Nick: L4t|t4Nt3 Oggetto: Il duello impossibile Data: 8/4/2010 21.36.43 Visite: 294
Difficile, per Lionel Messi, non è segnare quattro gol in Champions League all’Arsenal ma reggere il confronto con Diego Maradona. Questa è una storia di padri e figli, generazioni differenti e successioni monarchiche. I campi di calcio sono notti che aspettano stelle, paradisi di palloni che qualcuno deve governare con vittorie e fantasia, paesi tristi in attesa di speranze e sogni, che vivono di memorie e paragoni, aspettando sempre un nuovo profeta o un imperatore. Ora, a leggere i giornali di mezzo mondo c’è il genio, il nuevo re, il mago, l’imperatore (appunto), il dieci perfetto, accompagnato dalle urla: non dite calcio: dite Messi o Messi-a - mentre Real Madrid e Inter si chiedono come fermarlo -, quello che era la Pulce è diventato MegaMessi, mentre l’altro si fa mordere le labbra da un cane da salotto, sembra una storia di Richard Ford, ma è la vita. Quella di Maradona è da tempo una serie tv americana piena di colpi di scena: un paio a stagione per non far calare l’audience; Messi ha la sua in scia a «The millionaire», il film di Danny Boyle. Non sappiamo se era scritto, quello che sappiamo è che il ragazzo del Barcellona sta scrivendo la storia, la sua e quella del calcio, molto più rapidamente di quanto Mary Shelley scrivesse Frankenstein, e questa si incrocia con il destino di Maradona. Ma i due sono molto lontani, perché non basta venire dallo stesso pianeta, fare - quasi - la stessa strada e gli stessi gol per essere uguali o paragonabili. Come si diceva di Diego in Argentina - prima dello spartiacque che sarà il mondiale Messico86 -, si dirà oggi di Lionel, «è il giocatore più forte del mondo e uno dei più bravi giocatori argentini». L'orgoglio del popolo è un pettine per il talento, come se un padre dicesse: «Ok, fuori casa fai quello che vuoi, ma appena varchi la porta della mia proprietà torni il niño di sempre». Detta brutalmente a Messi mancano la vittoria di un mondiale con una selezione mediocre, e quella di un campionato impossibile con il Napoli, oltre il carattere. È un grande attaccante, uno che vede sempre la porta di destro e sinistro, a una velocità pazzesca, capace di metterla dentro in ogni modo e da qualsiasi posizione, ma è anche parte di una squadra che ha una religione e di un club che è chiesa. Ha un apparato, una educazione e un linguaggio e questi si devono soprattutto a Guardiola, è come se fosse un Maradona cresciuto nell’Ajax, abituato a condividere, ad essere parte del tutto, diverso ma armonico. Maradona, invece, era «lo straniero» in tutti i sensi, come Clint Eastwood nei western di Leone, giocava nel deserto e parlava un’altra lingua, sconosciuta agli occhi e ai piedi di quel calcio, aveva un’anarchia che non gli permetteva di sopportare a lungo lo stesso spogliatoio, la stessa città e le regole conseguenti. La sua missione era sempre altrove, e nell'irrequietezza c’era il suo animo. La sua traversata del deserto è letteratura, il cammino di Messi ancora cronaca. Maradona era un’atmosfera, dava i contorni agli altri calciatori, li configurava, definiva, realizzava e avverava i loro sogni (vedi Bruscolotti o Renica), Messi è il cromatismo ineguagliabile. Maradona era ed è un eversore, fuori dal tempo, che tornava umano quando lasciava il campo: riavvicinandosi ai compagni solo nelle feste, in gioco aveva la solitudine dei tiranni e del genio assoluto, altra marcia altri pensieri e azioni. Messi è stanziale e contiguo alla squadra, anche se capace di partire da ogni posizione e non ha bisogno di uscire dal campo per tornare terreno e avere un rapporto paritario con i compagni di squadra. Maradona è un vero e proprio imperatore romano, bizzoso e testardo, annoiato dal proprio potere, pronto a fare spazio purché lo si rispetti, e il campo è sempre un racconto che scorre, una pagina ancora da scrivere, come il futuro. Ma il futuro è dei profeti, e Messi-a ha nome e tempo dalla sua. Per questo i sondaggi e le chiacchiere stanno a zero, i paragoni impossibili, basterebbe ricordare la facilità e anche la voglia di attribuire eredità da parte del ct argentino - dal fratello Hugo a Cassano - per capire come la difficoltà fosse pari all’attesa. Quello che rimane è la coincidenza cortázariana, da gioco del mondo, che vede la sorte e il futuro di Maradona legati a Messi e allo stesso tempo l’impossibilità di incontro tra il gioco/religione del Barcellona che lo fa grande, costruendogli una gabbia di azione, uno spartito per sinfonia da due tocchi che regge le sue divagazioni, e l’anarchia maradoniana che domina il calcio della Seleccion albiceleste: mondo nel quale Messi esce dalla playstation spagnola (l’accusa che si muove a Guardiola e al Barça) ed entra in un campo della Patagonia, perdendosi. Messi ha dalla sua una esperienza ineguagliabile in rapporto all’età che potrebbe regalargli in futuro molte più vittorie e imprese di Maradona. Rimane la grande differenza di compierle in solitudine e la supremazia di essere arrivato prima, che quest’ultimo ha avuto. Entrambi, però, fanno parte di quel mondo di cose che aspirano all’unità compiuta e perfetta di Dio - come le Enneadi di Plotino - ma che possono essere rovinate dall’irrealtà della vita, quel dettaglio che ti fa perdere in finale. da Il Mattino

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