto alle quali, in compagnia di alcuni pittoreschi aedi moderni, potrà cantare persino l'assenza di divenire, dire che il movimento e il cambiamento sono solo un'illusione, che l'acqua non bolle davvero, il sole non sta veramente tramontando, e che tutto è già da sempre fermo, a far bene attenzione.
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