![]() | ![]() |
![]() |
1989-1991 Con la caduta del muro di Berlino, inizia un processo di disgregazione dell'Unione Sovietica. Diversi territori dell'Unione proclamano la loro indipendenza e l'autonomia dal governo centrale di Mosca.
Il 23 novembre 1990 iniziano in Cecenia i lavori di una conferenza nazionale. La conferenza si svolge nella capitale cecena, Grozny, dove si riunisce un gruppo di delegati in rappresentanza di tutti i gruppi etnici della Cecenia. Al termine dell'incontro, il 25 novembre del '90, i delegati della conferenza proclamano la separazione della Cecenia dall'Unione Sovietica, con una "dichiarazione di indipendenza e sovranita'" ratificata all'unanimita' dal parlamento della Repubblica Cecena il 27 novembre dello stesso anno.
Nell'agosto del 1991, Dzokar Dudayev, un ex generale dell'aviazione sovietica, sale al comando della Cecenia grazie ad un colpo di stato. Il 27 ottobre la conquista del potere da parte di Dudayev viene ufficializzata da un referendum con cui il popolo ceceno approva la dichiarazione di indipendenza del novembre '90 e assegna a Dudayev la presidenza della Repubblica Indipendente Cecena con l'84% dei voti. Il 2 novembre il parlamento sovietico dichiara illegale l'elezione di Dudayev.
Alla mezzanotte del 31 dicembre 1992 l'Unione Sovietica si scioglie ufficialmente. Il 13 marzo '93 viene firmato il trattato che stabilisce la nascita della Repubblica Federale Russa. La Cecenia rifiuta l'appartenenza alla Federazione Russa e decide di non firmare il trattato.
Il 2 aprile '93 il presidente Dudayev scioglie il parlamento, accentrando tutto il potere nelle sue mani. Si cerca di promuovere un referendum per dare ai ceceni la possibilita' di esprimersi sul "potere unico" del presidente, ma Dudayev stronca sul nascere il tentativo del referendum con l'intervento dei carri armati. Nei mesi seguenti la tensione in Cecenia cresce notevolmente, con un'escalation di violenza tra le forze fedeli al presidente Dudayev e quelle contrarie al suo potere. Da Mosca iniziano ad arrivare i primi segni di insofferenza.
Il 9 dicembre '94 il presidente Boris Eltsin autorizza un intervento armato contro la Cecenia, e l'11 dicembre i carri armati della Federazione Russa iniziano la loro avanzata verso Grozny. Vengono impiegati 40.000 soldati, appoggiati da aerei ed elicotteri. Il 19 gennaio '95 l'esercito russo entra a Grozny conquistando il palazzo presidenziale. La citta' viene brutalmente devastata, con migliaia di vittime tra la popolazione civile. A maggio i vertici militari russi dichiarano di aver conquistato le citta' principali e 2/3 del territorio ceceno. Cio' nonostante, nei mesi successivi inizia una delle piu' grandi sconfitte nella storia militare della Russia.
Gli attacchi dei ceceni costringono al ritiro le truppe della federazione, che cercano un accordo con i guerriglieri. Il generale russo Aleksandr Lebed si incontra a Khasavjurt, in Daghestan, con Aslan Maskhadov, portavoce della repubblica Cecena, per la firma di un accordo di pace. Maskhadov, ex capo di stato maggiore del'esercito ceceno, verra' eletto presidente il 27 gennaio '97, prendendo il posto di Dudayev, ucciso il 21 aprile '96 nel corso di un attacco aereo, e sostituito da Zelimkhan Iandarbev fino all'elezione di Maskhadov.
Il 27 agosto 1996 la firma dell'accordo di pace pone fine al primo sanguinoso conflitto tra la Cecenia e la Federazione Russa, una guerra durata 21 mesi e pagata con la vita di piu' del 10% della popolazione cecena e di circa 70 mila soldati russi.
L'accordo di pace dell'agosto '96 non e' tuttavia sufficiente per risolvere definitivamente la questione cecena. il testo firmato a Khasavjurt da Lebed e Maskhadov prevede semplicemente un periodo di 5 anni per definire lo statuto della Cecenia, e le posizioni delle due parti in conflitto rimangono inconciliabili Mosca continua a non riconoscere la sovranita' della Cecenia e gli indipendentisti, in virtu' del loro parziale successo militare contro le truppe della Federazione Russa, sono sempre piu' decisi nei loro propositi di distacco dalla federazione.
Nei mesi successivi all'accordo di pace la violenza in Cecenia non accenna a diminuire, a causa della crescente attivita' di alcune fazioni estremiste dell'esercito. Nell'estate del 1998 queste tensioni esplodono in una vera e propria battaglia tra le truppe regolari e i gruppi armati legati al fondamentalismo islamico. L'esercito regolare riesce ad avere la meglio, e il presidente Maskhadov annuncia di voler imporre forti restrizioni sulle attivita' delle milizie estremiste, ma pochi giorni dopo viene ferito in un attentato dove perdono la vita le sue guardie del corpo.
L'8 agosto '99 le milizie di Shamil Bassaev invadono la repubblica del Daghestan, cercando di instaurare uno "stato islamico" attraverso un raid militare. Costretti in un primo momento a ritirarsi, gli uomini di Bassaev compiono un altro fallimentare tentativo a settembre. Nell'autunno del '99 le citta' di Mosca, Volgodonsk, Buinaksk e Vladikavkaz sono sconvolte da una serie di attentati dinamitardi nel corso dei quali perdono la vita circa 300 persone. Le esplosioni vengono immediatamente attribuite a "terroristi ceceni".
Il 23 settembre '99 la Russia da' il via ad una nuova campagna militare contro la Cecenia, con una serie di attacchi aerei. Il primo ottobre le truppe russe entrano nel territorio ceceno, e il 16 dello stesso mese inizia l'avanzata verso Grozny. Il 23 ottobre le truppe russe chiudono la frontiera tra la Cecenia e l'Inguscezia, negando ai profughi l'unica via d'uscita.
A novembre gli Stati Uniti accusano la Russia di violazione delle convenzioni di Ginevra, e in autunno anche Amnesty International pubblica un rapporto sulla situazione in Cecenia, in cui si richiede "che il governo russo rispetti il diritto internazionale umanitario in materia di protezione di civili durante conflitti armati".
Il 6 dicembre '99 Boris Eltsin lancia un ultimatum agli abitanti di Grozny hanno a disposizione cinque giorni di tempo per evacuare la citta'. Il 18 dicembre le truppe russe entrano a Grozny, e la citta' si trasforma in un enorme campo di battaglia. Una lunga serie di raid aerei riduce la citta' a un cumulo di macerie. Durante i bombardamenti su Grozny, mentre migliaia di vittime civili vengono colpite senza pieta', l'Italia ratifica, con le leggi 398 e 397 del '99, due accordi firmati nel 1996 in merito alla cooperazione militare con la Russia.
Dal 31 marzo al 4 aprile 2000 Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, visita l'Inguscezia, il Daghestan e la Cecenia, e il 5 aprile, al termine della sua visita presenta un rapporto dettagliato alla commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in cui vengono descritte testimonianze oculari di omicidi di massa, bombardamenti di colonne di profughi e altre palesi violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie della Federazione Russa. Nel rapporto vengono segnalate anche le violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie cecene ai danni della popolazione civile durante l'invasione del Daghestan.
Il crollo del Muro, la dissoluzione della federazione, diede vita a molte tendenze nazionalistiche. E quando nel '91 salì al potere Yeltsin, e Gobaciov si dimise da capo del partito, nel nuovo assetto federale articolato in diverse entità territoriali, molte repubbliche dell'Unione dichiarano la loro indipendenza.
E fra queste, la Cecenia, che proclamò anch'essa l'indipendenza, che però - diversamente da altre repubbliche- non fu riconosciuta dal governo di Mosca. Anche perchè oltre all'antico sogno indipendentistico non gradito a Mosca i ceceni iniziarono subito a lottare per riprendersi dagli osseti i villaggi perduti durante la deportazione. Nelle via delle riforme gorbacioviane vi era stata una legge di "riabilitazione dei popoli repressi" ma non fu mai applicata per non far dispiacere alla minoranza di osseti, più servili agli ordini di Mosca, e capaci di dare appoggio con la loro vicina repubblica dell'Ossezia posta ai confini della Inguscezia-Cecenia.
E' l'inizio di un conflitto di questo piccolo Paese che anche se è a maggioranza islamica, i motivi religiosi non sono la causa prima, come non lo sono quelli ideologici. Nell'indipendenza entrarono soprattutto in gioco quelli economici, cioè il pieno possesso dei Ceceni del loro ricco territorio, rappresentati soprattutto dai 150.000 barili di greggio al giorno che Mosca estraeva dando in cambio al territorio quasi nulla.
Con poco più di 700.000 abitanti residenti la maggior parte a sud, con capitale Grozny , il piccolo Paese da qualche decennio era diventato per Mosca (e lo è ancora) sempre più strategicamente importante per la scoperta presso Malgobek di notevoli giacimenti di petrolio e di gas naturale. Non solo, ma la maggiore industria della Cecenia è quella meccanica che produce soprattutto macchinari e attrezzature proprio per l'industria petrolifera russa che è concentrata quasi tutta sul Caucaso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che ha - con l'indotto- parallelamente consentito -dopo il compimento di grandi opere di irrigazione- anche uno sviluppo di un'agricoltura specializzata lungo le rive del Terek e del Sunza, i due fiumi che attraversano il territorio della repubblica cecena.
Il braccio di ferro dei Ceceni decisi a riconquistarsi l'indipendenza e cacciare gli osseni dalle loro case, ha inizio nel 1992. Iniziano alcune sollevazione popolari, poi sfilate silenziose a Mosca, poi attentati dimostrativi, poi attentati con vittime, e non ottenendo nulla, si continuò con la guerriglia organizzata. Ma sempre di una guerra civile locale si trattava. Ma come sempre accade in questi contrasti si formano gruppi estremistici decisi a tutto. Mentre dall'altra parte demagogicamente si invocava la "sovranità dello Stato".
Infatti Mosca per stroncare le ribellioni indipendentistiche rispose dando aiuto agli osseni, partendo proprio dall'Ossezia per compiere raid aerei, che provocarono diverse migliaia di vittime tra militari e civili. La reazione a Mosca fu blanda, perchè nel 1993 Yeltisn nella grave crisi, tra barricate e scontri armati a Mosca, era molto impegnato per il vacillante potere, che riuscì però a conservare.
Proseguendo la guerriglia con tumulti e attentati, nel dicembre del 1994 Yeltisn decide di inviare le truppe di terra in Cecenia per stroncare i "ribelli", e nel febbraio successivo (1995) i militari dopo una strenua battaglia fra le vie della capitale, in qualche modo riuscirono ad occupare Grozny. Era ormai una guerra di fatto dichiarata. Tutti gli indipendentisti ceceni furono considerati ribelli, ma questi per nulla intimoriti erano decisi a resistere e cacciare gli invasori con la guerriglia e le azioni di sabotaggio. Azioni che preoccuparono non poco Mosca, soprattutto dopo la sanguinosa, fallita e quasi inutile invasione di Grozny (una battaglia che si svolse come una piccola Stalingrado, nelle vie, nelle piazze, fra le case).
Incapace a reagire, quando il 3 luglio del '96, Yeltisn vince le elezioni presidenziali, poche settimane dopo (il 14 agosto) incaricò il capo della sicurezza Alexander Lebed di iniziare delle trattative con il leader dei guerriglieri per porre fine alla guerra. Gli incontri furono brevi e molto positivi, fino al punto che pochi giorni dopo, il 31 agosto, i Ceceni firmarono un accordo di pace (Trattato di Khasavyurt). Le truppe russe avrebbero dovuto a breve termine sgomberare dalla Cecenia e dalla capitale Grozny; gli accordi erano del resto questi, anche se non fu stipulata una formale indipendenza o cos'altro in cambio, per soddisfare le rivendicazioni dei "ribelli" e per porre in definitiva fine al conflitto.
Ci fu anche (nel "partito della forza" a Mosca la chiamarono una vergognosa capitolazione) un lasciapassare per quei ribelli ceceni che nella guerriglia della capitale avevano preso degli ostaggi. Furono scambiati e tornarono in libertà.
Sembrava tutto finito nel miglior dei modi, invece le cose si complicarono, e i motivi non si conoscono. Yeltisn rimuove Lebed dalla carica di capo della sicurezza con l'accusa di insubordinazione. Che cosa ha combinato non si sa. Ma la prima conseguenza è che non si parla più di concessioni, il patto di pace diventa carta straccia, nè si parla più di ritiro truppe; queste sgomberano (o sono cacciate) da Grozny, ma la maggior parte si accampa nelle retrovie appena al di là del confine, nella vicina repubblica degli Osseni, e più precisamente a Beslan, un piccolo paese sede di un'antica fortezza al tempo degli zar.
A Beslan fin dal primo invio di truppe nel dicembra del '94, era stata messa la base militare, lì si erano concentrate le truppe russe pronte a schiacciare la rivolta indipendentista della Cecenia. Decine di cargo e di elicotteri vi sbarcarono paracadutisti, brigate d'assalto, reparti speciali, battaglioni meccanizzati; e sempre da Beslan era partita la campagna voluta da Eltsin per andare a stroncare la ribellione cecena a Grozny.
Ma i generali non furono all'altezza del compito, e anche i militari di leva non erano i più adatti per essere impiegati contro gli agguerriti oltre che motivati guerriglieri; appena superato il confine la guerriglia organizzata dai ceceni con numerose imboscate sbaragliò gli invasori. A Grozny gli fecero trovare il resto, come abbiamo già detto sopra.
I Russi si ritirarono nuovamente a Beslan e da allora il piccolo paese, assunta a base, con il via vai di militari, tecnici e commercianti, si trasformò in pochi anni in una prosperosa cittadina militare e industriale della retrovia russa.
Molti militari finita la leva vi si stabilirono, quintuplicando in breve tempo la popolazione di questa città.
Molti bambini di oggi sono i figli di quei militari che hanno compiuto in Cecenia inaudite repressioni; di cui se ne sono fatti sempre vanto; e proprio a Beslan esistone dei murales che ricordono proprio le loro sanguinose gesta a Grozny. Il mondo non se ne occupo', era quella una guerra interna, di "sovranità", una guerra di "altri" insomma.
Dal 1997 al 1999 anche se le azioni di guerriglia cecene continuarono, a Mosca Yeltisn aveva nuovamente altro da pensare. La situazione economica in Russia era molto grave; non servirono i suoi diversi rimpasti di governo; ci furono tensioni con gli Usa per la guerra in Kossovo; i militari dovettero soffocare una rivolta di islamici nel Dagestan; e a Mosca e in altri luoghi russi, si verificarono attentati che costarono la vita a centinaia di persone e che il governo russo attribuì sempre ai ribelli Ceceni. Alla fine di questo tortuoso percorso, Yeltisn il 31 dicembre inaspettatamente si dimise e nominò Vladimir Putin suo successore.
L'8 giugno del 2000 Putin è nominato nuovo presidente.
Nel frattempo in questi tre anni partendo con dei blitz da Beslan l'esercito russo -nonostante le imboscate, gli attentati e la guerriglia dei "ribelli"- continuò a soffocare nel Paese ogni sollevazione indipendentista. Turbolenze che tornarono a riacutizzarsi nei primi mesi del 2001. Putin che aveva vagamente promesso ai Ceceni il ritiro dell'esercito e trattative con gli indipendentisti moderati, per l'inasprimento della guerriglia, il ritiro non fu più portato a termine, nè si parlò di alcuna soluzione politica al problema autonomista, si concesse solo qualche rublo in più per i 150.000 barili di greggio estratto (fra l'altro male amministrati da improvvisati capi ceceni, per nulla moderati, ma integralisti decisi ad avere interamente i pozzi).
Cosicchè continuarono le operazioni militari russe sorvolando il territorio ceceno con aerei ed elicotteri. Uno di questi con a bordo il generale Rudcenko, vice ministro dell'Interno, con 14 militari russi, nel gennaio 2002, fu centrato da un missile lanciato dai "ribelli" ceceni. Una strage.
Anche la bomba che esplose e fece un'altra strage nella tribuna di Kaspiisk nel Daghestan, durante una parata militare per commemorare l'anniversario della sconfitta nazista (vi morirono 39 persone e 130 furono ferite), fu anch'essa attribuita ai "ribelli" Ceceni. E questo doveva essere un allarme perchè le azioni iniziarono ad essere esportate in altri territori della stessa connotazione religiosa cecena
E sicuramente dei guerriglieri Ceceni era il missile che il 19 agosto sempre del 2002 abbattè un elicottero con 117 militari russi, appena decollati dalla base di Khankala.
Putin a quel punto convoca un vertice militare, escluso ogni dialogo, vuole prendere più severe misure di sicurezza, ma i Ceceni lo anticipano e si rifanno vivi proprio a Mosca il 23 ottobre. Per tre giorni prendono in ostaggio centinaia di spettatori del teatro Bubrovka. Un numeroso commando fatto di uomini e donne, imbottiti di esplosivo, minacciando una strage, chiedono la fine della guerra e il ritiro delle truppe dalla Cecenia.
Putin non accetta il ricatto e non concede nulla, fa invece intervenire un reparto di forze speciali. Prima della loro irruzione, dentro il teatro viene fatto penetrare un gas tossico, che dovrebbe paralizzare il commando e permettere le operazioni di salvataggio; invece il gas uccide 50 ceceni e ne restano vittima anche 128 spettatori.
Il blitz anche se nel peggiore dei modi è insomma riuscito. E la guerra dei Russi contro i Ceceni può continuare.
Ma anche i Ceceni non si sono persi d'animo e continuano la loro battaglia.
Ma a questo punto - e forse già da qualche tempo - quella che era stata all'inizio solo una sollevazione popolare, per riprendersi i ceceni ciò che avevano perduto (case e indipendenza); quella che era soltanto una locale guerra civile animata da elementi locali , aumentando la spirale d'odio, non alleviando i russi ma acuendo le tensioni, e quindi per non aver ottenuto i ceceni ciò che si aspettavano, il conflitto si è trasformato in un'altra cosa. La ribellione si è trasformata in terrorismo organizzato, e a questo terrorismo "indipendentista si è unito con quello di matrice internazionale di Al Qaeda con ben altre mire.
Questo lo si afferma a Mosca nel "partito della forza", quello della "sovranità dello Stato" ad ogni costo, e quindi ricorso alle armi contro gli indipendentisti; ma altri nella stessa Mosca, come Shakirov direttore della Isvestia, afferma che "il riferimento ad Al Qaeda permette a tutti i governi di non assumere le proprie responsabilità".
Sembra che voglia dire che in nome della lotta all'estremismo internazionale si usa la forza (anche preventiva, prestestuosa, incomprensibile - "accadono fatti che dimostrano come si sia arrivati al di là di ogni possibile comprensione" - Berlusconi) in ogni luogo e per ogni controversia che non hanno nulla a che vedere con i legami estremistici.
Ed altri ancora affermano che non è soltanto più un "problema interno", ma Mosca nel volere affermare ad ogni costo la "sovranità dello Stato" sulla Cecenia calpesta quella che in occidente è un diritto e una bandiera: l'autodeterminazione dei popoli ! Invocata e subito pronti ad intervenire in difesa di essi quando a non voler cedere all'autonomie è la Serbia (vedi Kossovo), ma defilati quando si tratta della Cecenia da anni impegnata e stremata per riprendersi una legittima indipendenza che già possedeva.
Forse qualcosa di vero sulle infiltrazione del terrorismo internazionale c'è; del resto poveri di mezzi, nello scontro con il colosso russo, gli indipendentisti ceceni hanno accolto i volontari inviati dai mujahidin, hanno accolto i loro aiuti in denaro, e alcuni estremisti indipendentisti hanno accentuato i toni religiosi ascoltando i sermoni delle sette integraliste. E se queste volevano allargare la loro GIHAD (guerra santa ) - strumentalizzando i "ribelli" ceceni, ci sono riusciti. E purtroppo in zona ci sono altre cecenie, tutti terreni fertili per lo sviluppo del terrorismo.
Tutto questo era prevedibile, anche se Putin aveva promesso di "dare la caccia ai ribelli fin dentro i cessi ".
![]() ![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |