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Nick: Bardamu
Oggetto: terra mia
Data: 10/12/2012 20.44.3
Visite: 11940

di Rosaria Capacchione
In primavera, il confine è segnalato dai rachitici ciuffi di erba che nascono e crescono sempre più radi, sempre più gialli. Anno dopo anno, assorbono i metalli pesanti nascosti sotto un palmo di terra e rilasciano all’esterno l’immagine della vegetazione asfittica che più di ogni altra denuncia l’avvelenamento dei fondi agricoli.

D’inverno, quando non c’è più il foraggio a delimitare l’area delle ecomafie, bisogna ricorrere al satellite o ai fotogrammi scattati dall’alto dagli elicotteri di ricognizione e dai droni. E si scopre che il veleno si è infiltrato a chiazze, seguendo il percorso sotterraneo della falda acquifera, desertificando appezzamenti che furono fertilissimi; bruciandone altri, corrosi dagli acidi e dal cromo dei fanghi dei depuratori. Masseria del Pozzo era una delle contrade più produttive dell’area di confine tra Parete e Giugliano. Come Schiavi, d’altronde. E Grotta dell’Olmo e Pozzo Bianco.

Oggi sono invasi neri, maleodoranti, dai quali fuoriescono rigagnoli di fanghiglia: percolato mischiato all’acqua della falda. Guardando verso l’interno degli immensi territori che furono la parte paludosa di Campania Felix - tra la Domiziana e il Massico, tra le province di Napoli e di Caserta - s’incrocia il non dissimile panorama di Ferrandelle, Parco Saurino, Maruzzella: campagne aride e grigie all’interno delle quali sopravvivono solo i fili d’erba cresciuti sui teloni neri che ricoprono i rifiuti.

Si ricollegano, idealmente, con gli altri teloni neri: quelli di Taverna del Re e Masseria del Re, che inglobano cava Giuliani, il più grande distretto d’immondizia della Campania. Più grande ancora di Malagrotta, la discarica romana che si appresta alla chiusura senza sostituzione. Tra Giugliano e Caserta, ancora macchie nere con l’impronta delle fiamme: è la terra dei fuochi, quella che congiunge - passando per la discarica casertana di Lo Uttaro - la periferia industriale napoletana, fino a Caivano, all’area dell’interporto di Marcianise e Maddaloni, una sorta di vulcano sempre attivo dalle cui bocche fuoriescono diossina e ceneri di penumatici. L’area del disastro ha un cratere di un centinaio di chilometri quadrati. Abbraccia il grande canalone dei Regi Lagni e i terreni di Scafarea, Tre Ponti e Taverna del Re, s’inerpica sino alle falde del Vesuvio, fino a Terzigno. E poi prosegue verso la zona flegrea, verso la montagna dei Camaldoli, verso Chiaiano.


È un triangolo costruito sui veleni, territorio contaminato dai rifiuti, urbani e industriali, raccolti nelle discariche abusive in oltre vent’anni di uso dissennato e criminale del territorio. Il perimetro è tracciato dalle inchieste giudiziarie degli ultimi anni, le stesse nelle quali il disastro è contestato come reato. Disastro documentato dalla scienza attraverso la perizia del geologo Giovanni Balestri che ha ricostruito la mappa del sottosuolo dell’area a nord di Napoli, compresa tra Giugliano, Parete, Villaricca, Qualiano, Villa Literno. La perizia è depositata nel processo a carico di Cipriano Chianese, titolare della discarica Resit, padre fondatore del sistema delle ecomafie. Vi è annotata la data della fine del mondo: entro il 2064, ha scritto il tecnico, il percolato prodotto da 341 mila tonnellate di rifiuti speciali pericolosi (a cominciare dagli ottomila quintali di fanghi dell’Acna di Cengio), di 160 mila e 500 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi, di 305 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, precipiterà nella falda e avvelenerà decine di chilometri quadrati di terreno e tutto ciò che lo abiterà.


Tra cinquant’anni lì si estinguerà ogni forma di vita. L’analisi non tiene conto delle risultanze delle ultime indagini e di quanto è accaduto nel distretto dei rifiuti gestito dall’Esercito durante l’emergenza del 2008. Ferrandelle, le piazzole di parco Saurino e di Villa Literno sono un concentrato di rifiuti urbani, di frazione umida non stabilizzata, di scarti speciali e pericolosi sversati con la coperta del codice Cer lasciapassare, quello che classificava i rifiuti sversati negli impianti aperti nell’inverno del 2008.


Un attentato all’ambiente accertato dalla Dda di Napoli, contestato dalla Procura a uomini dello Stato e non ai soliti ecomafiosi: la famiglia Roma, i fratelli Vassallo, Cipriano Chianese e quel Giuseppe Carandente Tartaglia, deus ex machina della discarica di Chiaiano e del sistema di trasporto dei rifiuti, che è l’uomo dei contatti tra Fibe-Fisia e la famiglia Zagaria.


Non esamina neppure, la perizia, i terreni concimati con i fanghi tossici spacciati per ammendante: metalli pesanti e sostanze chimiche che hanno avvelenato alla radice le coltivazioni di Trentola Ducenta, Ischitella, Lago Patria ma anche di parte del Mondragonese: zona di nettarine, di ortaggi di alta qualità, di Falerno e di mozzarella. Terreni desertificati dai veleni. Un’inchiesta congiunta delle Procure di Napoli, Santa Maria Capua Vetere e Nola ha documentato, anche attraverso foto e filmati, la morte repentina dei frutteti irrorati con i fanghi di depurazione o con l’acqua, esondata a causa di un nubifragio, del canalone dei Regi Lagni.


Frutteti uccisi dal cancro nel giro di una manciata di ore. La somma delle perizie del geologo Balestri, delle analisi dell’Arpac e delle Asl, dei rilievi geochimici, disegna il perimetro dell’area ad alta concentrazione di veleni che entrano nella catena alimentare e che sono causa, sostengono gli esperti di «Medici per l’ambiente», dell’altissima mortalità per malattie tumorali e del sistema linfatico. Area nella quale è ben visibile la mano della camorra, che ha gestito venticinque anni di traffico di rifiuti, e assente, invece, ogni traccia di bonifica: pure prevista per legge, pure finanziata, mai realizzata.



http://www.ilmattino.it/campania/caserta/la_perizia_annuncia_laquo2064_fine_del_mondoraquo_la_campania_felix_sara_un_deserto/appr/57119.shtml



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terra mia   10/12/2012 20.44.3 (11939 visite)   Bardamu

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