Nick: alylia Oggetto: Dipende tutto dall'infanzia Data: 24/5/2011 22.14.31 Visite: 505
è lunghetto ma vale la pena leggerlo
-----DIPENDE TUTTO DALL'INFANZIA (include corso accelerato di scrittura non troppo creativa con esempi)
[...] Ora, non vorrei passare per cinico. Quando Nives mi ha raccontato la storia del piccolo trauma infantile che le ha segnato la vita mi sono addirittura intenerito, tant'è che le ho preso la mano e poi ci siamo abbracciati dolcemente(okay, all'epoca non l'avevo ancora scopata, ma giuro ch'ero mosso da sincero impeto di consolazione). Capisco che una bambina di nove anni assalita da infondata tristezza resti malissimo davanti a una tale dimostrazione di cinismo materno. Perchè è chiaro che la tristezza esiste. E viene quando vuole, un po' come gli starnuti. Solo che non puoi metterti un maglione addosso per fartela passare. Una bambina che si senta infondatamente triste in un pomeriggio all'improvviso(e tra l'altro, adesso che ci penso, sarebbe di fondamentale importanza sapere se era domenica) dovrebbe vedersi riconosciuto il diritto costituzionale, ma nel senso della costituzione biologica, di contare su un genitore che le spieghi che sentirsi infelici senza motivo è una cosa che capita, e non è il caso di disperarsi, perchè poi passa. Ma per prestare questo tipo di assistenza bisogna essere disposti ad accogliere la richiesta di aiuto che si esprime nel lamento di infelicità immotivata e quindi, almeno un po' , riconoscerla. E il problema è che al mondo ci sono persone, anche persone mamme, che non credono all'infelicità immotivata(forse perchè conoscono quella motivata). Per cui, molto semplicemente, non accolgono la richiesta. E non lo fanno mica per egoismo o strafottenza: è proprio che non ci stanno, all'apertura della questione teologica. Perchè è chiaro che nessuno può convincere nessun altro dell'esistenza di una cosa. O si crede o non si crede, e questo è quanto. Una madre che rifiuta di accollarsi le paturnie di una bambina immotivatamente infelice non ci crede. E' un po' come il dottore di fronte all'ipocondriaco: tende a squalificare con pochissimo impegno sintomatologie sceneggiate con dovizia di particolari. Io, se volete che vi dica come la penso al riguardo, fondamentalmente invidio le persone come mia suocera. Quelle che vanno per evidenza e priorità. Che sbrigano faccende. Che risolvono la molestia delle giornate tristi con un'alzata di spalle. Che credono che l'anima esisterà pure, ma non per questo bisogna affondarci il naso dentro. Che non prendono così sul serio i propri pensieri, e quindi non stanno continuamente a ripensarli, rifinirli, modificarli, ritrattarli. Perchè io, al contrario delle persone come Ass, sono succube delle cose che penso. E magari le pensassi una volta per tutte. I miei pensieri vanno e vengono dalla mia testa con una libertà, una promiscuità, una tale ostinazione nell'impedirmi di prendere una sola decisione veramente convinta, che mi debilita avere a che fare con loro. Sono delle gran troie, questa è la verità. Vorrei che la piantassero di usarmi come albergo, farsi consolare e assistere dopo che se ne sono andati a combinare cazzate in giro. Che una buona volta si accontentassero del titolare e mi restassero fedeli. Se dovessi indicare il principale dei miei difetti, quello di cui più avverto la ricorrenza nei rapporti che instauro con gli altri, direi che è la mia tendenza a rimuginare. Io rimugino tantissimo. Quando cammino. Quando lavoro. Quando mi diverto. Quando mi compiango. Quando faccio l'amore. Soprattutto quando non lo faccio(che poi, se uno ci pensa, rimuginare è un'attività da psicopatici. Perchè si rimugina sull'accaduto, e l'accaduto - come dice la parola stessa - è già accaduto. Per cui è chiaro che affliggersi su faccende insuscettibili di modifica è un piacere morboso, una necrofilia intellettuale, una pratica masochista). Bene, il faccio di peggio: a volte mi lascio prendere così tanto dai rimuginamenti che addirittura scrivo. Riempio cartelle Word nella speranza di trovare le parole giuste per fissare un punto di vista e tendenzialemnte non cambiarlo più. Faccio notte, quando proprio mi fisso. E poi mi dico "Ma sei scemo, cosa devi scrivere, un libro?". Certe notti, come dice il famoso cantante, mi sembra di approdare a delle conclusioni, come dire, di interesse pubblico, e vado a dormire soddisfatto. Poi, dopo un paio di giorni, quando le mie opinioni cominciano a vacillare, riaccendo il computer, apro il file Rim.doc., rileggo, e non trovo una sola frase che mi convinca. Mi sembra tutto combinato, fasullo. Effetto bilancio falsificato(se sapessi leggere un bilancio). Con le frasi-tubo avvitate una all'altra per farle stare insieme e formare un impianto, invece di lasciarle libere di andare per i fatti loro e ognuna con la sua forma, come i ramoscelli di una pianta, non so se mi spiego. Se c' è una cosa che ho capito cestinando in un attimo di lucida irritazione lunghi file su cui ero stato per ore intere, è che si nota subito se chi scrive è disinteressato o persegue uno scopo. Perchè nel primo caso la scrittura si capisce, anche se è difficile. Nel secondo, invece, hai bisogno di rileggere, e anche dopo la rilettura ti resta un certo margine di confusione, così vai avanti ancora un po' pensando che capirai meglio strada facendo(come succede per i giochi di società, quando all'inizio di spiegano le regole, tu non hai voglia di concentrarti e la tagli corta dicendo "Va be', iniziamo a giocare"), e alla fine, visto che comunque non capisci(o meglio: non ti fidi di quello che ti sembra di aver capito), provi dell'autentico fastidio per lo sforzo che hai dovuto ocmpiere, come avessi cercato di fare un favore a qualcuno che non lo meritvata. Quando uno scrive così, cioè perseguendo uno scopo, infarcendo le frasi di sinonimi, avverbi e concetti allusi ma mai completamente espressi, vuol dire che sta cercando d'imbrogliare qualcuno(se stesso o gli altri, poco conta). Personalmente, credo di conoscere piuttosto bene la differenza tra scrittura disenteressata e scrittura utilitaristica perchè nella mia, diciamo, professione, sono tenuto a utilizzare la seconta, che cozza inevitabilmente contro la prima(e che non a caso pratico di notte). La scrittura avvocatesca, infatti, è giustappunto una scrittura volta al raggiungimento di un utile.
[...]
Facciamo un bell'esempio concreto di scrittura utilitaristica e scrittura disinteressata. Un esempio che mi riguarda, essendone io l'autore: ma mi esaminerò come un entomologo esamina un insetto, giuro. Es. di scrittura utilitaristica(fonte: file Rim.doc di Vincenzo Malinconico, nascosto in cartella "Fotografie Happy Village - Marina di Camerota, luglio 2004"
Dovremmo forse iniziare a pensare che questa relazione non migliora le nostre vite, anzi le complica. Proviamo allora a domandarci cosa fra noi si è rotto, e perchè. Poi, insieme, troviamo la soluzione meno dolorosa per entrambi.
Come risulta evidente, la scrittura che governa queste frasi striscia su un'ipocrisia dissimulata in modo anche piuttosto grossolano. E' una scrittura rettile, che prende alla lontana il suo oggetto e gli gira intorno aspettando il momento opportuno per addentarlo. L'autore finge di partire dalla prospettiva di un dubbio(prima di atterrare sul verbo pensare - già di per sè poco impegnativo - si para il culo con un "forse", e poi se lo blinda ulteriormente con un "iniziare a", come se neanche quello del pensare fosse uno sforzo che è disposto a compiere fino in fondo), mentre si capisce benissimo che ha le idee molto chiare al riguardo; quindi, siccome il fardello della separazione(che poi è il vero obiettivo del rettile) non vuole caricarselo tutto lui, cerca subdolamente di smollarne metà all'altra parte del rapporto sentimentale in crisi, invitandola finanche a un metaforico protocollo d'intesa, un briefing sentimentale finalizzato a discutere di un problema che in realtà sta già esattamente come risolvere(cioè mollando la tipa facendole però credere che la separazione sia avvenuta di comune accordo). Insomma, una cosa ignobile.
Proviamo adesso a scrivere la stessa cosa(più esattamente: a trattare il medesimo tema dell'Amore Alla Frutta) in modalità gratuita. Ecco un esempio del testo che potrebbe venir fuori(o meglio: il testo che ho scritto dopo lo scuorno provato in seguito alla rilettura di quello che avevo precedentemetne steso in modalità utilitaristica):
Accetta la stronzissima realtà, Vince'. Vi siete impantanati. Stare lì a chiederti come e quando è successo è una perdita di tempo. La realtà è che vi guardate in faccia e parlate d'altro. L'unico problema a questo punto è: chi parla per primo?
Come vedete, il cambio di registro è stato così repentino da indurre l'autore a rinunciare di schianto all'ipocrisia della prima eprsona, dandosi addirittura del tu. Uno sdoppiamento necessario per pervenire alla soppressioen del rettile(un insegnamento da trarre, a questo punto, potrebbe essere: "Se vuoi scrivere, sopprimi il rettile che è in te"), riacquistare il controllo degli eventi in corso e quindi di rompere l'omertà che governava la sua scrittura in modalità utilitaristica. Da qui in avanti, è tutta discesa: l'autore prende il tema per le corna, e senza tanti giri di parole scrive: "Vi siete impantanati"; quindi, con una sola battuta, sputtana il clichè del risalire all'origine del guasto, limitandosi all'accettazione della sua irreparabilità(perchè uno, ci sono guasti che non si riparano; e due, anche ammesso, di qeusti tempi non vale la pena spendere in riparazioni). A quel punto la ritrovata fiducia nella verità gli permette di lanciare sul tavolo la metafora, cinica ma eloquente come la scena di un film, del "guardarsi in faccia e parlare d'altro", che poi è la descrizione puntuale che si crea fra due persone che hanno smesso di amarsi. Ora, anche se mi rendo conto che è una domanda viziata, riconfrontate gli esempi sopra riportati, e dite quale delle due modalità di scrittura preferite. Secondo me, i libri veramente belli sono tutti scritti in modalità gratuita. Prendete "Il giovane Holden". E' uno dei libri più disinteressati che abbia mai letto. Per questo vende ancora così tanto. Penso.
Com'è che sono arrivato fin qua? Ah, sì, la faccenda dell'invidia delle persone come mia suocera, che beneficiando di una concezione semplificata della vita, la contrario di noi rimuginatori, che ce la intossichiamo rimuginando e poi usiamo la scrittura come strumento di riequilibrio.
Volete sapere perchè scrivo? Qual è la vera ragione, la più asciutta, quella prorpio inoppugnabile al netto di ogni chiacchiera? Ve la dico: per avere il tempo di dare la risposta giusta. Il mio problema è che manco di prontezza. Ecco perchè detesto i miei pensieri. Se invece di avvitarsi su tutto mi offrissero una valutazione sintetica delle cose che capitano, allora sì che riuscire a rispondere a tono(e soprattutto a tema) nel momento in cui serve. La risposta che avrei dovuto dare mi viene semrpe quando torno a casa. Precisamente, nell'atto d'infilare la chiave nella serratura del portone. E' allora che mi compare davanti agli occhi, ma proprio come se la vedessi, una frase compatta, essenziale, musicale, d'impeccabile logica; che inibirebbe qualsiasi tentativo di replica. E a quel punto mi mangio i gomiti. Perchè non posso certo alzare il teletono, chiamare la persona che ha vinto il match dialettico e dirle "Ehi, comunque, a proposito della nostra discussione, vorrei aggiungere che..." Non si può. Non vale più. Nella vita vera non posso cancellare, tornare indietro, ripensare a quello che ho detto, correggerlo. Allora scrivo. Per prendermi la rivincita sulle parole. Per raccontare come sarebbe andata se avessi scelto quelle giuste.----
Tratto da "Mia suocera beve" di DIEGO DE SILVA - il séguito di "Non avevo capito niente" Love, peace and harmony? Love, peace and harmony? Oh, very nice, very nice, very nice, very nice... but maybe in the next world (cit.) |