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Nick: Agarina
Oggetto: Casa di bambola
Data: 13/8/2010 0.42.22
Visite: 482

Tratto dal terzo atto di "Casa di bambola" di Henrik Ibsen
 
(Campanello alla porta d'ingresso.)


HELMER: Chi sarà a quest'ora? (A Nora): Va di là, presto nasconditi! (Nora non si muove, Helmer va ad aprire la porta.)


DOMESTICA (nell'anticamera): Una lettera per la signora.


HELMER: Datemela. (Afferra la lettera e chiude la porta.) È una lettera sua. La leggerò io.


NORA: Leggi.


HELMER (avvicinandosi alla lampada): Ne ho appena il coraggio. Adesso, vedremo... (Apre la lettera, scorre qualche riga, esamina un foglietto getta un grido di gioia): Nora!


(Nora lo interroga con lo,sguardo.)


Nora!... È proprio così…Sono salvo! Capisci? Salvo!


NORA: E io?


HELMER: Anche tu, beninteso. Siamo entrambi salvi. Guarda. Ti ha restituito l'obbligazione. Dice che deplora, si pente... un avvenimento inatteso cambierà la sua vita... Oh, poco importa ciò che scrive. Siamo salvi, Nora! Nessuno avrà da ridire sul conto tuo. Ah, Nora, Nora... distruggiamo innanzitutto questo orribile foglio. Si è trattato solo di un brutto sogno! (Strappa la lettera e l'obbligazione; le gettà nel camino e guarda la carta che brucia.) Ecco! Tutto è scomparso... Scriveva che dalla vigilia di Natale, tu... Oh, devono essere stati tre orribili giorni per te!


NORA: In quei tre giorni ho sostenuto una terribile lotta.


HELMER: E ti sei disperata; non vedevi altra via d'uscita... No, dimenticheremo tutti quegli orrori. Festeggeremo la nostra liberazione, ripetendo continuamente: è finito, è finito. Andiamo, non fare quel viso. Credi che non abbia perdonato? Ma sì che ho perdonato, te lo giuro. Lo so che quello che hai fatto, lo hai fatto per amor mio.


NORA: È vero.


HELMER: Mi hai amato come una moglie deve amare suo marito. Soltanto, hai sbagliato nella scelta dei mezzi. Ma credi forse che tu mi sia meno cara perché hai bisogno di essere guidata? No, no, appoggiati a me: troverai aiuto e consiglio. Non sarei un uomo se la tua inesperienza femminile non mi ispirasse un gran desiderio di difenderti. Dimentica le brutte parole che ti ho dette nel primo momento di esasperazione, quando credevo che tutto crollasse attorno a me. Ti ho perdonato, Nora, ti giuro che ti ho perdonato.


NORA: Ti ringrazio per il tuo perdono. (Esce dalla porta di destra. )


HELMER: No, rimani. (La segue con lo sguardo.) Perché vuoi andare di là?


NORA (dalla sua camera): Mi tolgo il costume.


HELMER (vicino alla porta): Brava, cerca di calmarti, di riprenderti, mio piccolo uccellino spaurito. Riposa, io ho larghe ali per proteggerti. Com'è tranquillo e confortevole il nostro nido! Qui sei al riparo: la colomba si è salvata dall'avvoltoio. Saprò calmare il tuo povero cuore che batte così forte. A poco a poco ci riuscirò, credimi. Domani, vedrai tutto sotto un'altra luce. Tutto ritornerà ad essere come prima. Non avrò bisogno di ripeterti che ti ho perdonata. Te ne renderai conto da te. Come puoi credere ch'io voglia respingerti o farti dei rimproveri? Per un uomo è così dolce perdonare veramente, con tutto il cuore. Si ha l'impressione che la creatura perdonata rinasca, diventi al tempo stesso moglie e figlia. E io ti vedo così, Nora, mia povera Nora smarrita. Non darti pensiero. Sii sempre sincera con me, e io sarò la tua coscienza e la tua volontà. (Nora rientra. Ha l'abito di tutti i giorni.) Non sei andata a letto? Ti sei cambiata?


NORA: Si, mi sono cambiata.


HELMER: A quest'ora? Perché?


NORA: Non dormirò questa notte.


HELMER: Ma Nora...


NORA (guardando l'orologio): Non è poi così tardi. Siediti Torvald. Dobbiamo parlare.


HELMER: Che significa tutto questo? Mi serbi rancore?


NORA: Siediti. Sarà una lunga conversazione. Abbiamo molte cose da dirci.


HELMER (sedendo): Mi preoccupi, Nora. Non ti capisco.


NORA: Dici bene: non mi comprendi. E anch'io, non ti ho mai compreso... Sino a stasera. Non m'interrompere. Ascolta ciò che dico... Siamo arrivati alla resa dei conti.


HELMER: Quali conti?


NORA (dopo una pausa): Eccoci qui, seduti l'uno di fronte all'altra; non significa nulla per te?


HELMER: Che cosa?


NORA: Siamo sposati da otto anni. Ed è la prima volta che ci parliamo seriamente, come marito e moglie. Riflettici.


HELMER: Seriamente, sì... che vuoi dire?


NORA: Otto anni sono passati... e anche più, tenendo conto del periodo in cui ci siamo conosciuti, e in tutto questo tempo non ci siamo mai scambiata una parola seria su un argomento serio.


HELMER: Dovevo renderti partecipe, forse delle mie pene, che non avresti potuto alleviare?


NORA: Non parlo di sofferenze. Voglio dire che mai, in nessuna occasione, noi abbiamo cercato di discutere, di riflettere insieme sulla realtà delle cose.


HELMER: Ma questo, cara Nora, non era affar tuo!


NORA: Eccoci al punto! Non mi hai mai capita... Siete stati molto ingiusti con me, Torvald; papà prima, tu dopo.


HELMER: Come? Noi che ti abbiamo voluto un bene infinito?


NORA (scuotendo la testa): Non mi avete mai voluto veramente bene. Vi divertiva rimanere in adorazione davanti a me, ecco tutto.


HELMER: Che significa questo modo di parlare?


NORA: È così Torvald: quando stavo con mio padre, egli mi esponeva le sue idee, e io le condividevo. Se pensavo diversamente, non me ne facevo accorgere. La cosa lo avrebbe contrariato. Mi chiamava la sua piccola bambola, e giocava con me, come io giocavo con le mie bambole. Poi, sono entrata in casa tua...


HELMER: Adoperi delle strane espressioni per parlare del nostro matrimonio.


NORA (senza lasciarsi interrompere): Voglio dire che dalle mani di mio padre, sono passata nelle tue. Tu hai sistemato tutto secondo i tuoi gusti, e io li condividevo, o almeno facevo finta di accettarli. Non lo so. Forse un po' una cosa, e un po' l'altra. Se guardo al passato, mi sembra di essere vissuta qui come una mendicante: alla giornata. Per guadagnarmi da vivere ho dovuto fare delle piroette per te, e questo ti divertiva tanto! Tu e papà avete molti torti con me. È colpa vostra se sono diventata un nulla.


HELMER: Sei assurda, Nora. Assurda e ingrata. Non sei stata felice in questa casa?


NORA: Mai. Credevo di esserlo, ma non lo sono mai stata.


HELMER: Non eri... Non eri felice?


NORA: No: soltanto allegra, ecco. Eri molto carino con me: ma la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita! Con mio padre, una bambola-figlia; con te, una bambola-moglie. E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos'è stata la nostra unione, Torvald.


HELMER: C'è qualcosa di vero in quello che dici... per quanto tu esageri. Ma, per il futuro, questo cambierà. È passato il tempo della ricreazione, adesso viene quello dell'educazione.


NORA: Quale educazione, la mia o quella dei nostri figli?


HELMER: Entrambe, cara Nora.


NORA: Mio povero Torvald, non sei l'uomo che possa educarmi in modo da farmi diventare la moglie che ti necessita.


HELMER: E sei tu a dirlo?


NORA: Proprio io. Come potrei educare i ragazzi?


HELMER: Nora!


NORA: Scusa, non hai detto un momento fa che non avresti osato affidarmi un simile compito?


HELMER: L'ho detto in un momento di rabbia. Non sono parole alle quali dar peso.


NORA: Eppure l'hai detto molto seriamente. È un compito superiore alle mie forze, perché io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi, devo fare da sola. Per questo ti lascio.


HELMER (alzandosi di scatto): Cosa dici?


NORA: Devo essere sola per capire me stessa per conoscermi e conoscere chi mi sta attorno. Non posso dunque restare con te.


HELMER: Nora!


NORA: Voglio andarmene subito. Karsten mi ospiterà per stanotte.


HELMER: Hai perduto la testa. Non andartene. Te lo proibisco.


NORA: Ormai non puoi impedirmi niente. Porto con me la mia roba. Da te non voglio, né vorrò mai nulla.


HELMER: Sei pazza!


NORA: Domani andrò a casa mia, voglio dire al mio paese...Lì troverò più facilmente da vivere.


HELMER: Con la tua inesperienza? [Cieca che non sei altro!]


NORA: Cercherò di imparare, Torvald.


HELMER: Abbandonare il tuo focolare, tuo marito, i tuoi figli! Non pensi a quello che dirà la gente?


NORA: Questo non basta a trattenermi dal farlo. So soltanto che non c'è altra soluzione per me.


HELMER: Tutto questo è rivoltante! Così, sei pronta a tradire i tuoi doveri più sacri?


NORA: Che intendi per sacri doveri?


HELMER: E debbo dirtelo io? Quelli che hai verso tuo marito e i tuoi figli.


NORA: Ne ho altri non meno sacri.


HELMER: Non è vero. Di quali doveri parli?


NORA: Dei doveri verso me stessa.


HELMER: Prima d'ogni altra cosa, tu sei sposa e madre.


NORA: Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu... o che almeno devo sforzarmi di diventarlo. So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di provare a vederci chiaro,


HELMER: La tua idea dev'essere la famiglia. Hai una guida infallibile: la religione.


NORA: Povera me. Sono così ignorante in fatto di religione! Ricordo solo le parole che mi diceva il pastore Hansen alla vigilia della prima comunione. Ma non bastano. Quando sarò sola e libera rifletterò anche sulla religione, e vedrò se il pastore aveva detto la verità o almeno se la sua verità era valida per me.


HELMER: Mi sbalordisci! Una donna che parla così! Ma se la religione non può guidarti, consulta almeno la tua coscienza. Perché suppongo che tu abbia, almeno, il senso morale. O, per caso, ne sei sprovvista? Rispondimi! .


NORA: Non posso risponderti. Non riesco a ritrovarmi nel tuo mondo. So soltanto una cosa: che le mie idee differiscono totalmente dalle tue. Anche le leggi non sono quelle che credevo. Che siano leggi giuste, ecco una cosa che non mi entra in testa. Risparmiare un'angoscia al padre morente; salvare la vita al marito, non sarebbe dunque un diritto per qualsiasi donna? .Non può essere così!


HELMER: Parli come una bambina; non capisci nulla della società della quale fai parte.


NORA: Hai ragione, non la capisco. Per questo voglio veder chiaro. Per accertarmi chi di noi due ha ragione; la società oppure io.


HELMER: Sei ammalata, Nora; hai la febbre. Stai delirando.


NORA: Non ho mai avuto la mente così lucida. [Non sono mai stata tanto sicura delle mie azioni].


HELMER: Ed è a mente lucida che abbandoni me e i bambini?


NORA:Sì.


HELMER (dopo una pausa): Non c'è che una spiegazione possibile: non mi ami più.


NORA: È vero. È così.


HELMER: E me lo dici tanto tranquillamente!


NORA: No, Torvald, te lo dico con immenso dolore, perché sei sempre stato tanto buono con me. Ma non so che farci: non ti amo più.


HELMER (contenendosi a stento): Ne sei proprio certa?


NORA: Assolutamente. Ecco perché non posso rimanere in questa casa.


HELMER: Vuoi dirmi in che modo ho perduto il. tuo amore?


NORA: Certamente. Stasera, quando non ho visto avverarsi il prodigio che aspettavo. Mi sono resa conto, allora, che non eri l'uomo che credevo.


HELMER: Spiegati meglio. Non capisco.


NORA: Per otto anni ho pazientato ed atteso. Sapevo che i miracoli non avvengono tutti i giorni. Finalmente, è scoccata questa ora di angoscia. E, allora, mi son detta: «ecco, il prodigio sta per compiersi». Mentre la lettera di Krogstad era là, nella cassetta, non mi è nemmeno balenata l'idea che tu potessi piegarti alle condizioni che ti avrebbe dettato quell'uomo. Ero certa che gli avresti detto senza esitare: «Suvvia, pubblichi quel che le pare». E se Krogstad lo avesse fatto...


HELMER: Tu saresti stata vittima del disprezzo di tutti.


NORA: Ammesso anche questo, ero sicura che tu non avresti esitato a farti avanti e a dire: il colpevole sono io.


 HELMER: Nora!


NORA: Tu vuoi dire che non avrei mai accettato un simile sacrificio. Senza dubbio. [Ma le mie affermazioni non sarebbero valse a nulla... Ebbene, era quello il miracolo che aspettavo con trepidazione. Ed era per impedirlo che volevo morire.]


HELMER: Io posso lavorare giorno e notte, sopportare ogni dolore per te; ma nessuno sacrifica l'onore a chi ama.


NORA: Centinaia di migliaia di donne lo hanno fatto!


HELMER: Non ragioni: continui a parlare puerilmente.


NORA: Può darsi. Ma tu non pensi e non parli come l'uomo di cui possa essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l'angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. E io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t'eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. (Si alza.) Ascolta, Torvald; ho capito in quell'attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli... Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!


HELMER: Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme...


NORA: Guardami come sono: non posso essere tua moglie.


HELMER: Ma io ho la forza di diventare un altro.


NORA: Forse, quando non avrai più la tua bambola.


HELMER: Separarci, Nora? Separarmi da te? No, no, non mi rassegno.


NORA (dirigendosi nella stanza di destra): Motivo di più per decidersi. (Esce e ritorna col mantello, il cappello, e una valigetta che depone su una sedia, vicino alla tavola.)


HELMER: Aspetta domani. Ancora no, ancora no!


NORA (mettendosi il mantello): Non posso restare nella casa di un estraneo.


HELMER: Resta come una sorella.


NORA (mettendosi il cappello): Sai bene che questo non durerebbe a lungo. (Si mette una sciarpa.) Addio, Torvald, non voglio vedere i bambini. Sono, del resto, in mani migliori delle mie. Adesso, non potrei più essere una madre per loro.


HELMER: Ma un giorno, Nora... un giorno?


NORA: Come posso risponderti? Non so quello che accadrà di me, non conosco la donna che diventerò.


HELMER: Ma tu sei, rimarrai mia moglie, chiunque tu sia, chiunque tu divenga.


NORA: Quando una donna abbandona la sua casa, come faccio stanotte, le leggi, mi sembra, sciolgono il marito da ogni impegno. Sia ben chiaro, comunque, che tu, per me, sei libero. Come sono libera io. Assoluta libertà da una parte e dall'altra. Ecco il tuo anello. Dammi il mio.


HELMER: Anche questo?


NORA: Sì.


[HELMER: Eccolo.]


NORA: Grazie. E adesso tutto è finito. Le chiavi sono là. Per dirigere la casa, Helene è pratica. Più di me. Domani, dopo la mia partenza, Karsten verrà a prendere la mia roba e me la manderà.


HELMER: Tutto è finito. Penserai a me qualche,volta?


 NORA: Certo che penserò spesso a te, e ai bambini, e alla casa.


HELMER: Posso scriverti?


NORA: No. Te lo proibisco.


HELMER: Potrò almeno mandarti...


NORA: Niente, niente...


HELMER: Aiutarti, se ne avrai bisogno...


NORA: No; non accetto nulla da un estraneo.


HELMER: Resterò sempre un estraneo per te?


NORA (prendendo la valigetta): Oh, Torvald, dovrebbe accadere il più grande dei miracoli.


HELMER: Quale?


NORA: Dovremmo entrambi trasformarci a tal punto... Ma io non credo più nei miracoli.


HELMER: Ma io voglio crederei. Continua: dovremmo tra¬sformarci a tal punto che...?


NORA: A tal punto che la nostra unione divenga un vero matrimonio. Addio. (Esce.)


HELMER (si accascia su una sedia, vicino alla porta, e coprendosi il viso con le mani): Nora, Nora! (Pausa. Alza la testa, si guarda attorno.) Il vuoto! È andata via! (Si ferma come per attendere qualche cosa. Poi, con speranza improvvisa): Il più grande dei miracoli? (Si sente fuori scena il tonfo della portà di casa che si richiude.)




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Casa di bambola   13/8/2010 0.42.22 (481 visite)   Agarina

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