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Nick: Buendia
Oggetto: nel cuore di lévin
Data: 21/6/2010 18.10.51
Visite: 220

"perché si fa tutto questo? - egli pensava. - perché io sto qui, li costringo a lavorare? come mai sono tutti in faccende e cercano di far vedere alla mia presenza il proprio zelo? come mai si sforza questa vecchia matrjiòna, mia conoscente? (l'ho curata quando nell'incendio le cadde addosso la trave di sostegno), - egli pensava guardando una bàba magra che, movendo il grano col rastrello, camminava con sforzo per l'aia diseguale e scabra coi piedi nero-abbronzati. - allora è guarita, ma oggi o domani, fra dieci anni la sotterreranno e non rimarrà nulla né di lei, né di quest'elegantona con la giacchetta rossa, che toglie la spiga dalla mondiglia con un movimento così agile, delicato. anche lei sotterreranno, e questo castrone pezzato molto presto - egli pensava, guardando un cavallo che trascinava il ventre con fatica e respirava sovente con le narici gonfiate, oltrepassando una ruota inclinata che si moveva di sotto ad esso, - lo sotterreranno, e anche il porgitore fjòdor con la sua barba ricciuta, piena di mondiglia e la camicia strappata sulla spalla bianca, lo sotterreranno. e lui rompe i covoni, e comanda qualcosa, e sgrida le bàby, e con un rapido movimento accomoda la cinghia del volante. e soprattutto non soltanto loro, ma me sotterreranno, e non ne rimarrà nulla. per che cosa?"

[...]

le parole dette dal muzik avevano prodotta nell'animo suo l'azione di una scintilla elettrica, che avesse trasformato e unito in una cosa sola tutto uno sciame di pensieri scompagnati, impotenti, divisi, che non avevano mai cessato di occuparlo. questi pensieri lo occupavano senza ch'egli stesso se n'accorgesse anche nel momento in cui parlava dell'assegnazione della terra.
sentiva nell'animo suo qualcosa di nuovo e palpava con godimento questa cosa nuova, non sapendo ancora che fosse.
"vivere non per i proprio bisogni, ma per dio. per quale dio? e cosa si può dire di più insensato di quel ch'egli ha detto? ha detto che non bisognava vivere per i propri bisogni, cioè che non bisogna vivere per quel che comprendiamo, verso cui siamo attratti, di cui sentiamo desiderio, ma bisogna vivere per qualcosa d'incomprensibile, per dio, che nessuno può capire, né definire. e allora? non ho capite queste insensate parole di fjòdor? e, capitele, ho dubitato della loro giustezza? le ho giudicate sciocche, poco chiare, inesatte? no, l'ho capito e proprio così come capisce lui, ho capito pienamente e con più chiarezza ch'io non capisca qualunque altra cosa nella vita, e mai nella mia vita ho dubitato né posso dubitare di questo. e non io solo, ma tutti, tutto il mondo capiscono pienamente questa sola cosa e di questa sola cosa non dubitano e vi consentono sempre.
e io cercavo dei miracoli, mi rammaricavo di non aver visto un miracolo, che mi avesse persuaso. un miracolo materiale mi avrebbe sedotto. ed ecco un miracolo, l'unico possibile, che esiste continuamente, che mi circonda da tutte le parti, e io non me n'accorgevo!
fjòdor dice che il portinaio kirìllov vive per la pancia. è comprensibile e ragionevole. noi tutti, come esseri ragionevoli, non possiamo vivere altrimenti che per la pancia. e a un tratto il medesimo fjòdor dice che vivere per la pancia è un male, ma bisogna vivere per la verità, per dio, e io lo capisco da un accenno! [...] io con tutte le persone ho soltanto un'unica conoscenza ferma, indubitabile e chiara; e questa conoscenza non può essere spiegata con la ragione: è all'infuori di essa e non ha nessuna causa e non può avere nessun effetto. se il bene ha una causa, non è più bene; se ha un effetto, la ricompensa, pure non è bene. perciò, il bene è all'infuori della catena delle cause e degli effetti. e questo appunto lo so, e tutti lo sappiamo, quale miracolo può mai esser più grande di questo? [...] prima dicevo che nel mio corpo, nel corpo di questo filo d'erba e di questo scarabeino (ecco che non ha voluto andar sul filo d'erba, ha raddrizzate le ali ed è volato via) si compieva secondo le leggi fisiche, chimiche, fisiologiche uno scambio di materia. e tutti noi, insieme con le alberelle, e con le nubi, e con le nebulose si compieva un'evoluzione. evoluzione da cosa? verso cosa? un'infinita evoluzione e lotta... come se ci potesse essere una direzione e una lotta nell'infinito! e mi stupivo che, malgrado la più gran tensione di pensiero su questa strada, non mi si scoprisse tuttavia il senso della vita: vivere per dio, per l'anima. e questo senso, malgrado la sua chiarezza, è misterioso e maraviglioso. tale è anche il senso di tutto ciò che esiste. sì, superbia", si diss'egli, buttandosi sul ventre e cominciando a legare a nodo gli steli delle erbe, cercando di non spezzarli.
"e non soltanto superbia dell'intelletto, ma sciocchezza dell'intelletto. e soprattutto marioleria, proprio marioleria dell'intelletto. proprio frode dell'intelletto", egli ripetè.
[...] avendo allora per la prima volta capito chiaramente che per ogni uomo e per lui innanzi non c'era nulla, oltre alla sofferenza, alla morte e all'eterno oblio, aveva presa la determinazione che così non si poteva vivere, che bisognava o spiegar la propria vita in modo che essa non apparisse la malvagia irrisione d'un qualche diavolo, o spararsi. ma non aveva fatta né l'una cosa, né l'altra, sibbene aveva seguitato a vivere, a pensare e a sentire e in quello stesso tempo aveva perfino preso moglie e provate molte gioie ed era stato felice, quando non pensava al significato della propria vita.
che significava mai questo? significava ch'egli aveva vissuto bene, ma aveva pensato male.
aveva vissuto (senza averne coscienza) di quelle verità spirituali che aveva succhiate col latte, e aveva pensato non soltanto senza riconoscere queste verità, ma eludendole con cura. adesso gli era chiaro che aveva potuto vivere soltanto grazie a quelle credenze in cui era stato educato. [...]
"io cercavo una risposta alla mia domanda. e la risposta alla mia domanda non poteva darmela il pensiero, esso è incommensurabile con la domanda. la risposta me l'ha data la stessa vita nella mia conoscenza di quel che è bene e di quel che è male. e questa conoscenza non l'ho acquistata con nulla, ma essa è data a me insieme con tutti, data perché non la potevo prendere da nessun posto.
di dove ho preso questo? son forse giunto con la ragione a concludere che bisogna amare il prossimo e non soffocarlo? me l'hanno detto nell'infanzia, e io ci ho creduto con gioia, perché mi avevano detto quello che avevo nell'animo. e chi l'ha scoperto? non la ragione. la ragione ha scoperta la lotta per l'esistenza e la legge che vuole siano soffocati tutti quelli che ostacolano il soddisfacimento dei miei desideri. è questa una deduzione della ragione. e che si debba amare un altro non poteva scoprirlo la ragione, perché è una cosa irragionevole".


lev tolstoj
tratto da "anna karenina"
jasnaja poljana , 1873



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