Nick: hightecno Oggetto: eros & pathos (cap XXIII) Data: 6/9/2004 14.30.55 Visite: 64
Per quanto discutibile, è opinione diffusa che la condizione umana ottimale coincida con l'assenza di tensione, con il reciproco e perfetto livellamento dei vari sistemi psicofisici. Questa sarebbe dunque la meta virtuale di ogni agire umano. A ben vedere, però, si tratta di un'affermazione e di un ordine di idee piuttosto riduttivi, che mal descrivono e sintetizzano la vasta e complessa pluralità delle motivazioni umane. fungere da elemento esemplificativo di questo discorso, ben si presta la dimensione amorosa. Spesso la vita ci impone di confrontarci con una tematica estremamente dolorosa come quella dell'amore impossibile. Capita di frequente che persone, donne come uomini, vengano catturati da un amore sbagliato, che li rende prigionieri di un rapporto, di situazioni sentimentali, in cui l'altro è un individuo «non adeguato»: che beve, che tradisce, che non si dona, che non si assume responsabilità, che gioca e perde denaro, che si esprime e agisce con violenza. Situazioni che gli stessi protagonisti descrivono come insostenibili, caratterizzate da una sofferenza notevole, e che pure essi si ostinano a mantenere in piedi, devolvendo una considerevole quantità di energia psichica, di sentimento, di tempo e, in molti casi, anche di denaro. Quando ci si confronta con situazioni simili come «esterni», come consiglieri, amici, o come esperti di relazioni umane, ci si rende subito conto che «qualcosa non va»: che sembra inspiegabile appartenere e aderire ad amori così poco gratificanti, in cui l'altro è talmente inaffidabile da minacciare l'autostima del soggetto, da tenerlo continuamente sottoposto ad una tensione psichica notevolissima, con domande e autoflagellazioni del tipo: «forse è colpa mia se non riesce ad amarmi», «forse sono io che chiedo troppo» e, soprattutto, «forse prima o poi cambierà...»; frasi che ci testimoniano da un lato la totale cecità dinanzi all'evidenza - che a un terzo occhio risulta indubbia - dell'infelicità cui essi andrebbero incontro se prolungassero la storia, e dall'altro il mistero di una pulsione inconscia che muove verso l'oggetto d'amore nonostante le frustrazioni che ne deri-vano continuamente. E allora, dovremmo domandarci, l'individuo cerca realmente l'equilibrio omeostatico, o non lo vive piuttosto come una morte? Parlare di «masochismo» in questi casi è opportuno ma non riesce a svelarci fino in fondo il mistero di queste strane appartenenze. Che cosa sta accadendo in situazioni di questo tipo? Cosa ricerca la psiche? Evidentemente non cerca l'equilibrio omeostatico! Qui la psiche va alla ricerca di ciò che frustra, che impedisce di dormire, che genera malinconia, drammi, gelosia. Perché? Perché ciò cui tendiamo, non è tanto la quiete atarassica quanto il vivificante e dinamico movimento delle emozioni, dei sentimenti, degli stati d'animo. Così come la dottrina cinese ci insegna, quando il sole giunge al suo zenit deve tramontare, deve venire la notte. Troppo sole, troppa luce, troppo benessere, troppa sollecitudine richiamano nella psiche il bisogno di una compensazione. La luce diurna che illumina la coscienza non basta più a nutrire l'anima del suo bisogno di Eros, e allora si cerca nelle profondità dell'anima ciò che nella pulita superficie della coscienza non si riesce a trovare. Noi abbiamo bisogno di profondità e di complessità tanto quanto ne abbiamo di pace e di serenità. Temiamo come la morte la stasi psicologica, e in effetti è proprio così: ciò che non si muove stagna, imputridisce. Questo non sta a significare che dobbiamo vivere sempre situazioni sbagliate per poter maturare. Anche una continua sequela di amori sbagliati è in realtà indice di stagnazione: siamo «fermi», «bloccati» in una dimensione narcisistica tale che l'amore «sbagliato» in tal caso serve a mantenerci proprio in quello stallo, perché non ci consente di metterci in discussione. La coazione a ripetere è un tentativo di superamento, ma non è ancora «trasformazione». La trasformazione psichica si ha solo nel momento in cui la sofferenza ribalta il nostro modo di guardare a noi stessi e all'esperienza con l'altro. Solo quando non diamo più giustificazione alcuna al nostro comportamento iniziamo a cambiare. Finché pensiamo che «forse cambierà...», restiamo ancorati alle nostre false certezze, al nostro equilibrio precario. Certamente ciò che è valido e da sottolineare è il fatto che la psiche ricerca tanto la soluzione del conflitto quanto la fiamma che accende il conflitto stesso. Nella stasi non possiamo vivere, e la lotta ci affatica: per rigenerarci abbiamo bisogno di movimento e di un continuo, vivificante scambio con la nostra psiche.
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